Centouno anni fa nasceva 'Lolo'. Trasformò il giornalismo in missione.

Riproponiamo oggi, nella rubrica #deskdelladomenica, il ritratto che la nostra Francesca Polacco fa di “Lolo”, Agustin Lozano López, che Papa Framcesco durante il discorso ai giornalisti dell'Ucsi (23 settembre 2019, vedi qui) e nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali del 2021 (qui il link) aveva indicato come "un bell'esempio da seguire". Lunedì 9 agosto è il 101° anniversario della sua nascita.

Francesca Polacco

Apostolo della penna”. È in questa definizione che si può racchiudere il senso dell’intera esistenza di Manuel Lozano Garrido, detto Lolo, il primo giornalista ad entrare nell’album dei santi.

Apostolo e giornalista, due dimensioni che vanno di pari passo e che si illuminano a vicenda. Il bagliore di questo intreccio si propaga con forza a tutti coloro che condividono un pezzo di strada con lui, lasciando in ciascuno un segno profondo e indelebile.

Nasce a Linares, in Andalusia, il 9 agosto del 1920 da Agustín Lozano López, proprietario di una fabbrica di olio d’oliva e di saponi e commerciante di fertilizzanti minerali, e Lucía Garrido Garrido. Quinto di sette figli, coltiva la sua vocazione spirituale all’interno di una famiglia dalle forti radici umane e cristiane e rafforza la sua fede durante gli anni della Guerra Civile spagnola, «quando essere cristiani significava rischiare la vita», come ha sottolineato Papa Francesco nel suo discorso durante l’Udienza del 29 settembre 2019 in occasione dei 60 anni dell’Ucsi indicando proprio Lolo come modello da seguire.

Ancora bambino, ad appena 10 anni, nel gennaio del 1931, aderisce agli Aspiranti della Gioventù di Azione Cattolica, chiave di volta della sua vita da quel momento in poi. Sono anni che lo forgiano, durante i quali corrobora la sua fede e matura in fretta perché sperimenta in prima persona le ingiustizie sociali del suo paese e vive sulla propria pelle gli orrori della guerra.

La robustezza della sua fede passa anche dal carcere (1936) dove resta per qualche mese insieme ad altri amici e giovani compagni dell’Azione Cattolica, colpevole di aver distribuito clandestinamente l’Eucaristia ai cristiani nascosti e perseguitati in piena Guerra Civile.

All’età di 21 anni compaiono i primi segni della malattia: una paralisi totale che lo costringerà su una sedia a rotelle per 28 anni a cui, negli ultimi 9, si aggiunge anche la cecità. Però non si dà mai per vinto: perduto, infatti, l’uso della mano destra impara a scrivere con la sinistra, e quando la malattia immobilizza pure l’arto sinistro inizia a utilizzare il registratore. Morirà a Linares a 51 anni, il 3 novembre del 1971.

Una vita che per chiunque potrebbe sembrare quasi totalmente segnata dal dolore e dalla sofferenza e invece per lui non è così. Nonostante tutto, infatti, Lolo è un “seminatore di allegria"; un’allegria contagiosa che comunica attraverso un costante sorriso sia quando è giovane e sano, sia quando il suo corpo inizia a contorcersi. Un innamorato del Signore che scopre la sua vocazione nella professione giornalistica e la vive in maniera totalizzante come servizio agli uomini e alle donne del suo tempo e alla società, sempre nel massimo rispetto per la dignità delle persone e soprattutto nell’incessante ricerca della verità.

Un giorno, a casa sua fu celebrata una Messa, e Lolo chiese agli amici di prendere la sua macchina da scrivere per metterla sotto il tavolo dove sarebbe stata consacrata l’Eucaristia, «in modo che – disse – il tronco della croce di Gesù si conficchi nella tastiera e lì faccia radici». La sua macchina da scrivere è, appunto, il veicolo per la comunicazione di una verità che scaturisce dalla fede e dalla preghiera in un continuo sforzo di purezza, di trasparenza e di coerenza. «Lolo voleva trovare l’uomo nel quotidiano discorso dei giornali, convinto che ci fosse comunque quella luce di bene che c’è sempre là dove ci sono degli esseri umani».

