hate speeching

  • (2): i giornalisti possono 'educare' all'uso dei social

    Prosegue il confronto sulla violenza di alcuni commenti sul calcio e sullo sport e sul ruolo di noi giornalisti per arginare il fenomeno..Il secondo intervento è di Riccardo Clementi, e mette l'accento sulla necessità della sensibilizzazione, il primo lo trovate ancora qui.

  • (3) - La scelta che possono fare i giornalisti per frenare odio e insulti social agli idoli dello sport (e non solo)

    L'animosità spesso volgare dei tifosi di calcio nei confronti dei loro beniamini è un fenomeno inquietante. Non è certo l'unica fatica che si vive nel mondo del calcio contemporaneo: si pensi, per esempio, al ruolo sempre più preponderante delle tifoserie e dei loro "improbabili" leaders nella gestione stessa delle partite.

  • (4) I giornalisti sportivi e l'odio sul web: la prima regola è non essere tifosi, la seconda fare le domande giuste

    Sia in qualità di addetto ai lavori in materia di comunicazione che di appassionato di sport, ed in particolare di calcio, disciplina alla quale ho dedicato molti anni, non ho potuto esimermi dalla lettura, seppure sporadica, delle ultime vicissitudini di calciomercato e dei relativi commenti di colleghi della stampa e tifosi. In seguito al post di Matteo Billi e alle riflessioni dei colleghi dell'Unione cattolica della stampa italiana, l'interrogativo su come i giornalisti possano fermare il fenomeno dei commenti palesemente rabbiosi e offensivi dell'opinione pubblica via social network non mi ha ovviamente lasciato indifferente.

  • Attacchi via social a Giulietti, l'Ucsi esprime solidarietà e condanna la violenza in rete

    L’Ucsi esprime la propria “solidarietà al presidente della Federazione della Stampa Giuseppe Giulietti e a tutti i giornalisti minacciati o ostacolati nel loro lavoro per la verità e contro le fake”.

  • Bullismi in rete, convegno dell'Ucsi Lazio giovedì 25 ottobre

    Si discute di “bullismi in rete”, nel convegno che si svolgerà a Roma, alLiceo Seneca (via F. Albergotti, 35), giovedì 25 ottobre dalle 9.00 alle 13.30.

  • I giornalisti sportivi e l'odio sul web: la prima regola è non essere tifosi, la seconda fare le domande giuste (4)

    Sia in qualità di addetto ai lavori in materia di comunicazione che di appassionato di sport, ed in particolare di calcio, disciplina alla quale ho dedicato molti anni, non ho potuto esimermi dalla lettura, seppure sporadica, delle ultime vicissitudini di calciomercato e dei relativi commenti di colleghi della stampa e tifosi. In seguito al post di Matteo Billi e alle riflessioni dei colleghi dell'Unione cattolica della stampa italiana, l'interrogativo su come i giornalisti possano fermare il fenomeno dei commenti palesemente rabbiosi e offensivi dell'opinione pubblica via social network non mi ha ovviamente lasciato indifferente.

  • Il nuovo regolamento Agcom contro l'odio su ogni mezzo di comunicazione

    Per arginare l’hate speech, l’odio in rete (ma anche in tv e in radio), interviene decisamente l’Autorità per le garanzie nella comunicazione, l’Agcom.

  • Incitamento all'odio, possibili multe a radio e tv

    Da giugno prossimo radio e tv italiane dovranno per forza assicurare il rispetto delle persone “contro ogni forma di discriminazione”.

  • L'odio e gli insulti agli idoli del pallone (2): i giornalisti possono 'educare' all'uso dei social

    Prosegue il confronto sulla violenza di alcuni commenti sul calcio e sullo sport e sul ruolo di noi giornalisti per arginare il fenomeno..Il secondo intervento è di Riccardo Clementi, e mette l'accento sulla necessità della sensibilizzazione, il primo lo trovate ancora qui.

