giustizia riparativa

  • Alla vigilia del convegno del 15 ottobre a Roma: 'Il giornalismo davanti alla giustizia'

    Alla vigilia di un interessante confronto su "comunicazione e giustizia", in programma a Roma il 15 ottobre e organizzato anche da Ucsi (leggi qui), proponiamo ancorai, per #deskdelladomenica, il contributo di Francesco Occhetta, scrittore di Civiltà Cattolica e consulente ecclesiastico dell'Ucsi, sul rapporto tra giornalismo e giustizia.E' stato pubblicato nel 2018 sulla nostra rivista Desk e certamente è ancora molto attuale. E' possibile abbonarsi a Desk scrivendo a ucsi@ucsi.it o contattando la propria Ucsi regionale.

  • Il giornalismo davanti alla giustizia

    Per il giornalismo, narrare la giustizia è come aggiungere un mattone alla costruzione di una casa comune. Oppure, può essere come far cadere una goccia d’acqua dopo l’altra sulla roccia della convivenza sociale, per frantumarla e farla saltare.

  • Il martirio del beato Rosario Livatino. Uomo giusto e giudice fedele

    Un anno fa, nella cattedrale della 'sua' Agrigento Rosario Angelo Livatino, il magistrato ucciso "in odio alla fede", è stato proclamato beato. L'omiciio avenne il 21 settembre 1990, ormai più di trent'anni fa. Livatino è il primo giudice dichiarato ' beato' nella storia della Chiesa. Nel numero della nostra rivista Desk dedicato al “racconto giornalistico della giustizia”, nel 2018, lo aveva ricordato Marilisa Della Monica con questo bell’articolo che adesso vi riproponiamo. In un momento, peraltro, in cui il tema della giustizia e il ruolo dei magistrati è in primissimo piano (ar)

  • Il martirio di Rosario Livatino, che oggi è 'beato'. Uomo giusto e giudice fedele

    Oggi, domenica 9 maggio, nella cattedrale della 'sua' Agrigento Rosario Angelo Livatino, il magistrato ucciso "in odio alla fede", diventerà beato. L'omiciio avenne il 21 settembre 1990, ormai più di trent'anni fa. Livatino è il primo giudice dichiarato ' beato' nella storia della Chiesa. Nel numero della nostra rivista Desk dedicato al “racconto giornalistico della giustizia”, nel 2018, lo aveva ricordato Marilisa Della Monica con questo bell’articolo che adesso vi riproponiamo.

  • Il martirio di Rosario Livatino: uomo giusto e giudice fedele. Ora sarà 'beato'

    Morì trent’anni fa nella ‘sua’ Agrigento, ora Rosario Angelo Livatino, il magistrato ucciso "in odio alla fede", diventerà beato. Il Papa infatti ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio. Nel numero della nostra rivista Desk dedicato al “racconto giornalistico della giustizia” lo aveva ricordato Marilisa Della Monica con questo bell’articolo che adesso vi riproponiamo.

  • L'eccesso di cronaca "nera" e il giornalismo che costruisce pace e giustizia

    Di recente il vertice Rai ha ritenuto che la cronaca nera che le reti mandano in onda abbia superato ogni limite. Non solamente perché a livello educativo si favoriscono comportamenti emulativi ma soprattutto perché sembra quasi che una faccia della moneta della realtà sia l’unica.


    Nella complessità di leggere il reale il giornalismo deve essere forte e tenersi radicato nel suo fondamento: non serve per distruggere il mondo ma per cambiarlo. Se si parla di violenza e di guerra per fare notizia occorre anche parlare di pace e di giustizia che sono gli unici antidoti per arginare il male.

    Durante il Novecento la Chiesa è ritornata a riaffermare con fermezza il valore della pace. Per i Papi la pace è nutrita da una radice spirituale e può essere costruita da coloro che scoprono la «pace del cuore» e sono capaci di dialogare con culture e religioni diverse. In quale modo si può distinguere un giornalismo che parla di pace? Quello per esempio che si prodiga per investire in formazione, oppure che racconti la costruzione della pace nei territori, o quello che dà spazio alle politiche di riduzione degli armamenti fino a prendere posizione per promuovere la riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro i poteri forti che la bloccano.

