Il giornalismo dopo il Covid: confronto di idee e proposte dopo il messaggio del Papa

Sforzarsi di essere giornalisti visionari immaginando il mondo che abiteremo al termine della pandemia e cogliendo con responsabilità la sfida del digitale. Se ne è parlato il 26 gennaio all’Università Lumsa di Roma, a pochi giorni dalla diffusione del messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale della Comunicazioni sociali 2022, “Ascoltare con l’orecchio del cuore” (leggi qui).

Un incontro in presenza fortemente voluto anche da Ucsi nazionale e Ucsi Lazio, organizzato in stretta sinergia con l’associazione dei Webcattolici (WeCa) e con la Federazione dei settimanali cattolici italiani (Fisc). Diversi gli ospiti e i giornalisti presenti al tavolo tra cui mons. Domenico Pompili, Vescovo di Rieti e Presidente Commissione Episcopale Cultura e Comunicazioni sociali della Cei; Andrea Monda, direttore de «L’Osservatore Romano»; Agnese Pini, direttore de «La Nazione»; Fabio Bolzetta, presidente dell’Associazione WebCattolici Italiani (WeCa); Mauro Ungaro, presidente della Federazione dei Settimanali Cattolici Italiani (Fisc); Vincenzo Varagona, presidente dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana (Ucsi) e Saverio Simonelli, presidente Ucsi Lazio.

Due i quesiti a cui è stato chiesto di rispondere: com’è cambiata la professione di giornalisti e comunicatori con la pandemia? Quali limiti e opportunità ha portato con sé la conversione digitale?

«L’ascolto di cui parla il Papa non è una strategia di marketing ma una dimensione fondamentale dell’esperienza umana» afferma Mons. Domenico Pompili. «In un mondo iper-connesso si fa fatica a distinguere chi parla da chi ascolta. Tutti ci troviamo ad essere contemporaneamente emittenti e riceventi, editori e ascoltatori. Ogni mezzo di comunicazione (anche quelli digitali) ha una dimensione curativa e una tossica, dimensioni che ci è impossibile scindere. Lo spunto che oggi ci offre il Papa è quello di aprire una riflessione seria sull’ascolto imparando ad ascoltare le sensazioni profonde della gente, quelle a margine, il più delle volte inespresse».

La pandemia ha accentuato una crisi dell’editoria già avviata da anni: sempre meno copie cartacee vendute e strumenti digitali che hanno subito una forte accelerazione. «Ci troviamo in un momento di passaggio paragonabile alla rivoluzione industriale di metà Settecento – afferma Agnese Pini –, il passaggio dalla carta al digitale è assimilabile a quello dalla macchina a vapore al motore a scoppio. Per portare a termine questa rivoluzione, allora servirono uomini e capitali, entrambi assenti nel panorama odierno. La soluzione per uscire da questa crisi non la padroneggia nessuno ma è certo che chiudere un giornale vuol dire chiudere un’impresa culturale essenziale per la tenuta della democrazia».

Nonostante i continui attacchi che subisce la professione, molti giovani sognano di fare i giornalisti ed è a loro che vanno date risposte e certezze. «È tempo di capire cosa succederà dopo, avere lo sguardo in alto e immaginare il mondo che vivremo dopo la pandemia», afferma Vincenzo Varagona. «Quale modello di informazione proponiamo ai nostri giovani? Uno piegato su vecchi riti o un altro aperto a nuove tipologie di imprenditorialità? Non bastano più le classiche scuole di giornalismo, occorre fare proposte assimilabili alle micro-cooperative, ad un’informazione glocal che parta sì dai territori per poi avere un ampio respiro europeo. È l’obiettivo che ci poniamo con la prossima scuola di Assisi che dedicheremo al collega David Sassoli che tanto ci è stato vicino in questa rivoluzione culturale. Occorre ascoltare i giovani, non più progettare per loro ma con loro».

Responsabilità e onestà nei confronti di chi ci legge o ascolta sono due prerogative che la professione non può permettersi di trascurare. «Come giornalisti abbiamo un ruolo e una responsabilità enorme che abbiamo mancato nel raccontare la pandemia» dice Saverio Simonelli. «In questi due anni il giornalismo è diventato “atmosferico”, privilegiando più l’emotività delle persone che l’intreccio di fili che stava dietro le storie. Proprio perché sovracarico di informazioni, non possiamo rimunciare a far capire al cittadino come va il mondo, fornendogli chiavi di lettura e voci competenti. Tornare all’etimologia della parola informazione, dare forma, plasmare le coscienze delle persone con cui stiamo parlando».

«La pandemia è stata come una scossa di terremoto – conclude Fabio Bolzetta – ;ha colpito ogni classe sociale e acutizzato le disuguaglianze che già esistevano. La crescita del digitale crea certamente nuovi spazi solidali e di confronto ma porta con sé anche il rischio di continuare a vedere l’altro come potenziale pericolo. Non possiamo permetterci che la distanza fisica rischi di diventare distanza sociale. Questo primo incontro in presenza dopo tanto tempo, fortemente voluto da diverse realtà associative del panorama ecclesiale, ne vuole essere la dimostrazione».

Due le novità annunciate al termine dell’incontro: l’inaugurazione della rubrica “In ascolto” all’interno del sito web www.weca.it e il lancio di un concorso a tema multimediale promosso da Ucsi Lazio, con l’obiettivo di ripensare il giornalismo nel “racconto di una storia”.

Foto Domenico Interdonato

Foto di Francesco Spagnolo e Domenico Interdonato

Ultima modifica: Mer 26 Gen 2022