    Amo il calcio, sono un tifoso della Juventus in terra fiorentina, tema su cui ho scritto pure il libro che ha dato il nome al mio blog www.generazionejuve.com , e dal punto di vista sportivo la notizia di Bonucci al Milan ha colto di sorpresa pure me, anche se il malessere era nell'aria. Ma quando sui social ho letto le offese, anche personali e rivolte ai figli, "vomitate" addosso a Bonucci, sono rimasto senza parole. Come avviene quando mi imbatto in qualche post che inneggia all'Heysel o alla tragedia del grande Torino o a chi augura la morte per una partita.

    Davvero la passione per uno sport può trasformarsi in rabbia sociale e frustrazione umana così rancorosa e piena di livore?

    Tante volte abbiamo ripetuto che i social network non sono buoni o cattivi in sé, tutto dipende dall'uso che ne viene fatto. Ecco, educare all'utilizzo intelligente e "sportivo" del mezzo, non sarebbe male. Un esercizio che dovrebbe cominciare dagli addetti ai lavori - società e federazioni sportive, calciatori, organi di informazione - che dello sport vivono e che con lo sport dovrebbero educare.

    trovi questo articolo anche nella nostra rubrica IDEE (in home page)

  • L'odio e gli insulti agli idoli del pallone. Come i giornalisti possono fermare il fenomeno? (1)

    L’ultima e clamorosa vicenda di calciomercato scatena una violenta campagna d’odio e di insulti sui social network. Sul nostro sito apriamo un dibattito, che trasferiamo anche nella rubrica “idee”: non vogliamo tanto analizzare le ragioni (ove mai ci fossero) di queste perversioni dialettiche, ci proponiamo invece di pensare agli argini che il giornalismo (e noi goornalisti) possiamo creare (a.r.)

    Sono ancora nell’aria gli echi della vicenda Donnarumma-Raiola-Milan quando (pseudo-)tifosi di calcio tornano a popolare il web con insulti a Leonardo Bonucci che passa dalla Juve al Milan.
    Twitter e Facebook - ma anche gli spazi dei commenti nei siti dei giornali - sono zeppi di improperi che, fino a qualche decennio fa, non erano accettati nemmeno nei bar dello sport.

    Qualcuno si scandalizza, pochi prendono le distanze; nonostante il passo dalla violenza online a quella offline - nel senso del mondo reale - sia breve.

    E giornalisti? Lasciando stare certi “ring” televisivi colpisce vedere il “taglio” che un quotidiano sportivo come Tuttosport (torinese certo ma di respiro nazionale) dà al cambio di casacca di Bonucci. Venerdì la prima pagina aveva un’enorme foto del difensore con questo titolo: «Si è sciacquato la bocca», espressione che indica uno che sparla di qualcun altro. Davvero non c’era altro modo per annunciare questo addio, pur tra le polemiche interne alla squadra bianconera?

    trovi questo articolo anche nella nostra rubrica IDEE (in home page)

  • L'odio e gli insulti agli idoli del pallone. Come i giornalisti possono fermare il fenomeno? (1)

    L’ultima e clamorosa vicenda di calciomercato scatena una violenta campagna d’odio e di insulti sui social network. Sul nostro sito apriamo un dibattito, che trasferiamo anche nella rubrica “idee”: non vogliamo tanto analizzare le ragioni (ove mai ci fossero) di queste perversioni dialettiche, ci proponiamo invece di pensare agli argini che il giornalismo (e noi goornalisti) possiamo creare (a.r.)

    Sono ancora nell’aria gli echi della vicenda Donnarumma-Raiola-Milan quando (pseudo-)tifosi di calcio tornano a popolare il web con insulti a Leonardo Bonucci che passa dalla Juve al Milan.
    Twitter e Facebook - ma anche gli spazi dei commenti nei siti dei giornali - sono zeppi di improperi che, fino a qualche decennio fa, non erano accettati nemmeno nei bar dello sport.

