pagnoncelli

  • Comunicare la carità? Prima sia condivisione e comunità.

    La carità comunica da sola. Comunica perché è testimonianza. Ma prima di diventare comunicazione deve essere condivisione e comunità. È la sfida cui è chiamata la Chiesa che ha il compito di educare alla carità, intesa come percorso di ascolto, di dialogo e di incontro.
    Al centro delle relazioni c’è la persona che va formata a cogliere le positività della congiuntura economica e sociale che sta attraversando. Occorre far crescere nei cittadini la capacità di discernimento e favorire uno sguardo positivo della comunicazione sociale.

  • Comunicare la crisi: serve discernimento, anche da parte dei giornalisti

    In Italia è in atto un grande cambiamento antropologico accompagnato da una profonda crisi demografica che non emerge in tutta la sua multiforme dimensione e complessità. Ma questo non significa che va tutto male. Le imprese manifatturiere sono tra le più competitive a livello internazionale, gli italiani, popolo di formiche, hanno ripreso a risparmiare da quattro anni. Non c’è dunque solo povertà, la ricchezza circola, ma vi è una distorsione nella distribuzione. I ricchi sono diventati più ricchi, i poveri più poveri. Tra gli effetti della persistente crisi si annovera anche una sfiducia diffusa che altera la percezione della realtà. E poi c’è il grande problema demografico, sul quale la politica non interviene in modo efficace. L’Italia nel 2050 sarà più multietnica ma più anziana: gli italiani saranno 61 milioni e gli ultrasessantacinquenni supereranno il 30% della popolazione (dal 20% attuale) e gli ultraottantenni cresceranno dall’attuale 5,8% al 15%. Il numero totale di stranieri passerà dall’attuale 9% al 17%. Ma con una prefigurazione negativa della realtà e del futuro non si esce dalla crisi. È necessario recuperare uno sguardo positivo. È il ritratto dello Stivale consegnato da Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos, intervenuto al seminario tenutosi a Roma nei giorni scorsi “Comunicare la Carità. Strumenti per imparare a raccontarsi”, promosso dalla Consulta Ecclesiale degli Organismi socio-assistenziali, con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI.

  • Per Pagnoncelli (Ipsos) c'è ancora spazio per i settimanali (e quelli cattolici hanno una funzione specifica)

    “Il 97% degli italiani si informa utilizzando il mezzo televisivo, in tutte le sue modalità”. Lo ha reso noto Nando Pagnoncelli, presidente dell’Ipsos, nell’incontro con i settimanali cattolici promosso dall’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, in sintonia con la Fisc. “Aumenta la quantità di cittadini informati, ma si riduce drammaticamente la quota di cittadini consapevoli, dotati di discernimento”: questo, per Pagnoncelli, “il vero problema” con cui si devono fare i conti: “Le conseguenze della dieta mediatica sono il paradosso per cui ciascuno di noi, raggiunto da una quantità esponenziale di stimoli informativi, è costretto a fare selezione delle notizie e dei mezzi. Di fronte a un panorama così vasto, ognuno di noi adotta comportamenti selettivi”.
    Quasi due italiani su tre ascoltano la radio tradizionale, ha proseguito Pagnoncelli, mentre i giornali cartacei sono passati dal 67% del 2007 al 40,5% del 2015, con un calo inesorabile e progressivo. Anche la “free press” ha una contrazione molto significativa: dal 35% al 9,6%. I settimanali, infine, sono passati dal 40,3% del 2007 al 20,7%: ciò vuol dire che sono letti da poco più di un quarto degli italiani. “La stampa – lo sguardo di sintesi – sta soffrendo in termini economici: si riduce il digital divide, ma aumentano le persone che hanno perso il rapporto con la carta stampata, in particolare con i giovani”.
    “C’è un trend inarrestabile di calo della stampa”- ha detto ancora Pagnoncelli. “È indiscutibile che i settimanali cattolici abbiano una posizione unica, distintiva, ma è difficile immaginare di avere una rendita di posizione. Autorevolezza e qualità editoriale sono i requisiti da valorizzare, in un quadro mediatico in cui c’è una flessione generale per due ordini di motivi: il cambiamento della dieta mediatica degli italiani e l’assenza di un ricambio generazionale, sia per quanto riguarda l’accesso ai media, sia in termini di dinamiche demografiche”.
    “Paradossalmente cresce la domanda di comprensione dei fenomeni", ambito nel quale “le tecnologie possono favorire il ricambio generazionale, ma non riequilibrarlo del tutto”. E i settimanali? “Devono essere massa critica e non devono rincorrere altri mezzi”, ha commentato il presidente dell’Ipsos, secondo il quale è il tempo forse di fare scelte più coraggiose, che vadano a valorizzare la specificità dei mezzi. E’ vero che si dedica meno tempo alla lettura, ma non si può rinunciare alla funzione specifica della stampa”.
    I settimanali cattolici devono allora “aiutare il discernimento, aiutare a interpretare i fenomeni, a favorire lo scambio, a evitare che prevalgano sempre le percezioni sulla realtà”. Altro imperativo per la carta stampata: “rinunciare alla logica dell’audience, quella per cui è sull’emozione che si muovono i comportamenti”.
    "In un panorama mediatico sempre più complesso e frammentato - ha concluso il Presidente Ipsos - per paradosso emerge una grande domanda di senso”, ed il futuro dei settimanali cattolici sta nella capacità di “comprendere e saper rispondere a questa domanda di senso”. I settimanali diocesani sono chiamati a “dare risposte di senso al singolo cittadino e al singolo credente”, partendo dalla constatazione che “quella dei lettori non è una massa indistinta”. “Formare informando”, l’imperativo di sintesi per “favorire un processo di apprendimento, non solo per l’opinione pubblica ma anche per le classi dirigenti”.