passione

  • 'Vide e credette'. Giornalisti per un giorno sulla scena della passione di Gesù

    Tra i personaggi che popolano il racconto della passione di Gesù – una delle condanne a morte più efferate che si conoscano – ve ne sono almeno tre che potrebbero far parte a pieno titolo di una troupe di reporter: il centurione, la donna che asciuga il volto di Cristo, il discepolo che Gesù amava. Ognuno a suo modo.

  • Il significato della croce per i Romani

    Anzitutto era un atto atrocemente crudele:

    Il procedimento di crocifissione non danneggiava organi vitali, improbabile era anche l’emorragia. La morte, invece, era lenta e avveniva dopo delle ore per collasso o soffocamento per i muscoli esausti. Ai cittadini romani era risparmiata; era invece riservata solo a chi era di condizione inferiore e in particolare, a criminali schiavi pericolosi e rivoltosi. In Giudea era efficace come deterrente contro la resistenza all’occupazione romana.

    Evento pubblico e vergognoso:

    Spogliato, nudo senza dignità, legato a un palo su un punto molto frequentato il condannato era esposto allo scherno crudele dei passanti. Inoltre al crocifisso era negata la sepoltura: i corpi restavano sulla croce come carogna per gli uccelli o in attesa di putrefazione. In questo modo si ricordava alla plebaglia il destino di chi opponeva resistenza all’autorità dello stato. I crocifissi erano posti su colline per dare spettacolo e per intimare di non imitarli. Poi i cadaveri venivano gettati in una fossa comune.

    Una forma normale di punizione:

    La vittima poteva essere legata o inchiodata alla croce, con o senza una trave trasversale in diverse posizioni. Non è chiaro se la crocifissione avesse sempre luogo prima o dopo la morte del soggetto. Sembra che i romani abbiano praticato una forma più costante di crocifissione: era preceduta da una flagellazione; le vittime spesso trasportavano la trave trasversale al luogo della crocifissione, dov’erano inchiodate o legate alla croce con le braccia distese, sollevate e forse erano seduti su un piccolo appoggio di legno. D’altra parte, come racconta Giuseppe Flavio, anche tra i romani il metodo di crocifissione era soggetto al capriccio dei capi militari.
    Pertanto i sentimenti negativi associati alla croce sono riferiti da Paolo in 1Cor 1,18-25 e nella lettera ai Galati 3,13.
    Questo marchio di infamia è dovuto in un contesto giudaico al fatto di collegare la crocifissione, già durante questo periodo, a Dt 21,22-23: «Chiunque è appeso a un albero è sotto la maledizione di Dio».
    Tuttavia la serietà teologica accordata alla croce di Cristo, unita al suo fortissimo significato positivo nei primi circoli cristiani, si trova in forte contrasto con queste attese. E’ molto interessante che Dt 21,23 avesse un ruolo evidente nella prima riflessione cristiana sul significato della croce, come risulta dalle allusioni in At 5,30; 13,29 e Gal 3,13-14. L’ossimoro cosi prodotto – che il «maledetto» è di fatto «l’Unto» – è messo in evidenza da Paolo nella sua espressione kerigmatica «Cristo crocifisso» in 1Cor 1,23; 2,2 (cfr. Gal 3,1; 2,19).

    Il senso teologico:

    Appaiono due termini nei racconti della crocifissione: “Cristo” e “crocifisso”.Il primo: l’unto (semitismo greco); atto che veniva fatto per i re, i grandi, gli eletti di Dio, di cui l’eletto, il profeta era rappresentante.Il secondo era un atto che veniva fatto su un criminale, nemico dello Stato oppure il maledetto da Dio secondo la Thorà. “Il Benedetto maledetto”. Paradosso intellettuale che Paolo mette insieme: Benedetto da Dio, maledetto dall’uomo. Afferma Brodeur: “Per descrivere l’amore molti poeti usarono ossimori perché la logica umana non poteva e non può capire il mistero d’amore. La croce, infatti, è il No di Dio alla nostra logica presunta di fare e controllare e possedere. Dio confonde la nostra logica, nega la nostra falsità, illusione, non realtà. Dio nega il non-umano che è in noi. Contro la logica umana che crea idoli che non sono l’unico Signore. La croce allora diviene il Si al vero nostro essere, al progetto d’amore per noi, Si alla sua realtà creata, logica di essere per noi, si alla nostra vera natura umana. Condanna, insomma, il falso, giusto giudizio dei nostri peccati che sono disobbediente scelta di non-realtà”.

    Non c’è amore senza sacrificio, che non sia un illusione. Ed aggiunge: “Non atto eroico ma atto d’amore. La logica della croce è carità e giustizia. E’ il rigetto della ingiustizia umana, individuale e sociale ed esaltazione della giustizia di Dio che giustifica nella croce. Noi accogliamo la sua giustizia e diventiamo giusti per mezzo della fede nel benedetto maledetto. Paolo deve usare il paradosso per comunicare il mistero, confonderci e salvarci. Il crocifisso quindi è la struttura interpretativa fondamentale per conoscere Dio, è la pienezza della Rivelazione”.