  • L'odio in rete si fronteggia anche con una informazione seria e credibile

    Il Copercom(Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione) ha sviluppato un confronto a più voci su quel “cortocircuito” che si è creato nella crisi politico-istituzionale di questi giorni, su quella “deriva comunicativa” sfociata anche in parole pesanti, violente e di odio, sui social network.

  • L'odio on line. La responsabilità dei Social e quelle dei cittadini

    Facebook è finito ancora una volta al centro del dibattito sui media e sulla loro regolamentazione per due casi diversi. In Germania, racconta Der Spiegel, il fondatore Zuckenberg e i suoi collaboratori sono accusati di aver violato la legge contro l’incitamento all’odio e contro il negazionismo della Shoah, per non aver rimosso dei post filonazisti. In Italia sono sotto accusa per il caso dei video sessuali di Tiziana, la giovane donna che si è suicidata dopo la loro diffusione virale. Il tribunale di Napoli Nord ha stabilito che Facebook avrebbe dovuto intervenire per cancellare i post insultati o denigratori non appena l’interessata li ha segnalati, senza aspettare l’intervento del tribunale stesso.



    Ha così ripreso spazio il dibattito su cosa sono i social network e su quali sono, di conseguenza, le loro responsabilità. Loro (Facebook, ma ancora di più Twitter e poi tutti gli altri) tendono a considerarsi solo degli hosting provider. Come dire: noi vi diamo l’autostrada, non siamo responsabili di come guidate. I contenuti, quindi, sono sotto la responsabilità degli utenti.
    Posto che Internet è nato come lo spazio della libertà totale, in cui finalmente tutti potevano avere voce, e che come tale è ancora vissuto, non si può ignorare che esso è diventato anche il luogo dove si coltiva e si diffonde l’odio. Riguardo alla possibilità di regolamentarlo, osservatori ed esperti si collocano su posizioni diverse, che, semplificando, si potrebbero riassumere attorno a due poli: quello nordamericano e quello europeo.
    Negli Stati Uniti d’America il primo emendamento tutela anche le espressioni d’odio e dagli anni Novanta questa tutela è stata estesa a Internet. Significa che il Governo non può intervenire con strumenti censori, anche se questo non esclude che gli operatori privati possano autoregolamentarsi. E in realtà sia Facebook che Twitter si sono dati delle policy, sia pure piuttosto elastiche.
    L’Europa, invece, tende a giustificare – a volte ad auspicare – l’intervento normativo, volto a limitare il diffondersi delle espressioni di odio. In sostanza, in Europa si tende a vietare ciò che negli Usa è permesso, nel nome di un equilibrio tra la libertà di espressione e la tutela dei soggetti più deboli, o comunque tenendo conto dell’oggettiva difficoltà a difendersi da parte di chi diventa oggetto di bullismo, stalking, odio on line.
    L’approccio Nordamericano è accompagnato dalla considerazione che le tecnologie sono solo un canale neutro e quindi portano ad una deresponsabilizzazione; quello Europeo è accompagnato dall’idea che gli strumenti tecnologici portano cambiamenti negli usi e costumi delle persone e delle società, e quindi non sono del tutto neutri.
    Inutile dire che i grandi social network fanno capo a società statunitensi, che quindi tendono a riferirsi a quell’impostazione culturale e a quella legislazione.
    Entrambe le posizioni, comunque, contengono dei pericoli: la prima rischia di consegnare la Rete nelle mani dei più violenti e dei più forti, la seconda di indurre ad interventi ciecamente censori. Come è successo nel settembre scorso, con la famosissima foto della bambina che, durante la guerra nel Viet Nam, scappa dallo scoppio di una bomba al napalm che le ha bruciato i vestiti, lasciandola nuda. Una foto del 1972, che probabilmente ha contribuito alla fine di quella guerra e comunque si è depositata nell’immaginario collettivo (vedi  http://bit.ly/2c5MWGC). Lo scrittore norvegese Tom Egeland l’ha postata sulla propria pagina Facebook ma il colosso di Palo Alto l’ha censurata, perché contraria ai community standard nei confronti della pedofilia. Salvo poi riammetterla dopo che la rete è insorta.
    Bisogna ammettere che è un po’ inquietante il fatto che sia un gruppo di avvocati ben pagati o, peggio ancora, un algoritmo, a decidere che cosa si può o non si può far circolare in rete.
    Nel caso di Tiziana, Facebook Ireland ha sostenuto davanti al tribunale di non essere obbligata a rimuovere i post offensivi, fino ad uno specifico pronunciamento del tribunale. Perché, ha sostenuto l’azienda, noi abbiamo una responsabilità limitata e non possiamo fare un controllo proattivo di tutto ciò che viene pubblicato, ma se un Tribunale ordina, eseguiamo. Ragionamento che non fa una grinza, se non fosse che Tiziana si è suicidata e che purtroppo ci sono stati altri casi di ragazzi e ragazze anche molto più giovani che sono stati spinti alla disperazioni a causa delle pressioni subite sui social.
    Inoltre la difesa a tutto campo della libertà di espressione e del rispetto dei contenuti dei singoli utenti si scontra con il dato oggettivo che i social analizzano questi stessi contenuti e li rivendono per aumentare gli introiti pubblicitari. Senza chiedere il permesso agli utenti.
    Nel 2014 a Madrid si è tenuta la conferenza internazionale “Together against hate Speech and Hate Crime”, da cui sono emerse tre parole chiave: prevenire, educare e sanzionare. L’ideale sarebbe portare avanti tutte tre le cose contemporaneamente, ma, se sul piano legislativo e del riconoscimento delle responsabilità il dibattito è ancora aperto, sul piano della prevenzione e dell’educazione molto si può fare. L’obiettivo è educare giovani e adulti ad un corretto uso dei social e sviluppare una cultura della netcitizenship, ossia di un modo di abitare i social basato su comportamenti responsabili e sull’impegno a portare contributi utili alla discussione collettiva, evitando comportamenti scorretti o che possono incitare all’odio.

