Pandemie mediali. In un libro il rapporto tra la comunicazione e il virus

PANDEMIE MEDIALI. Narrazioni, socializzazioni e contaminazioni del MediaVirus, a cura di Vania De Luca e Marica Spalletta, Aracne editrice pp 584, Euro 28.00

L’idea di questo volume è nata poco dopo il lockdown della primavera 2020, quando gli italiani cominciavano a uscire di casa accarezzando l’idea di una possibile ritrovata e progressiva normalità, le terapie intensive si svuotavano, i giornalisti tornavano in redazione e riprendevano più massicciamente le attività sul campo, le scuole e le università guardavano con speranza a un nuovo anno scolastico e accademico.

Il libro esce in pieno autunno, mentre la curva dei contagi si è impennata pericolosamente, gli ospedali hanno cominciato di nuovo a riempirsi, la didattica è tornata in larga parte a distanza, la cartina dell’Italia a colori vede sempre meno giallo e più rosso, gli incontri pubblici sono stati trasformati in webinar, e le limitazioni nuovamente imposte alla vita quotidiana sembrano essere vissute in maniera più pesante che a primavera. Mentre ci si prepara a un lungo inverno di convivenza con il virus, con nuove paure e tante domande aperte, arrivano queste pagine che cercano di offrire, insieme ai contributi di analisi, anche un orizzonte di senso in cui le sofferenze patite possano aiutare a sentirsi e ad essere comunità. Il libro contiene 61 firme, con le interviste sono più di 70 le personalità coinvolte: docenti e ricercatori di 12 atenei italiani, giornalisti televisivi, radiofonici e della carta stampata, professionisti che lavorano negli uffici comunicazione di istituzioni, enti, associazioni e organizzazioni, una decina di giovani, la collaborazione con UCSI nazionale e una quindicina di firme della rivista Desk, con la prefazione di Francesco Occhetta e la post fazione di Mario Morcellini.

Nessuno ha la bacchetta magica o la presunzione di poter indicare la via di uscita dal tunnel, ma la riflessione a più voci contenuta nel volume (580 pagine) è via via maturata, su un’idea di Marica Spalletta (professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Link Campus University e coordinatore scientifico di Link Lab – Laboratorio di Ricerca Sociale), come servizio al Paese, alla libera informazione, a quanti hanno a cuore il futuro.

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Dall’introduzione al volume (di Vania De Luca e Marica Spalletta)

“Nei giorni dell’emergenza sanitaria globale, che ha ridefinito tempi e modi del nostro vivere quotidiano — per non dire di tutti i diversi ambiti infettati dal virus (dalla politica all’economia, dalla scuola al lavoro, ecc.) —, il diffondersi pandemico del Covid–19 è andato di pari passo con l’emergere di un serrato dibattito pubblico sul ruolo svolto dai media, mai come in questo caso attori protagonisti di un racconto che ha contemplato al proprio interno molteplici e diversi capitoli.

In un estremo tentativo di sintesi, i media sono stati infatti strumenti indispensabili, per gli attori istituzionali e politici, attraverso cui comunicare (in forma più o meno politically correct) la gestione della crisi, e nel contempo narratori giornalistici più o meno “giustamente distanti” dalla stessa; luoghi della socializzazione e della partecipazione nei giorni del distanziamento forzato, e nel contempo pratiche di quel consumo culturale indispensabile per governare gli effetti imposti dal lockdown

forzato. Dimensioni diverse, quelle appena descritte, che peraltro sono solo una piccola parte di quell’ampia mole di problematiche e argomenti legati al MediaVirus di cui tanto si è discusso nella miriade di seminari, webinar, digital talk che hanno scandito le nostre vite digitali, e che, quando l’emergenza è ancora tutt’altro che al suo epilogo, già contribuiscono a offrire un quadro abbastanza tratteggiato — se non di quel che sarà — certamente di ciò che è stato e di ciò che è.

Perché dunque un libro sul rapporto tra media e Covid, e perché proprio ora? Perché non aspettare la fine dell’emergenza per trarre un bilancio a mente fredda di ciò che è stato — nonché delle implicazioni che ciò potrà avere per il futuro della nostra società, e con essa di quella sfera pubblica di cui i media da tempo ormai sono indiscussi attori protagonisti — piuttosto che imbarcarsi in una lettura a caldo che, fisiologicamente, potrebbe risentire delle naturali implicazioni legate alla contingenza dei fenomeni che ci si propone di analizzare?

La domanda, quanto mai legittima, è la stessa che anche noi ci siamo poste allorquando abbiamo iniziato a fantasticare (prima ancora che a ragionare) attorno a questo libro, ma siamo fermamente convinte che, al pari della domanda, anche la risposta che ci siamo date possa avere lo stesso diritto di cittadinanza nel mondo sconvolto dalla pandemia globale: è vero, la crisi è tutt’altro che superata, e di conseguenza è difficile (quando non impossibile) pensare di poter trarre ora delle conclusioni.

Ciononostante, riteniamo che — a questo punto della crisi — sia dovere di chi studia i fenomeni comunicativi, così come di chi li vive nella pratica quotidiana, provare a “mettere in fila” potenzialità e criticità che la pandemia mediale ha contribuito a far emergere, offrendole al dibattito pubblico non come analisi verticali, bensì come letture orizzontali, che possano rappresentare nel contempo una chiave di lettura del presente e uno spunto per futuri, successivi approfondimenti.

Di qui dunque anche la scelta di parlare del MediaVirus attraverso quella proficua contaminazione tra università e professioni dell’informazione e della comunicazione, che da sempre appartiene al dna dell’Ucsi e che tanti significativi risultati ha portato in passato (...): se l’obiettivo è infatti quello di mettere a fattor comune una cassetta degli attrezzi il più possibile completa, è necessario dotarsi di un contenitore quanto mai ampio e ben suddiviso al proprio interno, così da non lasciar fuori alcun ferro del mestiere e, ancor più, così da posizionare ogni strumento là dove esso possa esserefacilmente rintracciato”.

 

Ultima modifica: Sab 14 Nov 2020