Forza e debolezza del giornalismo online (1 2017)

Forza e debolezza del giornalismo online, di Elisa Costanzo

Uno studio ancora pionieristico e dal campione contenuto, che però getta luce su una galassia importante tutta da approfondire: il secondo "Rapporto sul giornalismo digitale locale e iperlocale", promosso dal gruppo di lavoro Giornalismi dell'Ordine dei Giornalisti e dall'ANSO, Associazione Nazionale Stampa Online e disponibile all'indirizzo http://www.lsdi.it/2016/rapporto-sul-giornalismo-digitale-locale-iperlocale, ha il merito di voler accendere i riflettori su una realtà poco conosciuta, quale quella delle testate giornalistiche digitali locali.

Sul piatto, il tentativo di fotografare un settore che conta 1300 testate registrate native esclusivamente digitali, non collegate cioè a testate cartacee o emittenti radio tv, e che provano, pur nelle difficoltà economiche, a sostenersi esclusivamente sul lavoro giornalistico. Una realtà viva, dal grande potenziale, gravata da non pochi problemi, che spesso si trova a svolgere funzioni di servizio pubblico pur non essendo sostenuta o adeguatamente riconosciuta dalle istituzioni. Una realtà giovane, visto che il 95% delle testate è stato fondato tra il 2000 e il 2010.

Qualche numero: il 94% delle testate rilevate dal campione dichiara di essere registrato in tribunale e di produrre notizie da fonti dirette, il 76% pubblica articoli sette giorni su sette, il 75% dichiara di effettuare verifiche e controlli dei materiali prodotti, più della metà si occupa di informazione generalista e in oltre il 70% dei casi l'ambito territoriale di riferimento è locale e iperlocale; in particolare, regionale (33%), provinciale (25%) e cittadino (25%). Data l'estrema capillarità geografica, non stupisce il limitato utilizzo delle agenzie di stampa: la notizia viene prodotta direttamente sul campo. E qui si innesca il cortocircuito economico che manda in tilt il sistema: l'86% del campione dichiara un fatturato inferiore ai 100mila euro, ma non va meglio anche per i più forti economicamente: delle 11 aziende, il 14% del campione, che dichiarano un fatturato superiore ai 100mila euro, soltanto 5 riescono a coprire i costi e addirittura una soltanto riesce a fare profitti. Vivere esclusivamente sul giornalismo online resta quindi al momento ancora una chimera. Non a caso, il 53% delle testate non ha dipendenti e solo il 37% ne ha uno. Numerosi i collaboratori, in media 7 per testata.

Numeri interessanti vengono anche dalla forma societaria: oltre la metà del campione dichiara di essersi costituito in associazione oppure come ditta individuale; soltanto il 6% è costituito da cooperative e l'8% da S.p.A.. Il contratto giornalistico nazionale viene applicato soltanto nel 19% del campione, circa la metà è territorio delle partite Iva ma anche ritenute d'acconto e lavoro volontario. Prima fonte di entrate è la pubblicità, che prende la forma del banner nel 95% dei casi, mentre i contributi pubblici si fermano al 6% delle entrate totali.

Pur nella esigua rappresentatività del campione (l'analisi si basa su 79 questionari, il 6% delle 1300 testate totali esistenti), è possibile fare alcune riflessioni a partire dalla ricerca.

Il primo problema comune dichiarato dagli intervistati è la sostenibilità economica: il giornalismo di qualità non sta in piedi esclusivamente con le entrate provenienti dalla pubblicità. Perché le entrate sono limitate (l'online ha prezzi inferiori rispetto a carta, affissioni, tv, ecc) e perché le aziende che offrono pubblicità si mettono spesso in condizione di voler - annoso problema - condizionare le notizie. A questo si aggiunge un problema culturale tuttora irrisolto, che interessa l'utente finale: Internet nasce come rete trasparente e gratuita, accessibile a tutti e democratica per eccellenza, e quindi free, e non a pagamento. Le testate lamentano tutte la mancanza di finanziamenti e di sostegno economico da parte delle istituzioni, la carenza di bandi per l'editoria online soprattutto in ambito locale. Sul territorio le testate svolgono con passione un ruolo di frontiera, un riferimento che crea comunità, e che per la natura del mezzo però non conosce confini: non a caso, testate anche molto circoscritte localmente possono vantare collegamenti e fruitori dall'estero, soprattutto connazionali emigrati, permettendo quindi di mantenere contatti e relazioni con la propria terra d'origine.

In questo senso va sostenuta la proposta dell’Associazione Nazionale Stampa Online di creare un elenco speciale delle testate giornalistiche digitali registrate nei tribunali, mettendo in ordine i dati, facendo sistema e sensibilizzando le istituzioni alla nascita di un osservatorio del comparto digitale. Il fenomeno si presenta infatti molto variegato e poco conosciuto, soprattutto in assenza di dati certificati e riconosciuti sulle testate digitali; dati disponibili, è il caso di dirlo, anche in tempo reale.

Le storie di giornalisti attivi nelle testate, raccolte nella seconda parte del Rapporto, spaziano tra chi dichiara 15mila euro l'anno e ha un seguito di 50-60mila utenti al mese, potendo sfruttare una rete capillare di giornalisti in pensione (alessandriaoggi.it), a chi produce inchieste settimanali di cronaca fiorentina visitate da 4-5mila persone al giorno ma dichiara di essere costituito in associazione e di incassare 5mila euro all'anno (nove.firenze.it, online dal 1997). Il mondo locale dell'online, giovane e vivo, rischia però di perdersi in un mare di volontariato e volontarismo tutto a scapito della qualità dell'informazione e delle potenzialità del mezzo, che permette soprattutto per sua natura di intercettare un pubblico giovane. In questo senso sarebbe auspicabile un maggior coinvolgimento da parte del privato sociale a sostegno della categoria, magari anche attraverso lo strumento del crowfunding, estendibile anche a chi si collega dall'estero. L'informazione di qualità e l'approfondimento paiono non subire crisi a livello di richiesta e di fruizione da parte degli utenti, ma per garantire la tenuta del sistema occorre un maggior impegno da parte delle istituzioni, con bandi e finanziamenti ad hoc, e un coinvolgimento dei privati che non si limiti alle sponsorizzazioni e all'acquisto di spazi pubblicitari. In questo senso, le stesse testate online potrebbero farsi promotrici - in quanto soggetti di servizio pubblico - di progetti di pubblica utilità attorno a contenuti condivisi, per rinsaldare un vincolo tra cittadini e istituzioni in un'ottica di rinnovato bene comune.

Ultima modifica: Gio 8 Giu 2017

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