Sul prossimo numero di DESK 3/4 2017
Raccontare le migrazioni
di Vania De Luca
Questo numero di Desk, dedicato al tema delle migrazioni, arriva dopo quello sul lavoro. Tra i due c’è una relazione, una sorta di continuità, sia perché entrambi sono nati in collaborazione con la Rai, alla quale anche in questo numero dedichiamo un nostro dossier, sia perché il criterio che abbiamo seguito nel pensare e articolare i rispettivi indici risponde a un analogo, duplice obiettivo: da un lato fornire un’analisi critica del modo con cui la stampa, la radio, la televisione e il web si occupano dei grandi processi sociali del nostro tempo, dall’altro offrire ai colleghi giornalisti delle griglie di interpretazione di fenomeni complessi nei quali tutti siamo, a diverso titolo, coinvolti, giornalisti compresi.
In mezzo a ciò che accade. Raccontare le migrazioni come Servizio pubblico
Vania De Luca intervista la presidente Rai Monica Maggioni
Cosa è stato il Servizio pubblico nell’immediato dopoguerra, quando la Rai fu il luogo di costruzione di una possibile identità collettiva? Stiamo vivendo un’epoca che mette in discussione i grandi paradigmi dell’esistere, non solo, e non tanto, sul piano individuale quanto sul piano relazionale e dell’essere collettività. In questo contesto va affrontato il tema delle migrazioni. Il Servizio pubblico deve stare lì in mezzo, raccontando da cronisti quello che accade ma cercando anche di capirne il senso profondo: dove si può intervenire, quali strumenti di comprensione del fenomeno si possono fornire; chiedendosi come, dove e a chi, sentendosi parte di un percorso. La Rai può aiutare i cittadini a non sentirsi aggrediti. Ogni volta che si parla di immigrazione il rischio di vedersi bollati di buonismo dagli urlatori professionali è alto. Il tema però non è essere buoni o cattivi, ma essere o meno nella realtà. Questo è il mondo che ci è dato di vivere, e questi codici di realtà dobbiamo capire e dobbiamo saper gestire. Questo è il ruolo del Servizio pubblico.
Il prossimo. L’orizzonte del volto e delle comunità per l’integrazione
di Francesco Occhetta
Il tema dell’immigrazione fa riemergere nella cultura la domanda delle domande: «Chi è il mio prossimo?». È questa la stella polare dell’Occidente, che ha scelto di difendere e proteggere la dignità delle persone. Occorre farlo perché gradualmente stanno affiorando sentimenti di intolleranza profonda che, come piccole fiammelle, potrebbero devastare interi boschi. La conoscenza e la relazione si incontrano attraversando le regioni culturali, geografiche, sociali, intellettuali in cui si percepisce di riconoscersi nell’altro. Insomma, le differenze che creano paura e sconcerto sono anche il luogo della ricchezza: «La non identità è il modo in cui si elabora la comunione» tra diversi, che potrebbero essere anche in conflitto quando occorre, invece, integrarsi. Tutto questo parte da un incontro, dal bisogno di riconoscere il prossimo e di farsi riconoscere come prossimo. Sia a livello personale sia a livello politico.
Tutti i colori del mondo
Luigi Bartone incontra il fotografo Mohamed Keita
Quanto pesa un dettaglio in una scena, che valore ha un uomo nel mondo. Ci sono domande, cifrate negli scatti di Mohamed Keita, che inchiodano a un’attribuzione di senso come all’esperienza di un principio di solidarietà.
Un uomo attraversa la strada e il suo volto non lo vedi, fatalmente coperto dal tabellone orario dei bus. Di un altro vedi i piedi in primo piano, il contesto è tutto da immaginare. Sia che prenda un dettaglio e lo ipersignifichi o che viceversa lo nasconda fin quasi al silenzio, Keita chiede a un altro sguardo di costruire con lui.
