disintermediazione

  • 8 - I come (dis)-'Intermediazione'.

    I come ‘Intermediazione’, quella che dovrebbero ancora garantire i giornalisticon professionalità e rigore, tra le fonti delle notizie e i destinatari dell’informazione. Ma il cosiddetto ‘citizen journalism’, il giornalismo fatto direttamente dai cittadini, che rappresenta senza dubbio l'ultima frontiera dell'informazione, rischia di essere una strada di non ritorno per la nostra professione.

  • Comunicazione: gli scenari del futuro secondo uno studio inglese

    Droni, app, videochat di gruppo. Sono in questi ambiti le startup da tenere d'occhio secondo Reuters Institute for the Study of Journalism (che ha sede nell'Università di Oxford, nel Regno Unito, ed è finanziato dalla multinazionale dell'informazione Thomson Reuters). L'autore è Nic Newman, giornalista e digital strategist che ha lavorato per molti anni alla BBC e oggi è ricercatore dell'istituto Reuters. Il rapporto è dedicato alle previsioni e alle tendenze nel giornalismo e nel digitale nel 2017, ed è stato realizzato intervistando circa 150 tra giornalisti, editori e digital leaders nel mondo...

  • drag&drop - La sfida all'Ok Corral tra vecchi e nuovi media non serve a nulla

    Il web e le nuove tecnologie molto spesso negli ultimi anni sono stati percepiti come rischio anziché come opportunità di sopravvivenza per giornali, radio e televisioni. Per molti intellettuali, giornalisti ed esperti di nuovi media gli old media sono stati dati per spacciati in quella sfida all’Ok Korral con i new media. In realtà contrapporre il nuovo con il vecchio non ha fatto mai bene a nessuno, tanto meno sottolineare il concetto che “prima era meglio” rispetto alle novità e alle evoluzioni del momento. Pensiamo all'umanità e alle tradizioni che ci hanno tramandato i nostri nonni. Cosa avremmo fatto senza le nostre nonne e i nostri nonni? Le nostre madri e i nostri padri? Credo poco o niente. Grazie a loro abbiamo imparato tanto. Per il giornalismo di oggi è la stessa cosa. Senza il giornalismo professionale tradizionale gli strumenti servono a poco o niente e il web 2.0 è una bolla di sapone. Purtroppo anche nelle redazioni spesso è serpeggiata la ritrosia rispetto alle nuove tecnologie. Tutto comprensibile, ma la paura e il timore del nuovo nei primi anni della diffusione di Internet e con l’evoluzione verso il web 2.0, ha portato a frenare non pochi operatori dell’informazione. In realtà, e questo è il senso del discorso, il giornalismo tradizionale non è giunto al capolinea e le redazioni non sono e non diventeranno mai musei da far visitare ai romantici dell’informazione narrata in film come Prima Pagina di Billy Wilder o in Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula. C’è ancora spazio e c’è ancora tempo per chi, giornalisti ed editori, questo spazio lo vogliono occupare e per quanti non vogliono perdere tempo a pensare che il web cannibalizzerà i media tradizionali. C’è chi, come Umberto Eco, ha detto che il libro digitale non farà mai scomparire la carta; c’è chi si trova d’accordo con quanto ha detto in passato Rupert Murdoch, secondo cui per salvare l’editoria nell’era del bit bisogna trovare modelli di business a pagamento per libri e giornali com’è stato fatto per la musica; c’è chi, invece, è convinto che i giornali di carta non sono sul viale del tramonto con buona pace per chi li vuole vedere morti. Infine c’è chi ritiene che con un pizzico di intelligenza si possa raggiungere una situazione ibrida dove l’informazione e il giornalismo professionale continueranno a produrre notizie, approfondimenti, inchieste e reportage di qualità e che grazie a un cambio di mentalità all’interno delle redazioni si possa raggiungere una fase nuova: quella della convergenza cooperativa dei contenuti multi-piattaforma, della partecipazione collaborativa tra le redazioni, dell’integrazione tra media nuovi e tradizionali dove quest’ultimi, grazie alla forza degli strumenti e dell’innovazione tecnologica, amplificheranno i contenuti di qualità prodotti da un giornalismo rispettoso delle regole etiche e deontologiche che sono da sempre alla base di chi fa informazione in Italia, in Europa e nel mondo.

