Ad Assisi dialoghi sull'Europa

Quali sono le prospettive dell’Europa? Questa la domanda che è stata posta al centro del dialogo tra Gianni Borsa, corrispondente dell’Agenzia SIR da Strasburgo e Bruxelles, e padre Giuseppe Riggio, consulente ecclesiastico dell’Ucsi, durante la Scuola di alta formazione giornalistica dell’Ucsi “Giancarlo Zizola”.

L’idea dell’incontro è stata quella di cogliere alcuni aspetti di fondo della costruzione comunitaria per poi provare a tracciare i principali sviluppi e capire quali possono essere le strade aperte dell’assetto politico europeo.

Gianni Borsa inizia delineando la coscienza storica che ha portato alla costituzione della Comunità Europa, prima come Comunità del carbone e dell’acciaio nel 1951, il cui primo obiettivo era la costruzione della pace all’indomani dei conflitti mondiali. Oggi come Unione risponde al concetto di pace (e non solo per la guerra tra Russia e Ucraina) con un principio di fondo: la solidarietà. Valore che ha tra le tante conseguenze anche le contromisure al caro delle bollette, all’inflazione e l’accoglienza dei profughi su tutti i paesi della Comunità.

La solidarietà si sviluppa attraverso un mercato unico e la convergenza economico-sociale tra paesi molto diversi, all’inizio sei, oggi ventisette dopo la Brexit. La progressione di allargamenti territoriali ha avuto come conseguenza l’aggiunta di Paesi come Regno Unito, Irlanda, Danimarca, Paesi iberici fino ai quelli dell’Est dopo la caduta del muro di Berlino. Nello sttesso momento sono crecsiute le competenze dell’UE. Borsa mette l’accento sui diritti dell’Unione Europea, sottolineando che l’Europa non toglie sovranità agli stati membri, ma ha competenze che le sono concesse dai paesi che ne fanno parte, firmando dei trattati; ciò comporta che l’Europa può occuparsi di alcuni settori della vita pubblica e non di altri. Il giornalista tiene a sottolineare questi aspetti fondamentali per far comprendere come alcune nozioni di base riguardo ai diritti e ai doveri dell’Europa, sebbene consolidati da tempo, risultino confusi o non bene conosciuti dalla politica o dalla stampa.

L’Europa è un cantiere aperto, a differenza delle costruzioni nazionali di un paese come l’Italia, e continuerà a crescere come costruzione sovranazionale perché aperta a nuovi ingressi e disposta ad accogliere nuovi paesi rispettando determinati criteri. Andando avanti con la storia si comprende come ulteriori convergenze e competenze saranno necessarie per affrontare sfide inedite che non si erano valutate prima come l’emergenza migratoria del 2015, la pandemia del 2020 e la guerra in Ucraina del 2022. Queste hanno portato a mettere in pratica una politica comune tra le nazioni. Al momento le sfide sono due, continua Borsa: adottare una difesa comune, che al momento non c’è, e applicare una politica energetica.

Quali sono dunque le strade aperte? La prima è quella della sovranità, sempre secondo Borsa, costruita nel corso dei secoli da chi ha combattuto le guerre, insieme alla cultura di un paese. Questa risposta non è ancora sufficiente di fronte alle nuove esigenze, per cui si avranno alcuni elementi di sovranità nazionale e altri che si dovranno giocare su una governance più alta. La seconda è la necessità di riforme interne, se il mondo e la governance cambiano, l’Unione Europea avrà bisogno di riforme istituzionali. Le riforme interne sono state anche suggerite dalla recente Conferenza sul futuro dell’Europa che si è svolta dal 9 maggio 2021 al 9 maggio 2022, sostenuta grandemente e un po’ intuita da David Sassoli.

Occorre dunque costruire una democrazia utile. L’UE deve decidere per dare risposte utili ai cittadini, alle famiglie, alle imprese. Ci si deve rendere conto che non vi è differenza tra la cittadinanza propria e quella europea, perché i cittadini degli stati membri hanno una doppia cittadinanza di cui spesso non si percepiscono i valori. L’esigenza è quella di creare un δῆμος (dèmos) comune. Gianni Borsa conclude che la nostra identità non è quella che si vive nel presente, ma è quella futura che si costruisce ogni giorno.

