Idee

Questo è uno spazio del sito per riflettere su un tema centrale della nostra dimensione di “comunicatori” e suscitare un dibattito a distanza. In alcuni periodi dell'anno diventa anche un modo di produrre contributi a tema.  

Giornalismo e intelligenza artificiale. Una questione etica

SE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SUPERA L’UOMO

Quando uno scrive di sviluppi tecnologici il rischio è sempre quello di dire cose che, quando poi verranno lette, non saranno più aggiornate e, dunque, non risulteranno pienamente corrette. Gli sviluppi tecnologici procedono infatti più velocemente di quanto non riusciamo a pensarli. Interviene qui una sorta di obsolescenza, certo: che non è solo quella dei dispositivi, i quali come sappiamo rischiano di essere già superati – per esprimerci in maniera un po’ paradossale – non appena è promossa la loro commercializzazione, bensì è quella delle nostre stesse riflessioni, che non riescono a essere sempre allineate a ciò che sta accadendo.

Nel momento in cui scrivo, per esempio, non si parla più di metaverso: argomento di moda, nei suoi pro e nei suoi contro, fino a qualche tempo fa. Non che la questione relativa alla presenza di ambienti virtuali, da vivere in parallelo all’ambiente fisico in cui siamo collocati e ai vari ambienti online in cui ormai abitualmente ci muoviamo, non sia più oggetto d’interesse per le grandi companies. Certamente, però, ciò che sembrava a un passo dalla realizzazione e dall’utilizzo massivo – su di un piano ludico, educativo, di training – si è visto che richiede ancora molti sforzi nella ricerca e molti investimenti economici. Adesso è invece l’ambito della cosiddetta intelligenza artificiale a suscitare attenzione e preoccupazione. Soprattutto per quanto riguarda una serie di sue applicazioni, che sembrano poter cambiare profondamente i nostri modi di vivere e di rapportarci al mondo.

Mi riferisco per esempio alla cosiddetta intelligenza artificiale generativa. Essa costituisce un’articolazione dell’intelligenza artificiale (IA) nella quale l’uso di algoritmi è finalizzato a generare contenuti: ad esempio, testi, immagini, suoni. GPT (Generative Pre-trained Transformer) è uno degli algoritmi generativi più famosi. Si tratta più precisamente di un modello d’intelligenza artificiale generativa linguistica sviluppato dall’azienda Open AI. La sua fama è dovuta al fatto che una sua versione conversazionale – Chat GPT – è stata rilasciata pubblicamente e gratuitamente allo scopo di “addestrare” il programma, vale a dire per fare in modo che, grazie all’interazione con gli utenti, esso venisse sempre più perfezionato nella sua capacità di generare testi plausibili e coerenti. Una delle caratteristiche dei programmi di IA è infatti quello di poter “imparare”, cioè di modificare i propri “comportamenti”, attraverso l’interazione con un ambiente (N.B.: le virgolette qui usate servono a rimarcare il fatto che, pur usando gli stessi termini, sto parlando di agenti artificiali e non di agenti umani).

Questo aspetto, cioè la capacità di conoscere un’implementazione e di “imparare” nell’interazione con l’ambiente, è ciò che maggiormente sta suscitando attenzione nel dibattito pubblico. Ciò avviene per almeno due motivi. Il primo è che, in tal modo, i programmi di IA manifestano un certo, variabile grado di autonomia e, appunto perciò, possono sfuggire alla previsione e al controllo dell’essere umano che li ha elaborati. Il secondo è che, proprio in relazione a questo aspetto di autonomia che sono in grado di manifestare, essi sembrano altresì esprimere una sorta di “creatività”: la capacità cioè di sviluppare contenuti nuovi, in forme in qualche modo pure nuove, a partire da un bagaglio di nozioni già posseduto (o magari attinto dal web).

Quest’ultimo aspetto sta suscitando una diffusa preoccupazione. Finora si riteneva che autonomia e creatività fossero caratteristiche proprie solo degli esseri umani. Finora si credeva che certe attività animate da tali caratteristiche fossero monopolio solo di certe categorie di persone. Finora si pensava che certe professioni non potessero affatto essere esercitate da semplici programmi. Ora pare invece che non sia più così. E dunque ciò che Günther Anders aveva chiamato “vergogna prometeica” – lo stato d’animo dell’essere umano nei confronti di un’entità artificiale più perfezionata e performante – sembra essere una sensazione sempre più giustificata e diffusa.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN REDAZIONE E NELLE PERCEZIONI DEL PUBBLICO

La professione giornalistica è indubbiamente una professione creativa. Non si tratta solamente di raccogliere e diffondere informazioni, ma di verificarle, certificarle, interpretarle, contestualizzarle, proporle in maniera giusta e comprensibile al proprio pubblico. Per far questo non basta conoscere i fatti: bisogna saperli confezionare secondo forme adeguate che s’imparano con gli anni. Anche in questo consiste il mestiere del giornalista.

