La storia di 120 anni del Nuovo Diario Messaggero celebrata con un confronto su informazione locale e globale

Centovent’anni di vita, di storia, di presenza attiva sul territorio, quello imolese. Una data importante, dunque, giustamente ricordata e festeggiata – in particolare – con una pubblica manifestazione di grande interesse e qualità che si è svolta al teatro “Stignani” di Imola venerdì 23 ottobre. Il Nuovo Diario Messaggero rappresenta una delle più belle realtà editoriali del nostro Paese (leggi anche qui). E’ legato alla Chiesa, alla sua Diocesi e al tempo stesso è aperto al territorio, alla gente, alle sue aspettative e ai suoi valori.

Coordinato dal direttore del settimanale Andrea Ferri, l’incontro ha visto la massima partecipazione di pubblico possibile dato il distanziamento. Nel filmato introduttivo gli organizzatori hanno tracciato i momenti salienti della storia della pubblicazione che ha attraversato con caparbietà, impegno e competenza anni anche molto difficili, a cominciare da quelli del fascismo e del secondo conflitto. Ora poggia su una struttura redazionale e amministrativa di prim’ordine con undici addetti e un gruppo agguerrito di corrispondenti e collaboratori che dà vita non solo al “cartaceo” ma anche alla pubblicazione digitale grazie a sito, facebook e instagram.

L’occasione, si accennava, è stata perfettamente colta approfondendo temi di primo piano concernenti l’informazione e non solo. Lo si è fatto grazie alla partecipazione di alcuni protagonisti della vicenda religiosa, politica e giornalistica nazionale. Paolo Ruffini, prefetto del dicastero della comunicazione per la Santa Sede, ha in apertura sottolineato il ruolo della rete locale che “Non è solo informazione ma costruzione della comunità”; una comunità che esprime le radici ed è dunque fondamentale ed opera all’interno di un mondo globalizzato che di per sé non è “né buono né cattivo”. Nocivo, però, è spesso il suo modo di operare, “tendente a uniformare tutto e tutti piuttosto che a valorizzare le storie e le tradizioni”. Allora, “solo se contempla le diversità la globalizzazione non è banale”. Ed è necessario “coltivare l’unità plurale delle nazioni”. E’ proprio dei cristiani innervare culture diverse e territori diversi. In questo contesto si rivela fondamentale il ruolo dei media per riscoprire le radici e favorire il dialogo, coniugare memoria e futuro, anche per recuperare il rapporto globale-locale e allora “L’informazione locale più facilmente evita di ragionare per categorie”.

Andrea Martella, sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l’editoria, ha poi sottolineato il ruolo di primo piano svolto dai media in questo periodo di pandemia, nonostante il grande pericolo rappresentato dalle fake news. Indispensabile è la presenza attiva dell’informazione di qualità, richiesta in modo particolare, ha detto, proprio dai lettori locali. La stampa, ha aggiunto, deve essere “includente”, collegata ai valori. In questo momento di crisi durissima è indispensabile “il sostegno pubblico diretto e indiretto a favore della stampa locale a tutela del pluralismo”. Inoltre, il processo di digitalizzazione non può non interessare anche l’editoria e tutto ciò che essa rappresenta in termini di difesa del diritto d’autore o, ad esempio, di diffusione dei giornali nella scuola: “Sono solo alcuni degli investimenti nell’informazione e nella formazione” e rappresentano “una sfida che sapremo raccogliere grazie anche alla forza che deriva dalle vostre testimonianza, con i cittadini tutelati da un’informazione sempre più forte e libera”. Ecco allora, ha concluso, che “essere giornalisti, locali, significa spesso svolgere una missione, prendersi cura delle persone e della comunità, nello spirito di servizio”.

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E’ seguita una bella tavola rotonda intelligentemente e brillantemente guidata dal giornalista e scrittore Aldo Cazzullo con domande al cardinale Matteo Zuppi e al vescovo di Imola monsignor Giovanni Mosciatti. Il primo quesito è ovviamente sull’informazione: il suo futuro, ha subito risposto l’arcivescovo di Bologna, passa attraverso la rete: “Il locale deve sapersi collegare al globale. C’è infatti il rischio del narcisismo localista, come dice il papa nella recente enciclica. Il rischio opposto è quello di perdersi nella globalizzazione dove non ci sono radici né storia e siamo tutti uguali. Ma lo sguardo universale, cattolico, serve anche a capire il piccolo. La rete è un grande strumento, che però richiede discernimento”.

Un suggerimento ai giornalisti in tempi di Covid? Per il vescovo Mosciatti ci conforta quanto disse il papa il 27 marzo nella deserta piazza San Pietro parlando del “contagio della speranza”: una strada pur dentro le intemperie. Per monsignor Zuppi l’informazione è chiamata a narrare sofferenza, storie, cose vere ma anche grandezza. “Nella prova abbiamo visto tanta dedizione, solidarietà, altruismo”.

Una domanda ha poi riguardato la loro vita da vescovi e da sacerdoti. Monsignor Mosciatti ha ricordato l’eredità pesante a capo di una Diocesi guidata da coloro che divennero Pio VII e Pio IX.

Monsignor Zuppi ha sottolineato come la geografia della Chiesa sia molto complicata ma “la comunione cambia tutto”. Personalmente “la responsabilità è forte e viene trasmessa l’eredità di seminare in modo che altri possano raccogliere”. Ricordando l’esperienza della Comunità di Sant’Egidio, entità glocal, “l’Onu di Trastevere”, ha detto: “Per me è stata una grazia. Il mondo diventava familiare, non sconosciuto. In caso contrario vince l’ignoranza, vincono le fake, l’epidermide, banalmente la pancia, ed è pericoloso. Ciò he conta è invece la cultura vera, che legge e fa capire le categorie. Il mondo va inteso come casa comune che è l’antidoto al populismo, all’io gonfiato. Ogni cristiano non può che essere universale”.

Una risposta anche all’attualità con la presa di posizione del papa sull’omosessualità: “Talvolta, come dicono a Roma – ha affermato monsignor Zuppi - si mette “in caciara” quando si ha già un’idea pregressa, un pregiudizio. Papa Francesco ha detto una cosa acquisita: gli omosessuali hanno diritto ad avere un legame legale. Non ha detto altro. Un cattolico ascolta il papa”.

Un’altra domanda scomoda di Cazzullo: c’è qualcuno a Roma che lavora contro Francesco? “Quelli che lavorano contro – ha risposto il cardinale Zuppi - in genere lo fanno di nascosto e chi lo dice ad alta voce pensa di dirlo per difendere la verità, ma non è così e ferisce. Quando si divide, c’è soltanto uno che è contento, il diavolo”. Questa situazione ha riguardato tutti i papi, così diversi fra loro: “Pensiamo a Giovanni XXIII o papa Pacelli o Paolo VI. Ciascuno ha portato qualcosa. Mi colpisce sempre la serenità di papa Francesco che non perde tempo per raccogliere e rilanciare le pietre che gli lanciano.Guarda avanti, mai cambiando la dottrina. Il suo atteggiamento è pastorale. Il vero modo per aiutarlo è vivere la gioia del Vangelo”.

Ultima modifica: Sab 24 Ott 2020