Lolo collaborò con il quotidiano Ya, con le riviste Telva e Vida Nueva e con l’agenzia Prensa Asociada; scrisse 9 libri di spiritualità, diari, saggi, una novella autobiografica e centinaia di articoli pubblicati sulla stampa nazionale e provinciale. Nel 1956 fondò la rivista Sinaí e i Gruppi Sinai, in favore dei giornalisti ammalati che ancora oggi, sulla sua scia, sono magnifici strumenti di evangelizzazione. Ricevette, inoltre, importanti riconoscimenti professionali tra i quali il “Premio Bravo” nel maggio del 1971. «Da 6 anni non vedo con gli occhi ciò che sta fuori – scrive ne Las estrellas se ven de noche –, però il mondo sta dentro di me e sento le cose e la vita in tutti i suoi particolari e la sua forza. I miei piedi non camminano, però possiedo ali di immaginazione; le mie mani non toccano niente, però accarezzano l’universo; i miei occhi non vedono, però riconoscono emotivamente tutte le figure», conclude. Il Comune di Linares nel 1969 lo dichiara “Figlio prediletto” per «le sue alte qualità umane, la costante esemplarità di sacrificio, il fecondo impegno cristiano, la preziosa opera letteraria e giornalistica».

È il suo “modo cristiano” di intendere la professione e di comunicare che lo ha posto sulla via della santità fino alla beatificazione del 12 giugno del 2010 da parte di Papa Benedetto XVI: «Fedele laico cristiano, che [...] ha accettato la paralisi e la cecità; che come scrittore e giornalista, ha propagato le verità evangeliche e ha sostenuto la fede del suo prossimo, si chiama d’ora in poi beato». «I giornalisti potranno trovare in lui un testimone eloquente del bene che si può fare quando la penna riflette la grandezza dell’anima e si pone a servizio della verità e delle nobili cause», ha concluso il Papa durante la celebrazione a Linares, sua città natale, proprio dove per trent’anni si è occupato di cronaca locale.

«Il pane e il sale di ogni giorno si chiamano ‘Notizie’», afferma in una sua cartella di appunti.
Un “giornalista cristiano”, dunque, che tratta i temi religiosi e che soprattutto illumina con la sensibilità della sua penna i piccoli e grandi eventi quotidiani sempre con lo sguardo amorevole di figlio rivolto alla Vergine Maria. Durante gli anni della sua infermità recita ogni giorno il rosario e lo tiene lì, appeso al braccio della sedia a rotelle, come a ricordargli che può affidare ogni momento della sua vita e del suo operato nelle mani di quella Mamma celeste che è «garanzia di tenerezza per sempre».

Nel suo Decalogo del giornalista Lolo esorta i giornalisti a far brillare sempre la stella della Verità, li invita ad amare i fatti e le persone affinché siano informate con sincerità e fedeltà, a raccontare con parole buone e delicate che non offendano né feriscano; li mette in guardia dalle seduzioni, dalle lusinghe, dalla vanagloria, dalla corruzione, li sollecita a saper riconoscere il momento opportuno per parlare o per tacere, perché solo seguendo queste “istruzioni base” possono diventare strumenti nelle mani del Signore ed essere quotidianamente messaggeri di fede e di allegria.

 IL DECALOGO DEL GIORNALISTA di Manuel Lozano Garrido

1. Ringrazia l’angelo che sulla tua fronte segnò la stella della Verità e che la fa brillare ogni momento.

2. Ogni giorno partorirai il tuo messaggio con dolore, perché la verità è una brace che si toglie dal cielo e brucia il nostro cuore per illuminare. Tu fai in modo di portarla dolcemente fino ai cuori dei tuoi fratelli.

3. Tu, quando scriverai, lo dovrai fare in ginocchio per amare; seduto per giudicare, in piedi e con forza per combattere e seminare.

4. Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai, e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita.

5. Il buon pellegrino della parola pagherà con la moneta della franchezza nella porta aperta della locanda che è ogni cuore.

6. Lavora il pane dell’informazione pulita con il sale del buon stile e il lievito dell’eterno. Poi offrilo affettato per avvivare l’interesse, ma non togliere a ciascuno la gioia di assaporare, giudicare e assimilare.

7. Albero di Dio, chiedi di diventare una rovere dura e impenetrabile all’ascia della lusinga e della corruzione, ma con la tua fronte nel fogliame al momento della raccolta.

8. Se chiamano fallimento il tuo silenzio perché la luce manca all’appello, accetta e taci. Guai al povero idolo con i piedi fatti con il fango della bugia. Ma attento anche alla vanagloria del martire quando le parole non si fanno sentire a causa della codardia.

9. Taglia la mano che vuole imbrattare, perché le macchie nei cervelli sono come quelle ferite che non guariscono mai.

10. Ricorda che non sei nato per la stampa a colori (gialla, nera, rossa...). Né confetteria, né piatti forti. Meglio servire il buon boccone della vita pulita e speranzosa, così come è[4].

Ultima modifica: Sab 7 Ago 2021