Nel momento in cui scrivo è appena stata commentata la notizia – ad esempio in un articolo di Pietro Minto sul “Foglio quotidiano” del 26 luglio scorso, ma prima ancora in un altro articolo di Simone Cosimi del 21 luglio su repubblica.it – dello sviluppo di una serie di programmi volti ad “aiutare” le redazioni nello svolgimento del loro lavoro. Si parla ad esempio di trattative fra varie testate giornalistiche, ad esempio il “New York Times”, e Google per l’utilizzo di Genesis (clicca qui), e dell’elaborazione, in Italia, di contents.com. Si tratta di programmi in grado di generare testi utilizzabili a fini giornalistici. Contents.com ad esempio, la piattaforma sviluppata da Massimiliano Squillace, intende fornire ai suoi fruitori il materiale grezzo per un articolo: dati, informazioni e anche immagini già confezionati in una maniera pressoché pubblicabile, che attendono solo l’ultima mano del giornalista per una verifica o per l’aggiunta di una nota di colore. Analogamente può accadere nel caso dei comunicati stampa. In questo caso la tecnologia GPT è in grado di mettere a disposizione del comunicatore pubblico una bozza di testo su cui egli può poi intervenire adattando il comunicato alle proprie esigenze e al proprio target.

Da tempo, peraltro, l’IA è usata nelle redazioni per gestire dati, aggregarli, elaborarli: soprattutto quando essi sono in numero enorme. Pensiamo agli sviluppi del data journalism che si sono avuti, per esempio, nel periodo della pandemia. Ora però le cose sono diverse. Ora i programmi di IA sono in grado di sostituire alcune attività tipicamente giornalistiche.

Un altro modo d’incidere con questi programmi nello spazio dell’informazione riguarda poi il posizionamento delle notizie. Qui la tecnologia non propone più informazioni già confezionate, ma le seleziona in base al loro appeal. Definisce cioè secondo criteri precisi la presentazione delle notizie, ad esempio nella pagina di un sito giornalistico. Si realizza in tal modo un intervento mirato di agenda setting.

Di quali criteri si tratta? Sono ovviamente gli stessi usati dai motori di ricerca, dato che si vuole che il sito d’informazione risulti per i suoi contenuti ai primi posti fra le notizie indicizzate. Sono, come sappiamo, i criteri costituiti dal numero di visite al sito, dalla quantità di link con cui è collegato ad altri siti della rete, dall’utilizzo di determinate parole chiave che in un certo momento risultano di particolare interesse.

Di conseguenza la dignità e il posizionamento di una notizia finiscono per dipendere dai gusti del pubblico che deve essere informato. Lo stesso effetto che è proprio dei Social – la cosiddetta filter bubble, vale a dire la bolla di filtraggio rispetto alla quale una persona trova in una rete sociale solo gente che la pensa come lei – adesso, grazie all’uso di ben precisi algoritmi, viene esteso all’intero ambito dell’informazione. Con un effetto di circolarità – io trovo messe in evidenza in rete proprio le notizie che mi aspetto – che falsa la percezione di ciò che sta accadendo d’importante, di significativo per tutti, nel mondo.

Tutto ciò, e molto altro, sta maturando con l’applicazione dell’IA all’ambito della comunicazione giornalistica. Le conseguenze per la professione sono molteplici. Non è detto che tali processi possano essere tout court fermati: i criteri dell’efficacia e dell’efficienza, e soprattutto la convenienza economica nell’utilizzo di tali programmi, spingono a proseguire nella loro elaborazione e applicazione. Tuttavia è bene essere consapevoli di ciò che tali trasformazioni comportano, anche per evitare semplicemente di subirle. Su tre di queste conseguenze mi voglio brevemente soffermare: i cambiamenti nella professione giornalistica; i cambiamenti nella qualità dell’informazione; i cambiamenti nella fruizione dell’informazione stessa.

