Manifesto per un’etica dell’informazione

Adriano_FabrisQuesto manifesto vuole contribuire alla messa a fuoco dei criteri di un'informazione sempre più consapevole delle implicazioni etiche della propria attività e della propria missione. Il manifesto riguarda coloro che appartengono al sistema dei media e sono collegati in qualunque forma a un'attività di informazione, cioè i comunicatori, i pubblicitari e i giornalisti; ma anche agli editori e ai manager editoriali, nonché il sistema politico-istituzionale che detta le regole. Esso è proposto dunque alla libera adesione dei professionisti della carta stampata e del sistema radio-televisivo, di coloro che operano nell'ambito dell'informazione anche con l'ausilio dell'informatica, degli addetti stampa in enti pubblici e privati, dei relatori pubblici, degli studiosi dei fenomeni della comunicazione, dei docenti di queste discipline.

Il manifesto presuppone i diversi codici di autoregolamentazione della professione, i cosiddetti "codici deontologici", e li accetta. Esso però offre indicazioni ulteriori riguardo a temi che non sono esplicitamente affrontati da tali codici o che, rispetto ad essi, risultano non regolamentati oppure si trovano collocati in una sorta di "zona intermedia", apparentemente neutra dal punto di vista morale. L'auspicio di questo manifesto per un'etica dell'informazione è che esso, con il suo richiamo ad un'etica della responsabilità, consenta di rendere più concreto e più facilmente realizzabile ciò che è previsto dalla deontologia.

 

