Il fuoco sotto la cenere nelle parole di Francesco all'Ucsi

È già passato un anno da quando l’Ucsi è stato ricevuto da Papa Francesco in Vaticano. Insieme a lui avevamo ringraziato il Signore per i 60 anni di vita e di servizio dell’associazione.

I ricordi di quella mattina del 23 settembre 2019 rimangono vivi come una fiamma che non si spegne: la gioia per la preparazione dell’incontro, l’attesa in piazza San Pietro mentre arrivavano poco a poco i rappresentanti da tutte le regioni d’Italia, l’incontro con il Santo Padre, il pranzo in comune per condividere la nostra fraternità.

Così è per noi un dono grande fare memoria di quel giorno e riportare quell’evento al centro del nostro cammino. Come fuoco sotto la cenere le parole che ci ha rivolto il Papa sono ancora attuali e diventano luce sul nostro cammino in questo tempo difficile.

Anzitutto ci ha chiesto di custodire le nostre radici quando ci ha detto: «Vi siete riuniti per fare memoria di una “vocazione comunitaria” – frutto del sogno dei fondatori –, che è quella di essere, come è scritto nel vostro Statuto, “un’associazione professionale ed ecclesiale che trova ispirazione nel servizio alle persone, nel Vangelo e nel Magistero della Chiesa”. Vi incoraggio a portare avanti questa missione attingendo sempre linfa dalle radici che vi hanno fatto nascere: la fede, la passione per la storia degli uomini e la cura delle dimensioni antropologica ed etica della comunicazione. La rivista “Desk” e il sito web, la scuola di formazione di Assisi e le tante attività nei territori sono i segni concreti del vostro servizio al bene comune”.

La strada è tracciata, ciò che il Papa ci ha ribadito è la nostra proposta culturale e spirituale al Paese. Certo occorre un “aggiornamento continuo” dei mezzi, non bisogna confonderli con i fini, ma di tutto questo è un’eredità vivente che le varie generazioni dei giornalisti Usci si sono tramandate.

Ci ha poi invitato ad essere “giornalisti del discernimento” quando ha precisato: «Per rinnovare la vostra sintonia con il magistero della Chiesa, vi esorto ad essere voce della coscienza di un giornalismo capace di distinguere il bene dal male, le scelte umane da quelle disumane. Perché oggi c’è una mescolanza che non si distingue, e voi dovete aiutare in questo. Il giornalista – che è il cronista della storia – è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale, a dire la verità ad ogni costo: c’è anche una parresia – cioè un coraggio – del giornalista, sempre rispettosa, mai arrogante». Ci ha poi aggiunto un avvertimento: «i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere». È davanti alla nostra missione che siamo chiamati a discernere.

Infine ci ha invitato a “rovesciare l’ordine delle notizia per dare voce a chi non ce l’ha” e a non avere paura e di osare ad andare “nell’al-di-là” della nostra esperienza. Solo così potremo trovare vita nuova e una rinnovata identità. Non ci sono scorciatoie o trucchi per Francesco e per il Vangelo: «Associazioni come la vostra, per continuare a portare frutto, devono saper riconoscere con umiltà e potare i “rami secchi”, che si sono seccati proprio perché con il tempo hanno perso il contatto con le radici. Oggi voi operate in un contesto storico e culturale radicalmente diverso da quello in cui siete nati. E nel frattempo si sono sviluppate anche modalità di gestione associativa più snelle e più centrate sulla missione: vi incoraggio a percorrerle senza timore e a riformarvi dall’interno per offrire una migliore testimonianza».

Mi sono chiesto, queste parole le ho e le abbiamo custodite? Ci hanno indirizzato? Quale scelte ci sentiamo di prendere?

Ce lo ha ribadito il Papa, non è in questione “la natura” della nostra missione ma “la forma” e - se mi è concesso – “la cultura” e le “intenzioni spirituali e morali” che la ispirano.

È per questo che il patrimonio che ci è stato consegnato non può essere dimenticato. Anzi va ribadito con la stessa forza e gioia, energia e vita che ha saputo trasmettere al Papa la Presidente Vania De Luca: «Cerchiamo di essere giornalisti di pace, costruttori di ponti, in dialogo e in cammino con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Cerchiamo di essere sentinelle della libertà di informazione, che come per ogni bene e per ogni libertà, pur faticosamente conquistati, ci appartiene, eppure non si può mai dare per scontata. Per i giornalisti, e per il giornalismo, non sono tempi facili».

All’interno dell’Ordine e del Paese siamo solo un po’ di lievito, tanto necessario in tempo di crisi. Coraggio, audacia e la nostra unione potranno continuare a produrre frutti per la vita del mondo perché come scriveva il gesuita Michael de Certeau: «L’essere si trova donandosi. La libertà si costruisce rischiandosi. L’uomo nasce nel suo aldilà».

* L'autore, padre Francesco Occhetta, è il consulente ecclesiastico nazionale dell'Ucsi

Ultima modifica: Gio 24 Set 2020