  • Fare giornalismo al fronte, senza retorica

    “Non era facile incontrarsi su informazione e guerra senza essere retorici. Un momento di formazione tra noi giornalisti ascoltato le testimonianze di Lucio Borga e Gianmarco Sicuro sono state di grande efficacia, smontando luoghi comuni e mettendo dentro dati, passione, calore, sul senso di questa professione”. Lo ha detto il presidente nazionale dell’Ucsi Vincenzo Varagona, durante il corso di formazione sul tema “Guerra e media: giornalismo al fronte” promosso dall’Ordine dei Giornalisti della Valle d’Aosta con la collaborazione dell’Ucsi Valle d’Aosta, che si è svolto nel salone delle conferenze del Palazzo Regionale di Aosta.

  • Gianna Cappello confermata alla guida del Med

    Gianna Cappello resta presidente del Med (Associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione) per il prossimo triennio

  • I come (dis)-'Intermediazione'.

    I come ‘Intermediazione’, quella che dovrebbero ancora garantire i giornalisticon professionalità e rigore, tra le fonti delle notizie e i destinatari dell’informazione. Ma il cosiddetto ‘citizen journalism’, il giornalismo fatto direttamente dai cittadini, che rappresenta senza dubbio l'ultima frontiera dell'informazione, rischia di essere una strada di non ritorno per la nostra professione.

  • Il confronto di Assisi: un sasso nello stagno

    Un sasso nello stagno. Lanciato da una minoranza eticamente determinata. Per smuovere le acque spesso stagnanti intorno alle bambine, ai bambini e ai ragazzi nella nuova era “biomediatica” che ha rivoluzionato, in Italia e non solo, l’ecosistema dei media. È la sfida educativa (e comunicativa) che da Assisi - durante gli intensi tre giorni di Scuola di alta formazione «Giancarlo Zizola» ospitati da quel cenacolo di “utopie cristiane” che è la Cittadella – è stata declinata con generosità dai contributi dei testimoni invitati a fornire le proprie (differenti) visioni, esperienze e narrazioni alla frontiera tra ragazze, ragazzi e media: frontiera che per san Giovanni Paolo IIera «uno dei principali paradigmi di civiltà e progresso… un compito esaltante a cui tutti devono contribuire secondo il proprio ruolo e le proprie competenze» (dal messaggio del 18 aprile 2001 a Emilio Rossi).

    Perché «I bambini ci guardano», esordisce ad esempio Renzo Di Renzo analizzando il tema dal suo poliedrico osservatorio ai confini tra racconto, informazione e pubblicità: perciò bisogna narrare loro la realtà «con semplicità, ma evitando le semplificazioni»; sapendo senza infingimenti, aggiunge, che «ci proteggerà solo la cultura e la conoscenza. E la consapevolezza che la diversità è un bene e non un male, che siamo tutti diversi, perciò unici e speciali. Ma bisogna saper usare le parole giuste: perché le parole sono importanti». Decisive – conclude Di Renzo - come «l’immaginazione, soprattutto nell’attuale (in)civiltà delle immagini». Lui ne sa più che qualcosa: comunicatore sociale a più dimensioni, scrittore (di testi poetici e narrativi, per adulti e per bambini), docente universitario esperto di immagine (grafica, fotografica, video), editoria e new media, marketing e musica, è anche autore di un incantevole albo illustrato (Due destini, edizioni Fatatrac, con le immagini di Sonia Maria Luce Possentini), libro-progetto che veicola pure una mostra itinerante e che non a caso supporta la campagna dei medici con l’Africa CUAMM «Prima le mamme e i bambini», illustrata ad Assisi dalla ginecologa del CUAMM Rossella Peruzzi, con Anna Talami ed Elena Baboni.