    L'autore. Francesco Occhetta S.I., è consulente ecclesiastico dell'Ucsi. Altre sue riflessioni sono all'interno della rubrica "Parola e Parole" in questo stesso sito.

    nella foto: "La Crocifissione" del Tiepolo

  • Il significato della croce per i Romani

    Anzitutto era un atto atrocemente crudele:

    Il procedimento di crocifissione non danneggiava organi vitali, improbabile era anche l’emorragia. La morte, invece, era lenta e avveniva dopo delle ore per collasso o soffocamento per i muscoli esausti. Ai cittadini romani era risparmiata; era invece riservata solo a chi era di condizione inferiore e in particolare, a criminali schiavi pericolosi e rivoltosi. In Giudea era efficace come deterrente contro la resistenza all’occupazione romana.

    Evento pubblico e vergognoso:

    Spogliato, nudo senza dignità, legato a un palo su un punto molto frequentato il condannato era esposto allo scherno crudele dei passanti. Inoltre al crocifisso era negata la sepoltura: i corpi restavano sulla croce come carogna per gli uccelli o in attesa di putrefazione. In questo modo si ricordava alla plebaglia il destino di chi opponeva resistenza all’autorità dello stato. I crocifissi erano posti su colline per dare spettacolo e per intimare di non imitarli. Poi i cadaveri venivano gettati in una fossa comune.

    Una forma normale di punizione:

    La vittima poteva essere legata o inchiodata alla croce, con o senza una trave trasversale in diverse posizioni. Non è chiaro se la crocifissione avesse sempre luogo prima o dopo la morte del soggetto. Sembra che i romani abbiano praticato una forma più costante di crocifissione: era preceduta da una flagellazione; le vittime spesso trasportavano la trave trasversale al luogo della crocifissione, dov’erano inchiodate o legate alla croce con le braccia distese, sollevate e forse erano seduti su un piccolo appoggio di legno. D’altra parte, come racconta Giuseppe Flavio, anche tra i romani il metodo di crocifissione era soggetto al capriccio dei capi militari.
    Pertanto i sentimenti negativi associati alla croce sono riferiti da Paolo in 1Cor 1,18-25 e nella lettera ai Galati 3,13.
    Questo marchio di infamia è dovuto in un contesto giudaico al fatto di collegare la crocifissione, già durante questo periodo, a Dt 21,22-23: «Chiunque è appeso a un albero è sotto la maledizione di Dio».
    Tuttavia la serietà teologica accordata alla croce di Cristo, unita al suo fortissimo significato positivo nei primi circoli cristiani, si trova in forte contrasto con queste attese. E’ molto interessante che Dt 21,23 avesse un ruolo evidente nella prima riflessione cristiana sul significato della croce, come risulta dalle allusioni in At 5,30; 13,29 e Gal 3,13-14. L’ossimoro cosi prodotto – che il «maledetto» è di fatto «l’Unto» – è messo in evidenza da Paolo nella sua espressione kerigmatica «Cristo crocifisso» in 1Cor 1,23; 2,2 (cfr. Gal 3,1; 2,19).

    Il senso teologico:

    Appaiono due termini nei racconti della crocifissione: “Cristo” e “crocifisso”.Il primo: l’unto (semitismo greco); atto che veniva fatto per i re, i grandi, gli eletti di Dio, di cui l’eletto, il profeta era rappresentante.Il secondo era un atto che veniva fatto su un criminale, nemico dello Stato oppure il maledetto da Dio secondo la Thorà. “Il Benedetto maledetto”. Paradosso intellettuale che Paolo mette insieme: Benedetto da Dio, maledetto dall’uomo. Afferma Brodeur: “Per descrivere l’amore molti poeti usarono ossimori perché la logica umana non poteva e non può capire il mistero d’amore. La croce, infatti, è il No di Dio alla nostra logica presunta di fare e controllare e possedere. Dio confonde la nostra logica, nega la nostra falsità, illusione, non realtà. Dio nega il non-umano che è in noi. Contro la logica umana che crea idoli che non sono l’unico Signore. La croce allora diviene il Si al vero nostro essere, al progetto d’amore per noi, Si alla sua realtà creata, logica di essere per noi, si alla nostra vera natura umana. Condanna, insomma, il falso, giusto giudizio dei nostri peccati che sono disobbediente scelta di non-realtà”.

    Non c’è amore senza sacrificio, che non sia un illusione. Ed aggiunge: “Non atto eroico ma atto d’amore. La logica della croce è carità e giustizia. E’ il rigetto della ingiustizia umana, individuale e sociale ed esaltazione della giustizia di Dio che giustifica nella croce. Noi accogliamo la sua giustizia e diventiamo giusti per mezzo della fede nel benedetto maledetto. Paolo deve usare il paradosso per comunicare il mistero, confonderci e salvarci. Il crocifisso quindi è la struttura interpretativa fondamentale per conoscere Dio, è la pienezza della Rivelazione”.

    L'autore. Francesco Occhetta S.I., è consulente ecclesiastico dell'Ucsi. Altre sue riflessioni sono all'interno della rubrica "Parola e Parole" in questo stesso sito.

    nella foto: "La Crocifissione" del Tiepolo