    Per la Chiesa punto di arrivo per una nuova partenza rimane la costituzione pastorale Gaudium et Spes del Vaticano II (1965), che dopo aver esaminato la natura della pace, dono di Dio da accogliere e da custodire, contiene l’unica condanna radicale di tutto il Concilio: «Ogni azione bellica […], è un crimine contro Dio e l’umanità che bisogna condannare con fermezza e senza vacillazione» (n. 80).

    Ma c’è di più: quale giornalismo sta promuovendo sistematicamente la giustizia?

    Lo sappiamo. La situazione intesa in senso stretto nelle carceri italiane rimane complessa: nei 195 istituti penitenziari italiani, sono presenti circa 54.000 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 49.480. Il tasso di recidiva all’inizio del 2015 era pari al 69%; questo significa che dei circa 1.000 detenuti che escono dalle carceri ogni giorno, circa 690 ritorneranno a delinquere.

    Eppure il giornalismo al servizio della giustizia aiuta, per esempio, la popolazione carceraria a comprendersi? Si tratta di persone poco rappresentative della società se pensiamo che il 5% dei detenuti sono analfabeti, il 45% è straniero, il 38% è senza fissa dimora, solamente l’1% dei detenuti sono laureati; il tasso di suicidi nelle carceri è 18 volte superiore a quelli fuori.

    E quando scriviamo di giustizia lo facciamo considerando le carceri una discarica sociale oppure un luogo per rieducare in cui è necessario coinvolgere anche la società dei ben pensanti?

    E ancora: il giornalismo è preparato a immettere nell’Ordinamento nuove forme di giustizia che rendano più umano e possibile la rieducazione?

    Il giornalismo può avere il potere di riconciliare, perché questo è possibile. Tuttavia per «rifondare» la giustizia occorre una conversione culturale che contrapponga alla visione retributiva quella riparativa, che si fonda su una domanda: cosa può essere fatto per riparare il danno? La riparazione non è solamente riconoscimento, include un percorso di riconciliazione che è impostato su quattro passaggi fondamentali: la consapevolezza da parte del reo della propria responsabilità; la comprensione da parte del reo dell’esperienza di vittimizzazione subita dalla vittima e del danno compiuto nei confronti della comunità intera; l’elaborazione, da parte della vittima, della propria esperienza di vittimizzazione; infine, la presa di coscienza da parte della comunità dei livelli di rischio.

    E tutto questo va narrato.

    Il modello della giustizia riparativa, chiamata anche restorative justice, è molto diffuso soprattutto negli Stati Uniti e in Canada ma il giornalismo italiano ne parla troppo poco.

    Proprio grazie a una parte del giornalismo nei Paesi anglosassoni, è avvenuto un vero cambiamento promosso dalle comunità, dalle persone, dal basso. Si è partiti con un’idea di restorative community e si è fatto un importante investimento sulla promozione del paradigma riparativo nella formazione dei bambini che, oltre a essere i cittadini del domani, rappresentano la possibilità di cambiare prospettiva nella risoluzione dei conflitti interpersonali.

    Se il modello della giustizia riparativa sta dando buoni risultati e timidamente sta entrando anche nel nostro Ordinamento per quale motivo il giornalismo italiano non si ricompatta per dire che la pena non può rimanere (solo) detentiva? L’idea di corrispettività della bilancia della giustizia in cui al negativo bisogna rispondere con il negativo ha dimostrato il suo fallimento.

    Certo non è semplice, ma per il giornalismo è a portata di mano se vuole essere al servizio della democrazia e della pace. Lo ribadisce anche l’autorevole esperienza di don Ciotti: «Non parliamo, beninteso, di un cammino facile, perché la giustizia riparativa è, prima di un sistema giuridico, un prodotto culturale, capace di promuovere percorsi di riconciliazione senza dimenticare le esigenze della giustizia “retributiva”, incentrata sul rapporto tra il reato e la pena, e della giustizia “riabilitativa”, più attenta al “recupero” del detenuto […]. Percorsi delicati, quasi mai lineari, […] perché il ricostruire le relazioni umane e il tessuto sociale non può andare a discapito dell’equità, della certezza e della funzione riabilitativa della pena».