    Ma quali modelli antropologici sono sottesi, oggi, nei prodotti mass-mediali (e nella musica, linguaggio universale e trasversale) che i minorenni amano? Quanta influenza stanno avendo nei loro percorsi di crescita? E in particolare, che tipo di tempo libero e di divertimento vengono veicolati coerentemente da questi prodotti, e come sono poi applicati nella vita reale? E con quale presenza attiva da parte della comunità educante? Sono interrogativi posti da Marco Brusati, saggista, docente universitario e direttore generale dell’Associazione Hope (fondata nel 1998 su iniziativa del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei e oggi rete internazionale di servizio alla Chiesa nei settori di musica, spettacolo ed eventi comunicativi). Mostrando (e commentando) immagini-choc di alcuni videoclip, Brusati infatti ammonisce: «I giornalisti hanno un ruolo determinante nel sostenere criticamente le comunità locali nell’uso consapevole dei prodotti massmediali contemporanei, che vanno conosciuti per non veicolare luoghi comuni. I giornalisti devono sentirsi educatori». Già: educatori come padre Stefano Gorla, sacerdote barnabita, giornalista (a lungo direttore del settimanale paolino «Il Giornalino» e del mensile «G-Baby») e saggista tra i massimi esperti di fumetto, cinema d’animazione e critica dei media e dei linguaggi giovanili, che ad Assisi rilancia il suo punto di vista «dalla parte dei bambini e dei ragazzi, che vanno presi sul serio. Ma per “abitare” il loro mondo – aggiunge – occorre entrare dalla porta d’accesso della curiosità. Capire quale lingua usare per informare ed educare divertendo. E ricercare una grammatica e una sintassi per comunicare l’infanzia e l’adolescenza: che non sono vasi da riempire, ma un fuoco da accendere, nella dimensione imprescindibile dell’ascolto».

    Ascolto che diventa poi decisivo, se si vuole tutelare i minorenni dalle trappole disseminate nella realtà, anche della Rete - che può renderli vittime e carnefici a un tempo - e nella babele delle notizie dove il “nomadismo mediatico”, caratteristico dei cosiddetti nativi digitali e Millennials, rischia di generare «forme di disincanto e di nichilismo light» (Settimo Rapporti Censis/Ucsi sulla comunicazione, «L’evoluzione delle diete mediatiche giovanili in Italia e in Europa», 2008). Di qui la necessità di nuove alleanze e “patti educativi” tra diversi soggetti pubbici e privati ed agenzie istituzionali, al di là di famiglia, scuola e Chiesa: come la Polizia Postale, che dal 1998 tutela i minori sul web. Ad Assisi è rappresentata da Elvira D’Amato, vicequestore aggiunto della Polizia Postale, Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana per il suo impegno contro il cyber-bullismo e la pedopornografia come responsabile del Centro Nazionale per il contrasto alla pedopornografia on line, struttura nata nel 2006. D’Amato, iIllustrando con precisione il difficile lavoro da lei coordinato di indagini sotto copertura a caccia di pedofili nel deep web o dark web - la faccia oscura della Rete - indica alcuni strumenti utili per creare, nelle scuole come nelle famiglie, nuove consapevolezze preventive per un pieno diritto di cittadinanza digitale, tra i quali il recente progetto del Miur per formare docenti “animatori digitali”.

