Il mio giardino: la scuola aperta comincia dall'ascolto

“Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori”: la frase di Italo Calvino tratta da “Il Barone rampante” ha rappresentato il leit motiv della XXIII edizione del seminario di formazione per giornalisti proposto dal Redattore Sociale presso la Comunità di Capodarco dal 1° al 3 dicembre.

Durante la mattinata di sabato si è parlato di istruzione a partire dal ruolo educativo della scuola, e l’argomento è stato approfondito nel workshop moderato dal giornalista Dario Paladini corrispondente da Milano del Redattore Sociale.

Anche nelle scuole di periferia è possibile scorgere quell’epifania della bellezza che spesso stentiamo a riconoscere, come testimonia il viaggio nelle scuole interculturali descritto da Vinicio Oncini. Nei contesti difficili di quattro città-campione, Palermo, Napoli, Roma, Milano si è deciso di avviare un progetto di apertura estiva, coinvolgendo i ragazzi nella sperimentazione di nuovi linguaggi artistici attraverso il cinema e il teatro.

E proprio in queste “scuole ghetto” un po’ dimenticate sono avvenuti tanti piccoli miracoli: durante uno dei laboratori creativi estivi nella scuola “Ilaria Alpi - Carlo Levi” di Scampia nell’estrema periferia nord di Napoli i ragazzi hanno costruito un tentativo di contro-narrazione per documentare in un video che Scampia non è solo Gomorra. Oppure in un quartiere multietnico di Milano in zona San Siro, accanto ad una moschea, sorge un’altra “scuola ghetto” che ha scelto di diventare una “scuola aperta” ogni sera e ogni domenica con un mercatino nel weekend, messo in piedi in collaborazione con Coldiretti.

Forse non è un caso se è risultata tra i cinque vincitori dell’Italian Teacher Prize 2017 Maria Franco insegnante di italiano, storia, educazione civica e geografia presso l’istituto penale minorile che sorge a Nisida. I suoi occhi si illuminano quando parla dei “suoi ragazzi”, giovani tra i 14 e i 25 anni condannati ad un’eterna solitudine, imprigionati in una subcultura camorrista che vede nel denaro la sola espressione del potere.

A Nisida storie drammatiche si intrecciano, reati pesanti sembrano aver segnato per sempre le loro vite, ma il desiderio di felicità che appare sopito dietro le sbarre si risveglia prepotente sui banchi di scuola. «La scuola a Nisida diventa uno spazio temporale in cui misurare la propria libertà ed è l’unico luogo dentro il carcere dove non esistono sbarre, perché qui il ragazzo è chiamato a riflettere su stesso, alla ricerca di un delicato equilibro tra urlo, violenza, rabbia e silenzio interiore» afferma la loro maestra Maria, convinta che «non sono ragazzi diversi dagli altri ragazzi italiani, semplicemente non hanno mai incontrato tutte le sfumature di buono e di bello da cogliere nella vita».

È dunque possibile educare lo sguardo ad “andare un po’ più in là”, a non fermarsi all’apparenza delle cose perché nessuno è perduto, “ognuno sa fare qualcosa” come recita il titolo di una poesia di Marco Moschini maestro di scuola elementare per 36 anni intervenuto a Capodarco. «Il pesciolino non sa volare ma batte tutti se deve nuotare! La grande quercia non può camminare ma fino al cielo ha saputo arrivare!»: dentro ogni persona potrebbe nascondersi una sorpresa unica, perfino nelle “scuole ghetto” delle periferie o tra i banchi di scuola di un carcere in un’isola inaccessibile delle Flegree che si affaccia sul Golfo di Napoli, dove all’alba il sole sorge ancora nei cuori di ragazzi, “cani perduti senza collare” come profeticamente ci ricorda il titolo di un libro carico di tenerezza dello scrittore francese Gilbert Cesbron.

Ultima modifica: Lun 4 Dic 2017

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