La Santa Sede davanti ai flussi migratori
Vittorio Alberti intervista padre Fabio Baggio
L’epoca in cui viviamo è caratterizzata da una mobilità umana senza precedenti: si stima la presenza di 232 milioni di migranti internazionali e di 740 milioni di migranti interni nel mondo. Le principali destinazioni sono gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, la Germania, la Federazione Russa, gli Emirati Arabi Uniti, il Regno Unito, la Francia, il Canada, la Spagna e l’Australia. Tra i corridoi migratori nel mondo primeggia sicuramente quello Messico-Stati Uniti, rappresentato da un flusso di 13 milioni di migranti (2013). Il secondo è quello Russia-Ucraina, seguito da Bangladesh-India e da Ucraina-Russia. Inoltre, la migrazione Sud-Sud è più ingente di quella Sud-Nord, esse rappresentano infatti rispettivamente il 38% e il 34% del totale. La geografia dei flussi migratori sta cambiando, in linea con i cambiamenti nell’economia mondiale.
Immigrati: i volti, le cifre, i modelli di integrazione
di Luca Alteri, Paolo De Nardis
Gli stranieri residenti ufficialmente in Italia sono aumentati di 12mila unità, ma gli italiani che si sono trasferiti all’estero hanno conosciuto un incremento di oltre 200mila soggetti, tanto che, se l’Italia incide oggi per il 4% sul totale delle migrazioni mondiali (oltre dieci milioni di “movimenti”), di questa percentuale la metà è costituita dai flussi “in uscita” – cioè dagli italiani trasferitisi all’estero – e cinque milioni circa dagli stranieri residenti sul territorio nazionale. Chi sono questi individui? Quali sono i loro obiettivi, giunti da noi?
Lo sguardo della Rai
di Rosa Maria Serrao
È possibile un’altra informazione oltre certa cronaca sull’immigrazione? è la domanda che abbiamo posto ad alcuni colleghi del Servizio pubblico che per diverse testate giornalistiche seguono gli eventi migratori e che per storia professionale e umana hanno incarnato l’essenza del giornalismo di qualità, che è oggi quel giornalismo consapevole della complessità dei fatti, delle interconnessioni sempre più fitte, che si pone alla ricerca della verità e delle possibili connessioni tra quanto accade, che ha trovato nella ricerca, nell’analisi e nel “racconto” gli strumenti per comprendere le dinamiche del fenomeno migratorio.
La Rai e l’immigrazione: un palinsesto civile per raccontare la complessità
di Giovanni Parapini
L’immigrazione è oggi una delle sfide tra le più importanti. La Rai vi dedica un vero e proprio “palinsesto civile” fatto di informazione, approfondimento, film, documentari e iniziative in grado di dare voce e visibilità a tutti gli aspetti di questo fenomeno. Le incognite e le “good news” dell’integrazione, l’universo della solidarietà, l’apporto allo sviluppo, le criticità della convivenza. E, soprattutto, il dramma e le speranze di chi lascia la propria terra in cerca di salvezza o di fortuna, sfidando il mare, i confini, le persecuzioni, i trafficanti.
Gli occhi dei bambini negli occhi del cronista
di Angela Caponnetto
Il racconto onesto del cronista che si occupa di questi temi è fondamentale in questo mondo che sta cambiando velocemente. Ma solo se il reporter ci metterà i piedi, le mani, la testa e il cuore la narrazione uscirà dalla retorica e dal distacco, che non possono creare empatia in chi legge o ascolta. Ovviamente questo, per chi fa il nostro mestiere, ha un prezzo: perché chi ha deciso di raccontarlo riflettendosi in quegli occhi, una volta intrapreso il percorso non potrà più tornare indietro.
Nei panni degli altri
di Matteo Spicuglia
In un mondo complesso, un giornalista ha un unico compito: deve semplicemente rientrare in se stesso, cercare una notizia, comunicarla al mondo, senza aggiungere altro. Un giornalista così non ha doppi fini, non conosce le doppie misure, è schietto. Accetta di non essere onnisciente, di avere bisogno dei consigli e dell’aiuto degli altri. Non parla difficile, perché sa che nuvole alte non hanno mai fatto pioggia. Non fa differenze, perché capi di Stato e piccoli sono la stessa cosa, deve avere un’onestà intellettuale assoluta, provare a far tacere pregiudizi e retropensieri, rifiutare di ingabbiare la realtà nei filtri della sua cultura.