    L’alleanza più strategica, conclude la vicequestore della Polizia di Stato, è allora proprio quella con i protagonisti di una corretta informazione, al di là del moltiplicarsi di un Citizen journalism spesso tempestivo, ma superficiale. Per D’Amato, invece, i professionisti della comunicazione sociale devono «evitare le scorciatoie deleterie dell’imprecisione e dei sensazionalismi, fare le scelte eticamente giuste nel propagandare notizie e immagini relative a fatti scabrosi, nel rispetto della difesa dei diritti dei minori coinvolti, e tutelare così il superiore interesse pubblico in un’emergenza sociale rilevante». Non è poi tanto difficile quanto sembra - è il suggerimento, da Assisi, di Federico Badaloni, architetto dell’informazione -. È, semplicemente, faticoso. Soprattutto quando si tratta di bambine, bambini e ragazzi: che richiedono atenzione e  (cor)responsabilità maggiori.

    Donatella Trotta

  • Il senso del nostro impegno sul rapporto tra ragazzi e media

    La moltiplicazione dei media nella cosiddetta era biomediatica crea «disintermediazione». Digitale. È questa, da qualche anno, la parola chiave della contemporaneità, nell’ultimo decennio di «rivoluzione copernicana» che sta segnando l’orizzonte comunicativo. È emerso con chiarezza durante la presentazione a Roma del XIII Rapporto Censis-UCSI sulla comunicazione, «I media tra élite e popolo». Con tutte le conseguenti ombre e luci (sociali e politiche) che questo nuovo (e velocemente cangiante) scenario comporta. Lo ha sottolineato bene, nella sua sintesi finale, il presidente del Censis Giuseppe De Rita, mettendo in guardia contro i rischi di derive tecnocratiche che sempre più, per essere arginate, richiedono, al contrario, sforzi di mediazione: «ogni giorno più necessari», ha concluso De Rita.
    Non a caso, la parola «mediazione» è diventata, nelle dinamiche relazionali in vari campi, anche strumento pedagogico dei nostri tempi di crisi e di “disincanto del mondo”. E sembra saldarsi allora perfettamente con un sogno condiviso dall’attuale nuova dirigenza dell’UCSI: quello di rimettere al centro della nostra riflessione sui processi comunicativi proprio l’attenzione al rapporto tra ragazzi e media. Oltre gli stereotipi che generano disinformazione. Un sogno “lanciato” al Congresso di Matera, rilanciato in seno al primo Consiglio nazionale, precisato sulla nostra rivista «Desk» (a. XXIV, n. 1-2/2016) e avviato nei lavori iniziali della Giunta esecutiva. Dai quali sono scaturiti la ristrutturazione di questo sito, una sorta di «casa comune della comunicazione» che in questo spazio intende offrire ospitalità a media e contributi «amici dell’infanzia e della gioventù», e i contenuti della Scuola annuale di formazione intitolata a «Giancarlo Zizola»: che si è svolta per la prima volta ad Assisi, sito francescano e luogo dell’anima per molti di noi.
    Ma come declinare i verbi «vedere, narrare, comprendere» – titolo della Scuola, oltre che fondamenti etici della comunicazione – con occhi, voci, orecchie (ma anche corpi, menti e cuori) di bambine e bambini, adolescenti, ragazzi e giovani adulti? Come raccontare correttamente la complessità della loro condizione dicotomica (protagonisti e spettatori della realtà, a un tempo soggetti di interesse e oggetto di interessi) di nativi digitali, che vivono immersi nella crossmedialità “liquida”? E come tutelare i loro diritti nell’attuale galassia mediatica? L’abbiamo chiesto ad alcuni specialisti che ci hanno offerto, ad Assisi, il loro contributo di “testimoni militanti”: ruolo forse più prezioso, ammoniva già Paolo VI, di quello dei “maestri”. Tra babele informativa e racconto, pubblicità e quadri normativi, realtà e immaginario, trappole del web e impegno di lotta alle devianze on line ne hanno parlato Renzo Di Renzo, direttore creativo di Heads Collective e autore di un albo-progetto per bambini, Due destini, illustrato da Sonia Maria Luce Possentini ed edito da Fatatrac in collaborazione con la Ong Medici con l’Africa CUAMM e, alla tavola rotonda finale, Marco Brusati, direttore di «Hope»; padre Stefano Gorla, ex direttore del settimanale «Il Giornalino» e del mensile «GBaby» ed Elvira D’Amato, vicequestore aggiunto della Polizia Postale, responsabile del Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia on line e al cyberbullismo. Amici e amiche delle bambine e dei bambini, che anche in questo sito – casa comune della comunicazione – troveranno da oggi spazio, e ospitalità. Per condividere un cammino aperto.

