Emilio Rossi, che fu tra l'altro primo direttore del Tg1 e presidente del Centro televisivo vaticano, non amava essere definito "giornalista cattolico"...
"Anch'io penso che l'essere giornalisti e cattolici appartenga a due sfere comunicanti, ma separate. Per molti anni ho lavorato in Rai assieme a Emilio Rossi: sapevamo che era profondamente cattolico, ma non l'abbiamo mai visto schierato in battaglie di principi, aveva chiaro il senso del servizio pubblico. All'interno di dimensioni pubbliche - come dovrebbero essere i giornali - bisogna avere come obiettivo il bene comune. L'essere cattolici, in ciò, è una dimensione importante, ma non ritengo che ci si debba etichettare come giornalisti cattolici".

Come intende ricordare l'Ucsi quest'anniversario?
"Oltre alla celebrazione del 4 dicembre, momento d'incontro pubblico e istituzionale, vogliamo rafforzare le nostre attività. Stiamo preparando per la primavera prossima una scuola di alta formazione per giornalisti dedicata all'etica della professione. Abbiamo un'attenzione particolare ai nuovi media, anche attraverso la nostra rivista di cultura e ricerca sulla comunicazione, «Desk». Cerchiamo inoltre di costruire un rapporto con i più giovani, guardando anche a coloro che nella professione giornalistica fanno fatica a entrare. Infine, ritengo importante che l'Ucsi possa avere un ruolo anche critico nei confronti di certe aberrazioni della comunicazione che oggi si verificano, ad esempio attraverso la tv".

Proprio l'etica è una delle questioni problematiche più avvertite...
"Sul piano normativo ci si aspetta, speriamo in tempi rapidi, una riforma dell'Ordine dei giornalisti che gli dia maggiore celerità e agilità. Ma non basta la normativa: bisogna piuttosto fare attività di sensibilizzazione e formazione, sia dell'opinione pubblica, sia dei giornalisti. Entrambi determinano il buon giornalismo. La responsabilità è di tutti, e occorre fare uno sforzo per migliorare la qualità della comunicazione, da cui dipende pure la qualità del Paese".

Da cosa si può partire?
"Ad esempio, dalla televisione di servizio pubblico. Il fatto che partecipi al degrado è un segno pericolosissimo".

Ma anche quando un giornalista o una trasmissione vengono sanzionati, non cambia nulla.
"In qualsiasi Paese quando s'indicano delle responsabilità in modo chiaro se ne traggono le conseguenze. In Italia no, c'è subito qualcuno che fa di questi personaggi degli eroi. L'unica cosa che si può fare è mettere l'opinione pubblica in grado di capire e di giudicare. Se poi nulla cambia è perché il livello della coscienza del Paese si è degradato".

Ritorna anche qui l'urgenza dell'educazione...
"La Chiesa stessa dev'essere sempre più attenta a tal proposito, richiamando l'attenzione sui comportamenti gravi tanto dei mezzi di comunicazione quanto dell'opinione pubblica".

Altro problema riguarda il precariato lavorativo. Assai diffuso nel Paese, è presente con forza all'interno della categoria, con rischi anche per l'autonomia dei giornalisti.
"Purtroppo tutto il lavoro intellettuale è sottopagato e sottostimato. Chiedo ai giornalisti che si trovano in tale situazione di resistere e fare al meglio il proprio lavoro. Nonostante tutto, bisogna cercare di far crescere un buon giornalismo, farlo colloquiare al proprio interno e con solidarietà tra colleghi. Senza mai smettere di far sentire la propria voce".

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