  • La giustizia capovolta. Esperienze e prospettive per un approccio riparativo alla pena

    I percorsi di mediazione e di riparazione tra vittime e attori del reato sono ancora poco usati in Italia e la legge li permette per i reati entro i 4 anni di reclusione. Percorsi che servono per le vittime, che possono esprimere e condividere il proprio dolore, e per il reo, che si responsabilizza e prende consapevolezza delle sofferenze provocate. Se ne è parlato all’Università La Sapienza di Roma con i familiari di vittime di mafia, docenti universitari, il presidente di Libera Don Luigi Ciotti, l’autore de “La giustizia Capovolta”, Francesco Occhetta e Lucia Castellano, direttore generale del Dipartimento giustizia minorile e di comunità.

    Nei 195 istituti penitenziari italiani, al 31 gennaio 2016, erano presenti 52.475 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 49.480. I detenuti in eccedenza rispetto ai posti previsti erano 3.048 (+7,5%). Il tasso di recidiva all’inizio del 2015 era pari al 69%. Dei circa 1.000 detenuti che escono dalle carceri ogni giorno, circa 690 ritorneranno a delinquere. Lo Stato spende solamente 95 centesimi al giorno per l’educazione dei detenuti, rispetto ai 200 euro pro-capite previsti. Per il mondo della giustizia rimane una domanda antica: in quale modo è possibile garantire la certezza della pena insieme alla certezza della rieducazione? Ristabilire la giustizia non significa intimidire e intimorire attraverso pene esemplari per ottenere una sicurezza maggiore. Lavorare al recupero non è un elitarismo ma è porre al centro dell’ordinamento la prevenzione generale.

    C’è bisogno insomma di capovolgere il senso antropologico della giustizia e ricollocare al centro dell’ordinamento il dolore delle vittime e la dignità dei detenuti che rimangono persone anche quando sono prive di libertà. Particolarmente toccante è stata la testimonianza di Daniela Marcone che oggi è responsabile del settore Memorie dell'Associazione Libera.

  • La giustizia riparativa. Ad Ancona incontro con Padre Occhetta.

    Nel pomeriggio di venerdì 29 giugno presso la Sala Confindustria Marche Nord ad Ancona si è svolto un convegno regionale dedicato al tema della giustizia riparativa, a partire dal modello biblico, culturale e antropologico proposto e approfondito dal nostro consulente ecclesiastico Padre Francesco Occhetta nel suo libro “La giustizia capovolta. Dal dolore alla riconciliazione”.

  • La giustizia riparativa. Quali prospettive? Confronto al Meeting di Rimini.

    Il pubblico numeroso che giovedì 24 agosto ha partecipato al Meeting di Rimini all’incontro dedicato al tema della giustizia riparativa, è stato un segno evidente che testimonia quanto l’esperienza del diritto faccia parte del tessuto del nostro vivere quotidiano e non sia solo una prerogativa dei giuristi. «“Vogliamo giustizia” è un’espressione molto ricorrente, ma cosa significa fare giustizia per una persona che ha subito una grave perdita umana e affettiva?»:

  • Magistrati e giornalisti: incontro al Csm

    Primo incontro al CSM tra l’Ordine dei Giornalisti, la Federazione della Stampa e il gruppo di lavoro dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura.

  • Rosario Livatino: uomo giusto e giudice fedele

    In °deskdelladomenica , oggi, l'articolo di Marilisa Della Monica sul giudice Rosario Livatino, figura straordinaria e ancora forse poco conosciuta. Fu un martire della lotta alla mafia, per lui è in corso la causa di beatificazione. Questo è uno dei contributi dell'ultimo numero della nostra rivista Desk.

  • Torna #deskdelladomenica. 'Il giornalismo davanti alla giustizia'

    Riproponiamo oggi, per #deskdelladomenica, il contributo di Francesco Occhetta, scrittore di Civiltà Cattolica e consulente ecclesiastico dell'Ucsi, sul rapporto tra giornalismo e giustizia.E' stato pubblicato un anno fa sulla nostra rivista Desk e certamente è ancora molto attuale. E' possibile abbonarsi a Desk scrivendo a ucsi@ucsi.it o contattando la propria Ucsi regionale.