Quando l'informazione genera la carità. Una bella storia dalle Marche

La carità può far rima con informazione? Certo che può. Se è vero che la politica è “la più alta forma di carità”, il giornalismo (quello vero, eh) viene appena dopo.

Gli esempi si sprecano ma ce n’è uno, recentissimo, che lo conferma e getta una ventata di luce sul crescente pessimismo che aleggia sulle scene della nostra quotidianità scandite dai malati e dai morti di Covid ma anche dalle stoltezze di un web troppo spesso invadente e malvagio.

La storia. Lei, la chiameremo Costanza, da qualche anno frequenta il monastero delle Clarisse di Sassoferrato, un piccolo centro delle Marche anconetane, sull’Appennino; un po’ fuori dalle rotte tradizionali ma ben presente in chi ama non fermarsi alle sole “grandi firme” del turismo nazionale e internazionale. Costanza, col marito, proveniente da una città del nord, conosce questa oasi francescana grazie all’arte: a Sassoferrato, infatti, qualche anno fa si svolge una splendida mostra su Giovanni Battista Salvi, appunto il Sassoferrato, importante pittore del ‘600. La bella esposizione, allestita in pieno centro...sconfina lassù, nel monastero della città alta dove tre superbe Madonne campeggiano nei locali attigui alla chiesetta nel complesso monastico. Un’attiva, simpatica e generosa monaca fa da guida ai turisti. Nasce un’amicizia che si rinsalda con telefonate e ulteriori visite.

Sul finire dell’anno giunge la notizia che le due caldaie del convento si sono definitivamente rotte. Le monache (quattro italiane e tre messicane) sono al freddo. E da quelle parti e in quel periodo è inutile dire che la temperatura non scherza. Bisogna sostituire gli impianti, in fretta. Ci vogliono soldi: almeno 20.000 euro, tanti, troppi per le Sorelle povere.

Costanza si attiva e con il marito coinvolge la Rai di Ancona. L’informazione ha così una notizia (di questo vive) e con capacità e passione la diffonde grazie al lavoro prezioso di una piccola troupe inviata sul posto. Il TG regionale della sera presenta il primo servizio che il giorno dopo sarà replicato in una rubrica nazionale.

La sera stessa giunge la prima telefonata di un imprenditore della zona che vuole il numero di telefono dell’idraulico e lo “ingaggia” subito: non si possono tenere al freddo le monache. Anche le agenzie di stampa si mobilitano. I quotidiani fanno la loro parte, importante. In contemporanea, un gruppo di amici della zona lancia un appello per sostenere con contributi le clarisse.

Nel giro di poco tempo i 21.000 euro della Provvidenza, vestita da tanti amici–benefattori–re Magi, giungono sul conto corrente (poco prima semivuoto) delle monache.

Il problema è insomma risolto. Non solo. La carità si incarna. Il giornalismo diventa grande nella modestia, solo apparente, del fatto e del luogo della notizia (non ricordate qualcos’altro?). La gente – uomini e donne di buona volontà - partecipa all’operazione, ne comprende il valore, dimostra di conoscere il significato di aiuto, sa ascoltare, proprio come suggerisce, richiede, quel Sinodo (il popolo in cammino) appena iniziato.

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Sono sette le monache dell’antico monastero di Santa Chiara di Sassoferrato. Quattro italiane, tre messicane. Si potrebbe dire che recano con sé due fiaccole: quella della fede, una fede umile quanto profonda e grande, e quella della storia. Come spiega suor Anna Maria Alessi, la “madre e sorella” (in altri contesti claustrali la chiameremmo “superiora”), la gioia è tanta: “Ho appena saldato il conto: quasi 21.000 euro”. E non è solo questione di soldi, naturalmente: “Non ti aspetti che tanta gente ti voglia così bene”. Già, il bene. “Si pensa, dice, che il mondo sia solo dei cattivi. E invece no. Questa dovrebbe essere la normalità”.

In realtà il monastero da sempre è amatissimo sul territorio dove è ben inserito, le persone vi si recano con piacere. E’ un’oasi di pace e di preghiera oltre che di riflessione. Ci sono una foresteria per una dozzina di ospiti e una sala congressi. Vi aleggia ancora lo spirito di Santa Chiara: stiamo parlando della metà del ‘200 e quando il monastero nacque la grande assisana era ancora viva. Una nobile della vicina Genga giunse qui per ritirarsi e pregare seguendo la regola di Chiara, presto seguita da tante altre giovani. Lo costruì a poche decine di metri per poi trasferirlo, qualche anno dopo e definitivamente, nella sede attuale dove nel corso dei secoli è stato trasformato cento volte venendo adattato alle esigenze del momento, in povertà, francescanamente si potrebbe dire. “Da sempre, commenta suor Anna Maria, i nostri introiti sono irregolari”. E’ felice, la monaca, perché tocca il bene, in questa vicenda. E’ la vittoria della semplicità diffusa e coinvolgente. “Già, perché il mondo va avanti grazie alla gente che fa piccole cose”.

Colta, capace, attiva e sempre sorridente, la madre-sorella responsabile (“E’ un servizio a termine”) ha alle spalle una lunga e proficua esperienza prestata anche in Emilia -Romagna e in America latina, anche come infermiera. Le chiedo di queste donazioni così convinte e rapide. Non ha parole per ringraziare i tanti, compresa quella signora extracomunitaria che “ha bussato al convento e ci ha donato 5 euro”, come la vedova del Vangelo, che trova costante attuazione nella nostra quotidianità e spesso non ce ne accorgiamo.

Foto dal sito del Monastero di Sassoferrato

Ultima modifica: Sab 12 Feb 2022