Un giornalista così sa di avere tra le mani mezzi potenti e fragili insieme, una credibilità da rinnovare ogni giorno con impegno, con il sacrificio. Accetta la complessità della realtà, ma è disposto a non dormire di notte per renderla più accessibile. Al tempo stesso, sa che c’è un limite alla semplificazione, che le sfumature esistono e riguardano soprattutto l’animo umano.
Sulle rotte dei migranti
intervista a Ilario Piagnerelli
La polemica del momento riguarda la parola “migranti”: ci accusano di averla sostituita al vecchio “immigrati”. Secondo un certo complottismo, contribuiremmo con le scelte lessicali ad avallare l’“invasione”. In realtà si è iniziato a dire “migranti” quando è stato chiaro che la maggior parte di loro usava l’Italia come mero Paese di transito verso il nord Europa. Per alcuni partiti questa crisi è stata la manna dal cielo: episodi di criminalità e degrado non mancano mai, com’è normale. Basta raccontare solo quelli e cavalcarli, risvegliando l’atavica paura del diverso. Il nostro dovere è ricordare che stiamo parlando di persone, nomi, volti, singole storie. Come singolo e personale è l’esame delle richieste d’asilo cui i migranti si sottopongono all’arrivo.
Il racconto dell’esodo
Rosa Maria Serrao intervista Amedeo Ricucci
Il meccanismo dell’informazione ha delle storture che sono sempre più preoccupanti soprattutto nell’era digitale. Un’era in cui le notizie non arrivano più dalla macchina dell’informazione ma dai social, o direttamente dai citizen journalist, dai cittadini. Al sistema informativo viene richiesto di più. Il sistema informativo, se vuole sopravvivere e superare anche la crisi che attanaglia l’editoria, in Europa come negli altri continenti, deve poter dare di più. Questo “di più” non può che essere la capacità di contestualizzare le notizie, di approfondirle, di fornire racconti.
Il piccolo miracolo de I Migrati
di Angelo Figorilli
Raccontare la complessità di un fenomeno che coinvolge milioni di persone, di storie, di destini, di vite, raccontarlo tenendo assieme la razionalità dei numeri e le emozioni che provoca non è facile, registrare i sentimenti che suscita, delinearne il contesto senza cedere alla facile tentazione di drammatizzare, di soffiare sul fuoco della paura per il diverso e lo straniero, ancora di più.
Aiutiamoci a casa nostra. Il caso Calabria
di Loredana Cornero
Oggi, quando si parla di sbarchi e di migranti si parla del nostro Mediterraneo, del nostro sud, della Sicilia, di Lampedusa, di Pozzallo, ma anche degli approdi calabresi come Crotone o Reggio Calabria. Sulle coste della Calabria, dal 2011 alla fine del 2016 ci sono stati 707 sbarchi e 31.450 sono state le persone che hanno raggiunto gli approdi. E mentre in Italia negli ultimi cinque anni i migranti sono aumentati del 189,4%, in Calabria sono cresciuti del 1.517,8%. Si tratta di una crescita particolarmente elevata, che rivela le grandi difficoltà che il sistema di accoglienza della regione ha dovuto affrontare. Il caso più esemplare è quello del comune di Riace, in provincia di Reggio Calabria, che ha saputo far fronte ai problemi di spopolamento della popolazione locale rivitalizzando il centro storico e trasformandolo in una meta turistica.
Papa Francesco, i migranti e la comunicazione
di Enzo Romeo
Papa Francesco ci ha riportato all’essenzialità del messaggio evangelico. Su questa base il Pontefice argentino invita ad analizzare i fenomeni che segnano il nostro tempo, compreso quello delle migrazioni. Il capitolo 25 di Matteo è chiarissimo: «Ero forestiero e mi avete ospitato… ».