Del primo punto si parla già da tempo. Come nel caso di altre professioni, ciò che si teme è che – invece di un miglioramento e di un potenziamento della propria attività, dovuto all’affiancamento dell’agente artificiale all’agente umano – si realizzi piuttosto anche qui, nel migliore dei casi, un deskilling, cioè una perdita di competenze da parte del professionista, e nel peggiore, in prospettiva, una sostituzione di ciò che questi può fare con ciò che più velocemente e più compiutamente è in grado di fare il programma di IA. Non si tratta solo di una probabile perdita di posti di lavoro. Rispetto a tale rischio, peraltro, la risposta dei fautori del progresso tecnologico è sempre la solita: certi sviluppi porteranno all’eliminazione di attività banali e ripetitive, e costringeranno gli esseri umani a elaborare ulteriori loro capacità. Si tratta invece di fare in modo che, in questa sostituzione, non vengano meno alcune caratteristiche fondamentali della professione giornalistica. Sono quelle che richiamavo prima: l’interpretazione dei dati, la loro contestualizzazione, il loro collegamento ad altri ambiti d’interesse dei possibili lettori, la loro presentazione a pubblici di volta in volta differenziati.

Riguardo al secondo punto, quello relativo ai cambiamenti nella qualità dell’informazione, non mi riferisco solamente alla correttezza delle notizie elaborate e proposte mediante un algoritmo. Sappiamo che non sempre tale correttezza è garantita, specialmente nelle prime fasi dell’utilizzo di un GPT: tanto che si è dovuto procedere già varie volte alla rettifica (compiuta dagli esseri umani) di informazioni rilasciate da un programma di IA. Sappiamo però, anche, che l’addestramento del programma porta di solito a un progressivo miglioramento della sua affidabilità. Mi riferisco invece, soprattutto, al tipo di notizia che viene diffuso e al modo in cui le informazioni sono presentate e veicolate. Rispetto a ciò è necessario intervenire preventivamente nell’elaborazione di certi programmi, inserendovi criteri che possano permettere di selezionare le informazioni secondo le differenti esigenze del dibattito pubblico. Ciò che va evitato, sia per quanto riguarda i contenuti che per quel che concerne le modalità della loro diffusione, è insomma che venga fatta una selezione sulla base di un criterio unilaterale: com’è ad esempio quello, d’impianto utilitaristico, che privilegia il numero dei contatti realizzati e realizzabili nel web. Già oggi, d’altronde, gli informatici sono in grado di elaborare programmi di IA anche inserendovi altri criteri per il loro funzionamento.

Quanto all’ultimo aspetto menzionato, esso riguarda l’opinione pubblica, o ciò che oggi può essere detta tale. Ho già mostrato altrove che, nell’epoca dei Social, l’opinione pubblica si è trasformata in un pubblico di opinionisti. Adesso questo pubblico, dopo aver rinunciato alla possibilità di una costruttiva sintesi fra i vari gruppi di opinione, rischia di dover rinunciare anche a quella capacità d’interazione che si realizza tra le diverse posizioni e tra i vari portatori d’interesse che sono collocati all’interno dello spazio democratico, nella misura in cui tale spazio, grazie alle sue regole, consente di prendere una decisione comune. Ciò può accadere non solo perché non ci sono più unicamente soggetti umani a gestire le informazioni, ma soprattutto perché, in prospettiva, gli agenti artificiali che li sostituiscono sono in grado, grazie alla loro potenza, di occupare e d’indirizzare ogni dimensione del dibattito pubblico. Se ciò accadesse, però, dovremmo rinunciare a quelle forme di manifestazione democratica che proprio sulla libertà d’informazione e di espressione trovano il loro fondamento.

L’ETICA DI CUI ABBIAMO BISOGNO

In conclusione – e in parte correggendo quanto ho detto inizialmente – se pure è vero che ogni riflessione sugli sviluppi tecnologici rischia d’invecchiare precocemente, è altrettanto vero che, anche grazie alla capacità anticipativa e allo sguardo lungo che, sulla base delle esperienze passate, il pensiero umano può rivolgere al futuro, è bene riflettere fin da subito su certe situazioni che stanno maturando. È bene farlo non già con l’intenzione – ingenua e velleitaria – di bloccare immediatamente il loro procedere, bensì con la volontà di comprenderle, con l’idea di accompagnarle, con l’intenzione di evitare che certi esiti vengano acriticamente accolti: come in parte è avvenuto nel recente passato e come rischia ancora di accadere, per la tendenza umana ad accettare una sorta di “servitù volontaria”.

E invece per il raggiungimento di questi scopi può essere d’aiuto l’etica. A ciò, più precisamente, può servire l’etica dell’interazione fra l’agire umano e l’agire dei dispositivi artificiali. È quanto tutti noi, sia nelle nostre professioni che nelle attività che fuoriescono dalla sfera professionale, è importante che impariamo fin d’ora a conoscere e a praticare.