L'essenza delle esperienze che abbiamo vissuto ci conferma che l'Europa si forgia attraverso le crisi e attraverso le risposte alle crisi. Con queste parole dell’europeista Jean Monnet si apre l’intervento di padre Giuseppe Riggio che ha cominciato ad occuparsi dell’Europa nel 2012, anno di terribili attentati. Padre Giuseppe focalizza la sua attenzione sulla resilienza e sulla vitalità del progetto europeo che traducono la capacità di affrontare le crisi e di trovare soluzioni. Quindi in questo senso le crisi si sono tramutate in crisi di crescita che hanno cambiato il progetto senza stroncarlo. Nel momento in cui si è di fronte a vicende inattese, le istituzioni europee diventano un punto di riferimento su cui riporre fiducia.

Per parafrasare ancora le parole di Monnet, l’Europa è anche il risultato delle soluzioni che vengono date alle crisi. Un esempio è l’economia, che non è stata l’obiettivo principale, ma la soluzione ad una pace condivisa. Dunque, se le soluzioni sono nella logica della solidarietà, corrispondono non ad un’idea congelata di unione, ma alla linfa vitale per cui questa unione ci sembra importante: permettere che ci siano le condizioni perché tutti i popoli, le cittadine e i cittadini possano avere le medesime opportunità e dare il proprio contributo.

Continua Padre Giuseppe ribadendo che "non dobbiamo guardare all’Europa solo con la logica del ricevere, ma anche capire quanto in questa solidarietà possiamo dare, sapendo che la ricerca delle soluzioni passa anche attraverso il principio della sussidiarietà". In un organismo vivo tutti non possono fare tutto, ma ognuno fa ciò che può fare meglio, sia a livello continentale che a livello nazionale e locale; per fare questo c’è bisogno di una certa flessibilità.

Continua citando il motto dell’Europa “Unita (o unità) nella diversità”, concetti ben distinti tra le varie accezioni dei termini. Unità non vuole dire uniformità o omologazione o affermazione di un modello come unico a cui tutti devono uniformarsi, queste significherebbero solo mortificare l’esperienza ricca di tradizione, di cultura, di creatività dei popoli europei. Se la diversità si riduce a individualismo, si rompe il concetto di Europa, infatti realtà diverse sono tra loro in comunicazione ed è proprio questo il vantaggio del mutuo apporto e arricchimento dello stare insieme. Se non si trova il punto che tiene insieme ventisette stati con le loro diversità, allora non si potrà progettare un futuro.

Il compito dei giornalisti è quindi quello di andare più a fondo, cercando di spiegare di raccontare e di far conoscere, non limitarsi a riportare le decisioni politiche degli stati.

Forse allora ci siamo dimenticati della guerra, pensando che l’Unione Europea abbia acquisito per sempre la pace, tanto più si comprende oggi con il conflitto in Ucraina. Bisogna capire se l’Europa, che è uno dei luoghi dove si vive meglio al mondo dal punto di vista del welfare che viene assicurato, ed economicamente uno dei più ricchi, voglia decidere di essere una fortezza, accontentandosi di tenere più o meno in ordine la situazione che c’è o se vuole essere capace di portare avanti quell’intuizione di lavorare per la pace che l’ha fatta nascere anche al di fuori delle proprie mura.

Conclude Padre Giuseppe con una provocazione che pone i presenti davanti ad una scelta su come si vuole essere europei nella scacchiera internazionale: giocare al modo degli Stati Uniti, indecisi nei confronti degli altri attori internazionali, o essere portatori di pace allontanando la possibilità di una nuova guerra o ancora essere solo un attore economico che sicuramente perderà sapore di Europa.

Come recita la parabola di Gesù “A che serve il sale quando ha perso il suo sapore?”.

Dunque, non resta che sperare che l’Europa, che siamo noi, decida cosa voglia diventare nei prossimi anni.

Ultima modifica: Mer 2 Nov 2022