Portarsi dentro l’altro, portarsi l’altro dentro. Le migrazioni alla luce del Vangelo
Roberta Leone intervista don Massimo Naro
Tra il 16 e il 18 settembre scorsi, anche il Dalai Lama, in visita a Messina e a Palermo, ha affermato che la Sicilia e i siciliani sono la terra e il popolo dell’accoglienza. La Sicilia è stata davvero un crogiuolo di civiltà e di popolazioni differenti, che spesso si sono scontrate per assicurarsene il controllo, peraltro strategico, data la posizione dell’Isola al centro del Mediterraneo. Ciò che ne è sortito, nel corso dei secoli, è una specie di meticciato, non solo etnico ma anche psicologico: quasi un habitus mentale che induce i siciliani a riconoscersi, più o meno consapevolmente, in coloro che ancora oggi cercano un approdo sicuro proprio sulla loro terra.
Dall’Africa a Castelvolturno
di Valerio Petrarca
Nelle società “ospitanti” si ha una sola parola, “migrazione”, abbinata a qualche altra sotto-classificazione (“migrazione economica”, “migrazione politica”), per nominare un processo la cui complessità e varietà è impossibile da esagerare. Non casualmente prevalgono, anche negli studi sui migranti, due generi estremi di discorsi: le storie di vita, dove emerge la persona per nome e per cognome nell’irripetibilità e nell’irriducibilità di ogni singola esistenza individuale, e le statistiche, che forniscono numeri e tendenze necessariamente insensibili alle infinite esperienze vissute, di cui il processo si nutre.
«I get you». Buone pratiche per il contrasto del razzismo e della xenofobia
di Chiara Peri
«I Get You» significa in inglese “ti capisco, so come ti senti”: è questo il titolo di una campagna promossa dall’ufficio europeo del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) in nove Paesi europei per raccontare un’Europa accogliente, aperta, positiva e molto distante da quella che viene comunicata in politica. I Get You raccoglie e analizza esperienze innovative che vedono cittadini e migranti impegnati insieme in iniziative di accoglienza, socializzazione e valorizzazione della diversità.
Per una cultura dell’incontro
Alberto Lazzarini intervista mons. Gian Carlo Perego
La migrazione, ci insegna la storia migratoria dei popoli, è difficile in un primo momento governarla da fuori, ma la si governa da dentro un Paese. In questi quattro anni, dal 2014 abbiamo visto passare in Italia 600.000 persone. La maggior parte di queste, oltre 400.000, sono sbarcate in Italia e subito hanno continuato il cammino verso i Paesi europei e meno di 200.000 sono oggi in Italia. Il numero è addirittura meno della metà di coloro che arrivavano irregolarmente nel nostro Paese negli anni ’90 e che fino alla sanatoria – di destra e di sinistra – rimanevano irregolari. Il problema vero oggi, come ieri, è fare in modo che da subito i migranti possano regolarmente inserirsi nel contesto di vita del Paese. Ieri questo significava fare incontrare domanda e offerta di lavoro, vincere i caporalati e gli sfruttatori.
La scuola per l’inte(g)razione
di Vinicio Ongini
La parola “intercultura” viene usata sempre più spesso: nei documenti ministeriali, nei libri di pedagogia, nei progetti educativi delle scuole, delle associazioni, delle organizzazioni non governative e, da alcuni anni, anche in alcuni programmi di formazione aziendale, nella comunicazione di agenzie turistiche. Come tutte le parole molto diffuse rischia di diventare scontata, oppure banale o logora. Con quel prefisso, “inter”, diventato a volte tic linguistico, passepartout per tutte le situazioni: interfaccia, interscambio, interdipendente, interazione, internazionale, Inter squadra di calcio.