  • Internet spietato con la mediocrità, e il giornale cambia...

    La professione giornalistica in America sta cambiando nuovamente. Un rapporto interno dei dirigenti del New York Times suggerisce di cominciare a trascurare gli articoli più ordinari, perché "internet è spietata con la mediocrità"...

  • L’altro come antidoto alla googlizzazione

    Spegnete i computer e cominciate a vivere è stato il consiglio a sorpresa che qualche anno fa l’amministratore delegato di Google Eric Schmidt diede agli studenti dell’Università della Pennsylvania riuniti per l’annuale cerimonia delle lauree. La dichiarazione fece il giro del mondo. I

  • Le "bufale", il 2016 e il 2017. Prima parte: Adriano Fabris

    Dai giovani giornalisti agli esperti della comunicazione. Il nostro viaggio dentro le sfide della comunicazione prosegue con la voce autorevole di alcuni studiosi del settore...

  • Media e potere: i paradossi di Trump e le sfide per noi, oggi

    C’è un legame profondo tra quello che ha fatto Donald Trump, escludendo alcuni giornalisti dal briefing quotidiano alla Casa Bianca, e quanto emerge dalle ultime analisi sulla comunicazione dei giorni nostri, a cominciare dal rapporto Censis-Ucsi del 2016 (leggi QUI).

  • Per Pagnoncelli (Ipsos) c'è ancora spazio per i settimanali (e quelli cattolici hanno una funzione specifica)

    “Il 97% degli italiani si informa utilizzando il mezzo televisivo, in tutte le sue modalità”. Lo ha reso noto Nando Pagnoncelli, presidente dell’Ipsos, nell’incontro con i settimanali cattolici promosso dall’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, in sintonia con la Fisc. “Aumenta la quantità di cittadini informati, ma si riduce drammaticamente la quota di cittadini consapevoli, dotati di discernimento”: questo, per Pagnoncelli, “il vero problema” con cui si devono fare i conti: “Le conseguenze della dieta mediatica sono il paradosso per cui ciascuno di noi, raggiunto da una quantità esponenziale di stimoli informativi, è costretto a fare selezione delle notizie e dei mezzi. Di fronte a un panorama così vasto, ognuno di noi adotta comportamenti selettivi”.
    Quasi due italiani su tre ascoltano la radio tradizionale, ha proseguito Pagnoncelli, mentre i giornali cartacei sono passati dal 67% del 2007 al 40,5% del 2015, con un calo inesorabile e progressivo. Anche la “free press” ha una contrazione molto significativa: dal 35% al 9,6%. I settimanali, infine, sono passati dal 40,3% del 2007 al 20,7%: ciò vuol dire che sono letti da poco più di un quarto degli italiani. “La stampa – lo sguardo di sintesi – sta soffrendo in termini economici: si riduce il digital divide, ma aumentano le persone che hanno perso il rapporto con la carta stampata, in particolare con i giovani”.
    “C’è un trend inarrestabile di calo della stampa”- ha detto ancora Pagnoncelli. “È indiscutibile che i settimanali cattolici abbiano una posizione unica, distintiva, ma è difficile immaginare di avere una rendita di posizione. Autorevolezza e qualità editoriale sono i requisiti da valorizzare, in un quadro mediatico in cui c’è una flessione generale per due ordini di motivi: il cambiamento della dieta mediatica degli italiani e l’assenza di un ricambio generazionale, sia per quanto riguarda l’accesso ai media, sia in termini di dinamiche demografiche”.
    “Paradossalmente cresce la domanda di comprensione dei fenomeni", ambito nel quale “le tecnologie possono favorire il ricambio generazionale, ma non riequilibrarlo del tutto”. E i settimanali? “Devono essere massa critica e non devono rincorrere altri mezzi”, ha commentato il presidente dell’Ipsos, secondo il quale è il tempo forse di fare scelte più coraggiose, che vadano a valorizzare la specificità dei mezzi. E’ vero che si dedica meno tempo alla lettura, ma non si può rinunciare alla funzione specifica della stampa”.
    I settimanali cattolici devono allora “aiutare il discernimento, aiutare a interpretare i fenomeni, a favorire lo scambio, a evitare che prevalgano sempre le percezioni sulla realtà”. Altro imperativo per la carta stampata: “rinunciare alla logica dell’audience, quella per cui è sull’emozione che si muovono i comportamenti”.
    "In un panorama mediatico sempre più complesso e frammentato - ha concluso il Presidente Ipsos - per paradosso emerge una grande domanda di senso”, ed il futuro dei settimanali cattolici sta nella capacità di “comprendere e saper rispondere a questa domanda di senso”. I settimanali diocesani sono chiamati a “dare risposte di senso al singolo cittadino e al singolo credente”, partendo dalla constatazione che “quella dei lettori non è una massa indistinta”. “Formare informando”, l’imperativo di sintesi per “favorire un processo di apprendimento, non solo per l’opinione pubblica ma anche per le classi dirigenti”.

