Quella volta del Papa in tv

Un anno fa, alla vigilia del nono anniversario del suo pontificato, papa Francesco rilasciò una lunga intervista televisiva al programma "Che tempo che fa" di Fabio Fazio. La trasmissione fece il record di ascolti. Un risultato solo in parte prevedibile ma niente affatto scontato. I numeri dell’Auditel fecero impressione: 6,7 milioni di spettatori (oltre il 25% di share), con un picco che arrivò a 8,7 milioni.

Adriano Fabris, professore di Filosofia morale e Etica della comunicazione all’Università di Pisa, esperto anche di comunicazione della Chiesa, notò soprattutto il modo semplice e diretto con cui il pontefice si è posto nei confronti del pubblico. E questo certo lo ha fatto molto apprezzare.

Ma il suo messaggio è stato efficace da un punto di vista comunicativo?

«Devo confessare che alla vigilia ero molto preoccupato perché la televisione di solito appiattisce. Anche le cose più importanti finiscono ad un pubblico distratto, magari tra una canzone e uno spot. L’importanza e la qualità di una comunicazione alla fine rischiano di perdersi. Però Francesco è riuscito a dire le cose con semplicità e profondità. Ha colto nel segno, al di là degli applausi che ha ricevuto».

Il contesto del programma, così vario, poteva essere un problema?

«Si, ma devo riconoscere che Fabio Fazio si è ben preparato, ha usato un linguaggio interno alla dimensione ecclesiale. Si è accreditato come un vero credente».

Cosa l’ha colpita di più allora delle parole del Papa?

«Il mondo in cui ha fatto teologia. Sì, ha fatto teologia attraverso il mezzo televisivo. In modo pratico e concreto ha fatto capire perché dobbiamo accogliere gli altri, perché dobbiamo perdonare».

La fiction su Netflix (leggi qui), ora l’intervista nel talk della domenica sera. Per un Papa che ha fatto il voto di non guardare la tv è una svolta?

«D’altra parte, dal punto di vista della comunicazione, è più un Papa televisivo che da social. Sì, certo, funzionano anche i suoi social, ma credo che per mentalità e per cuore lui sia un Papa da televisione, proprio perché è in grado di parlare al cuore di tutti».

In generale la Chiesa come deve aprirsi al mondo della comunicazione, quella mainstream e quella social?

«Innanzitutto attraverso una rinnovata riflessione, che manca da tempo. Eppure, anche rispetto alle tecnologie digitali, è stata tra le prime ad interrogarsi. E poi credo che non si debba pensare tanto all’utilizzo dei mezzi (che avviene già in modo massiccio e anche dal basso), quanto piuttosto ad avere consapevolezza delle opportunità indubbie che la comunicazione offre ma anche dei rischi che si corrono senza una preparazione adeguata».

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Ultima modifica: Dom 12 Mar 2023