  • La scelta che possono fare i giornalisti per frenare odio e insulti social agli idoli dello sport (e non solo) / 3

    L'animosità spesso volgare dei tifosi di calcio nei confronti dei loro beniamini è un fenomeno inquietante. Non è certo l'unica fatica che si vive nel mondo del calcio contemporaneo: si pensi, per esempio, al ruolo sempre più preponderante delle tifoserie e dei loro "improbabili" leaders nella gestione stessa delle partite.

  • Linea dura della presidente della Camera contro gli 'odiatori seriali' sui social.

    La presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, denuncerà chi la insulta sui social network: «Il tenore di questi commenti ha superato il limite consentito», spiega Boldrini, che dice di aver «riflettuto a lungo se procedere o meno in questo senso», ma che a questo punto aveva il «dovere di prendere questa decisione come donna, come madre e come rappresentante delle istituzioni». L’hashtag che ha scelto per questa campagna di sensibilizzazione è #Adessobasta.
    La presidente della Camera in questi ultimi mesi è stata molto attiva nel denunciare le violenze verbali su internet e sui social, ha organizzato iniziative e convegni di studio e approfondimento, ha partecipato anche all’iniziativa condivisa dall’Ucsi “Parolo O_stili

    foto: L'Avvenire

  • Minacce di un hacker al governatore Musumeci, solidarietà umana e professionale dell'Ucsi Sicilia

    L'Ucsi Sicilia, apprese le gravi minacce di morte, fatte da un hacker, al Presidente e collega giornalista Nello Musumeci, sulla pagina social del capo gruppo alla Regione Sicilia del Movimento 5S on. Valentina Zafarana, si associa al coro unanime della solidarietà umana e professionale.