  • Rapporto Comunicazione 2016: tutti i dati

    Tengono la televisione (97,5% degli italiani) e la radio (83,9%). Perdono i quotidiani (40,5%). Cresce impetuosamente l’utilizzo di smartphone (+12% in un anno). Anche Internet aumenta di 2,8 punti percentuali nell’ultimo anno.

  • Rapporto comunicazione: l'intervento di Vania De Luca (Presidente Ucsi)

    È dai primi anni 2000 che il Rapporto Censis- Ucsi sulla Comunicazione disegna puntualmente da un lato lo stato del sistema dell’informazione in Italia individuandone caratteristiche e criticità, dall'altro le modalità di fruizione delle notizie da parte degli italiani, costituendo un prezioso strumento di analisi su quello che è uno degli  indici di qualità della nostra democrazia, fornendo il quadro di uno spaccato culturale del nostro Paese e anche dell'idea di cittadinanza che questo è in grado di esprimere.

  • Sarà presentato il 4 ottobre il nuovo Rapporto sulla Comunicazione Ucsi-Censis

    Sarà presentato il prossimo 4 ottobre a Roma (Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani) il 14° Rapporto sulla comunicazione Ucsi-Censis, che anche quest’anno prosegue il monitoraggio dei consumi dei media  “Mentre si superano soglie sempre nuove nei processi di disintermediazione digitale, e l'informazione appare avvitata tra fake news e post-truth in una transizione ancora incompiuta– scrive il Censis in una nota - i social network si affermano sempre più come piattaforme di distribuzione dei contenuti in rete”.

    Il Rapporto sarà presentatp da Massimiliano Valerii, Direttore Generale Censis. Ne discuteranno Vania De Luca (Presidente Ucsi), Gian Paolo Tagliavia (Rai), Gina Nieri (Mediaset), Lorenzo Serra (Tv2000), Massimo Angelini (Wind Tre), Laura Bononcini (Facebook) e Maurizio Costa (Presidente Fieg)

    Ke conclusioni sono affidate a Giuseppe De Rita, Presidente Censis

  • Un nuovo contratto sociale tra i media e chi ne fruisce

    "Quando le chiacchiere diventano notizie è necessario un nuovo contratto sociale tra il lettore e il mondo dei media, fondato non più su ciò che si evidenzia velocemente nell'era dell'informazione istantanea, ma sulla fiducia"...