Bambini della nostalgia, bambini invisibili
di Donatella Trotta
I bambini venuti d’altrove in Italia sono una sfida. Anche comunicativa. In senso lato. In un Paese come il nostro, storicamente segnato da un destino di massiccia emigrazione - interna e verso l’estero - le loro storie di immigrazione sono infatti un fenomeno relativamente nuovo. Ma ineludibile, se si considera solo il fatto che da nord a sud vive circa un milione di bambine e bambini provenienti da 180 Paesi del mondo: in media, il 10,6% dei minorenni residenti, come ci ricorda con dovizia di dati anche l’ultimo Atlante dell’infanzia a rischio 2016. Bambini e supereroi.
IL LIBRO. Passaggi migranti
di Benedetta Grendene
“Passaggi migranti” offre una narrazione alternativa in risposta a quanti nell’opinione pubblica alimentano il terrore di essere invasi da un fenomeno come l’immigrazione che, secondo Mons. Bruno Forte, «è un dono perché porta nuova linfa nella vita del nostro Paese, della nostra cultura e della nostra capacità di forza lavoro». È certamente una sfida leggere la realtà delle migrazioni come fatto sociale e autentica «boccata d’ossigeno» per la nostra economia in declino.
Persecuzione e migrazione dei cristiani in Medio Oriente: quale informazione
di Giuseppe Caffulli
Fino a qualche anno fa, la situazione dei cristiani in Medio Oriente era avvolta da un pesante cono d’ombra, quando non dal silenzio. Viene spontaneo chiedersene la ragione.
Chi si occupa da anni di documentare e denunciare violenze, intimidazioni, uccisioni, violazioni sistematiche dei diritti umani perpetrate contro i cristiani nei Paesi dove sono minoranza, conosce bene quanto sia difficile raggiungere un pubblico più ampio dei ristretti gruppi interessati a questi temi.
La chiesa in frontiera
Marilisa Della Monica intervista don Domenico Zambito
«Dopo i tempi in cui sui media imperavano termini come invasione ed emergenza, ora la comunicazione si articola con espressioni meno generiche e non più fraudolente e fuorvianti. Ma il discorso pubblico emotivo e umorale, di pancia dice qualcuno, è emigrato sui social. In rete ormai predomina il rifiuto preconcetto, così, a prescindere, tanto per rivitalizzare la vicenda della “colonna infame” (sic)». Don Domenico Zambito, parroco a Lampedusa dal settembre del 2013 all’ottobre del 2016, ha fatto dell’accoglienza la cifra del suo servizio.
Migrazioni e multiculturalità. Parole chiave per l’informazione
di Guido Mocellin
«I migranti non sono un pericolo, sono in pericolo». Pronunciata nel 2016, questa frase è solo una delle tante attraverso le quali papa Francesco, facendo perno sui viaggi a Lampedusa (2013) e a Lesbo (2016), ha dato e continua a dare un contributo decisivo alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica in tema di migrazioni. Se ne fanno forti numerosi vescovi, diventati più sicuri nel prendere a loro volta la parola o nel promuovere iniziative di accoglienza.
L’informazione che crea conflitto
di Paola Springhetti
Che fine hanno fatto gli albanesi? Dove sono oggi? Nessuno ne parla più: segno evidente che sono dove sono gli italiani, in mezzo a loro, possiamo azzardare a dire come loro. Eppure, l’allarmismo attorno al tema dell’immigrazione nei decenni non si è fermato, appuntandosi di volta in volta sui polacchi, sui rumeni, ed ora su chi arriva attraversando il Mediterraneo.
14° RAPPORTO UCSI-CENSIS. I media e il nuovo immaginario collettivo
di Antonello Riccelli
Il mondo ormai sta nel palmo di una mano, quello schermo piccolo (eppure sempre più grande) è la nostra antenna e il nostro megafono, è il lavoro e il divertimento, l’enciclopedia e il giornale, la radio e la tv, è una finestra sempre aperta su tutto ciò che ci circonda.
La progressiva crescita dei media digitali, che lo stesso smartphone concentra e simboleggia, ha già prodotto un effetto rilevante, quello di determinare un nuovo e inedito “immaginario collettivo” nel quale i fattori chiave sono ribaltati rispetto al passato, se ne affermano di nuovi e si accentua il solco tra le generazioni.