L'Ucsi aiuterà i giornalisti ucraini. E crede nella 'comunicazione della speranza'

Il 18 marzo l’Ucsi ha organizzato un interessante confronto a più voci sulla comunicazione, dall’Ucraina, della guerra e della speranza. E’ ancora disponibile on line, a questo link. E qui c’è l’elenco di tutti i relatori. Tra questi, don Jurii Blazejewski, caporedattore del periodico ucraino Skynia, che ha chiesto solidarietà umana ma anche un contributo economico per assicurare la continuità del giornale e un salario minimo ai giornalisti. A distanza di una settimana facciamo un bilancio dell’iniziativa con il presidente nazionale dell’Ucsi, Vincenzo Varagona.

L’Ucsi farà qualcosa per rispondere all’appello del giornalista e sacerdote ucraino?

Siamo grati a don Juri per la sua testimonianza. La chiesa del Triveneto ha già attivato un programma di aiuti. L’Ucsi aderisce a quest’iniziativa e sosterrà la rivista Skynia in modo che possa garantire libera informazione in un momento così delicato.

Il tema proposto dall’Ucsi non era solo quello della “comunicazione della guerra”, ma anche “della speranza”. Qualcuno potrebbe pensare al solito “buonismo cattolico”...

Il cosiddetto buonismo resta tale quando non esce dai confini della retorica. Condivisione, sostegno concreto non sono retorica e quindi neanche buonismo. D’altra parte questa pagina buia é riuscita a stanare quella solidarietà solitamente abbastanza latente.

Ma in concreto come si traduce oggi, per la guerra, questa “comunicazione della speranza”?

Io direi che per prima cosa occorre rialzare lo sguardo non solo su questo conflitto ma anche sugli altri venti conflitti pressoché ignorati, salvo rare eccezioni. Non si può neanche dire che parlare di speranza in termini giornalisticinon paghi. Ci sono autorevoli esempi di giornali che seguono questa linea con grande professionalità e aumentano la diffusione. Il vero problema é non stancarsi. Molte guerre non hanno cittadinanza sui giornali e lo stesso conflitto in atto rischia, prolungandosi, di scivolare a metà giornale. Non possiamo permettercelo.

Avete aperto il confronto anche a due esperiene “alternative” di giornalismo. Perché questa scelta?

Perché sono due esperienze molto interessanti che presentato un profilo etico molto simile all’Ucsi. Il rischio delle piccole, ma significative esperienze, é di limitarsi a cercare di autoalimentarsi. Io sono fortemente convinto che invece occorra fare rete. Ci vuole tempo, pazienza, ma é l’unica strada.

E’ una dura prova per il giornalismo, questa vicenda. I presidenti di Ordine e sindacato hanno posto l’accento sulle difficoltà oggettive, ma hanno anche rivolto un appello a non perdere la bussola dell’etica, della deontologia, dei doveri di una informazione corretta. Condivide?

Cito l’esempio della tutela dei minori: sembra che davanti all’emergenza questi codici di tutela evaporino. Ora, da un lato, dopo un mese non si può più parlare di emergenza. Dall’altro l’Ucsi ha volutamente sottolineato la testimonianza di inviati al fronte che con tenacia seguono questo profilo etico. I minori non si rendono identificabili, neanche se sono in braccio ai genitori intervistati. Esiste la possibilità di continuare a lavorare in questa direzione. Occorre semplicemente crederci.

Ci sarà un seguito a questa iniziativa?

Certamente. Questo é stato un esperimento, organizzato in fretta, ma che ha avuto ottimi feedback, perché é stato il primo sull’argomento e perché é stato adottato uno stile inclusivo, che ha anche aperto nuovi bacini di ascolti in rete.

L’idea, a questo punto, é adottare questo modello per attivare corsi di formazione professionale che rilancino questi temi.

Ultima modifica: Sab 26 Mar 2022