  • 1. Viviamo in una società dello spettacolo. Il giornalista, pur conoscendo l'importanza delle modalità comunicative legate allo spettacolo e la loro capacità di attrazione, è consapevole che la sua attività si colloca su di un piano diverso. L'informazione non è spettacolo, anche se può far uso di forme che sono proprie dello spettacolo. Il compito di una corretta informazione non può essere quello dell'intrattenimento.
  • 2. Viviamo nella società in cui tutto è comunicazione. Ne deriva un'overdose di messaggi proposti con i più diversi formati. In questo quadro risulta difficile, spesso, compiere una scelta o stabilire il corretto ordine fra ciò che è importante e ciò che non lo è. Il farlo, nelle varie fasi in cui ciò può realizzarsi, è anzitutto compito del giornalista. Lo è, in particolare, il momento conclusivo di questa scelta. Ma il giornalista è chiamato a dare ragione, pubblicamente, dei criteri di valutazione che lo hanno indotto a prendere determinate decisioni. Nella selezione delle notizie, dunque, egli porta una precisa responsabilità.
  • 3. Allo stesso modo è del giornalista anche la responsabilità della forma, del taglio e dell'impostazione secondo cui le notizie sono date. Egli sceglie le notizie, le confeziona e le ordina decidendone la gerarchia. Qui, in particolare, emerge la responsabilità collegiale delle redazioni: a cominciare dai vertici del giornale.
  • 4. Il giornalista non può essere obbiettivo: interpreta le notizie che riceve. Ma vi è una grande differenza fra l'interpretazione delle fonti e la manipolazione o la falsificazione delle notizie. Compito del giornalista resta l'approssimazione massima alla verità. La necessità d'interpretare, in altre parole, non significa rinunciare all'onestà intellettuale. Perciò il giornalista dev'essere in grado di dar ragione pubblicamente dei criteri che sovrintendono alla sua interpretazione. Essi possono trasparire dal contesto della sua attività e dal modo in cui egli la svolge. Insomma: il riferimento a un'ideologia o a una credenza di fondo non sono mai, nel contesto dell'attività giornalistica, giustificazioni valide.
  • 5. Ma al giornalista non bastano solo preparazione e onestà. Oggi ci vuole qualcosa di più. E questo qualcosa di più, questo valore aggiunto, è l'aspetto etico. Il giornalista, di nuovo, non dice "la" verità. Dice la "sua" verità. Ma la deve dire cercando di rispettare e di riproporre, dal suo punto di vista, le informazioni che ha cercato. Di tutto questo, infatti, è responsabile. Lo è nei confronti del pubblico dei suoi lettori; lo è nei confronti del suo editore; lo è nei confronti di ciò di cui scrive; lo è nei confronti di se stesso. Ecco ciò che concorre a definire la sua credibilità.
  • 6. La questione della credibilità, e cioè della fiducia nei confronti di ciò che il giornalista scrive e di ciò che egli rappresenta, costituisce anche il criterio che può orientare il suo rapporto nei confronti dei cosiddetti "poteri forti" e delle direzioni delle Relazioni Esterne che distribuiscono i budget pubblicitari e gestiscono gli uffici stampa. In ciò i Relatori Pubblici hanno rilevanti responsabilità, comprese quelle dell'inquinamento delle fonti primarie dell'informazione. Che si possono meglio evitare con l'alleanza positiva delle categorie professionali dei comunicatori e dei giornalisti. Molto spesso - ben lo si sa - da parte di istanze estranee all'attività giornalistica provengono sollecitazioni che vogliono ridurre quest'attività a una funzione puramente strumentale. Si tratta allora, in primo luogo, di salvaguardare l'autonomia della professione e il diritto alla libera espressione delle proprie opinioni, che sono uno dei fondamenti della democrazia. Ma non è solo questo. Si tratta più ancora di non perdere, nell'eventuale acquiescenza a tali istanze estranee, l'identità, la dignità e, appunto, la credibilità che sono proprie di questo mestiere. Senza le quali, appunto, il giornalismo e la comunicazione perdono identità e valore.
  • 7. Queste identità, dignità e credibilità sono oggi minacciate, come accade in molti altri ambiti professionali, dalle commistioni editoriali, dalle rendite di posizione, dalla burocratizzazione dei ruoli, dalla routine. È necessario invece aprirsi ad altre prospettive, evitando il "campare di rendita" e recuperando, proprio nell'epoca dell'uso sistematico dell'informatica, il ruolo altamente creativo di questa professione. Coniugare competenza tecnica e creatività: ecco la sfida del giornalismo del futuro.
  • 8. Le indicazioni finora date sembrano precetti astratti. Questo, in parte, è vero. Ma si tratta di criteri che possono orientare nell'attività solo se sono messi alla prova su di un terreno concreto: il terreno della pratica quotidiana. È questo che manca oggi, forse, al corretto esercizio della professione: la consapevolezza che le scelte compiute, le prescrizioni della deontologia, sono qualcosa che va verificato e messo alla prova giorno per giorno. Solo così il mestiere del giornalista può mantenere dignità e spessore.
  • 9. La professione va insomma sottratta non tanto all'influenza - il che è impossibile - di quelle istanze che provengono da luoghi estranei al giornalismo, quanto alla subordinazione nei confronti di esse. È lo stesso giornalista a esserne per primo consapevole e a rivendicare la propria autonomia come condizione essenziale dell'esercizio, dei compiti e della missione che sono propri della sua attività professionale. Lo hanno fatto e lo stanno facendo, anche a rischio della vita, molti giornalisti in tutto il mondo.
  • 10. Per mantenere desta questa consapevolezza si ritiene proficuo un sempre più stretto legame tra l'ambito della professione giornalistica e l'ambito della ricerca e dell'insegnamento in materia di comunicazione. A tutti i livelli, ma soprattutto a quello universitario. È necessario, in altre parole, affiancare all'esercizio corretto della professione una vera e propria attività, sia più in generale su di un piano educativo, sia nell'ambito più specifico della formazione. Le indicazioni di questo manifesto possono essere sviluppate, trasmesse e diventare patrimonio comune anche delle nuove generazioni di giornalisti solo attraverso la collaborazione fra chi svolge la professione e chi se ne occupa come studioso e insegnante.

 

Tutto ciò, in positivo, può riuscire se le criticità insite nel sistema dei media vengono affrontate con la collaborazione e il sostegno, in particolare dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti, della Federazione della Stampa e delle Associazioni professionali dei pubblicitari e dei Relatori Pubblici, finalmente riconosciute e ad iscrizione obbligatoria, che possono così gestire i rispettivi codici deontologici. Meglio con l'alleanza dei cittadini, associati in forme di cittadinanza attiva, fruitori principali dell'informazione e delle opinioni.

In definitiva lo scopo di questo manifesto è di richiamare ciascun giornalista e comunicatore a uniformare ciò che egli sceglie nella sua attività quotidiana ai criteri etici riconosciuti alla base del proprio lavoro. Solo così può essere salvaguardata la cultura delle professioni dei giornalisti e dei comunicatori e la loro funzione di servizio alla comunità: facendo corrispondere ciò che il professionista è con ciò che egli fa, nella misura in cui lo fa bene.

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Ultima modifica: Lun 10 Dic 2012