La comunicazione della Chiesa e il metaverso

La società contemporanea, che vede lo sviluppo delle nuove tecnologie, ci chiede costantemente di comprendere quali siano i bisogni dell'uomo e come l'uomo riesce a confrontarsi con la fede e con i valori. Riflessioni necessarie per capire i problemi delle nuove generazioni e anche del mondo degli adulti.

Le tante povertà e derive comunicative

La nostra società si presenta complessa sotto tanti aspetti e il volto della povertà viene descritto in tanti modi. Papa Francesco nella VI Giornata Mondiale dei Poveri 2023 ha inviato un messaggio che mette a nudo cosa significa essere poveri. Ha analizzato il dramma della pandemia e della guerra. L'impegno dovrebbe essere quello di ritrovare la solidarietà perché: «più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà». Il Papa ha affermato che è necessario impegnarsi perché a nessuno manchi quello di cui ha bisogno e soprattutto: «la povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita”. Una giornata dedicata ai poveri e alla povertà che è servita per fare un esame di coscienza personale e comunitario. Oggi, abbiamo bisogno di trovare alcuni riferimenti e sono tanti gli uomini che si sono distinti per le loro virtù e i loro valori.

La storia ci ricorda l'esempio di un sacerdote che allora fu considerato “scomodo” e che invece ci ha lasciato grandi insegnamenti e questo prete si chiamava Don Milani.

Sono trascorsi 56 anni dalla morte di Don Milani e prima di morire, circondato dai suoi studenti, sottolineò l'amore per i suoi alunni sostenendo di averli amati più di Dio e sperava che Dio non attenzionasse «queste sottigliezze».
Un maestro e un sacerdote che ha amato la scuola e ha cercato, con impegno e dedizione, di migliorarla e di accogliere tutti. Un impegno talmente assoluto che ha reso il messaggio di Don Milani forte, attuale e allo stesso tempo urgente. Un'attenzione agli ultimi, ai più poveri e a chi non riusciva ad integrarsi.
Le parole vanno scelte con attenzione e con cura, perché sono le parole a fare sempre la differenza. La semplicità unita all'amore, arriva dritta al cuore e questi i suoi allievi lo percepivano.
Don Milani credeva nell'espressione “I CARE”, che vuol dire “mi sta a cuore” ed ecco il bisogno di dar vita ad una scuola che abbia a cuore i ragazzi, ma tutti i ragazzi uno per uno. Un successo formativo che comprenda ogni singolo alunno.

UNA SOCIETÀ “GUARDAROBA”

Uomini come Don Milani hanno lasciato messaggi densi di significato che vanno letti nella nostra contemporaneità e alla luce di quella che viene definita “società dello scarto”.
La cultura dello scarto trova posto facilmente e sta a noi cercare di trovare delle soluzioni e delle risposte. Una società “guardaroba” in cui è facile disfarsi degli oggetti e delle persone. Viviamo all’interno di un grande catalogo e ci muoviamo all’interno di pagine virtuali, dove è rimasta poca umanità e pochi valori.

Il grande sociologo Zygmunt Bauman sostiene, che eliminiamo tutto ciò che è in discordanza con il nostro sentire. E questo apre a quel concetto di consumismo identitario, che alimenta il provvisorio. Così ciascuno, sulla propria lavagna, scrive e cancella con un colpo di spugna.
Le tendenze narcisistiche, l’Io performativo, l’iper-consumismo economico e anche dei sentimenti, la precarizzazione delle relazioni, adolescenti a cui è instillata la cultura della prestazione, che li fa sentire importanti, stimolando la messa in atto di tutte quelle strategie che consentono l’ottenimento del risultato, il like o i cuoricini sulle piattaforme virtuali.

Si va verso una sempre più spiccata mancanza di riconoscimento dell’altro, l’individuo si allontana dall’impegno e dal sacrificio. Diventa fondamentale riflettere su quale ruolo deve rivestire l’etica nella società digitalizzata, quali domande l’individuo è chiamato a porsi rispetto alla sua identità sociale e al suo ruolo nella comunità.

Ho molto apprezzato quanto ha scritto nei suoi testi, davvero appassionanti, il professore di filosofia dell’Università di Berlino, di origine coreana, Byung-Chul Han, che nel suo libro “Come abbiamo smesso di vivere il reale” spiega appunto come abbiamo perso il contatto con il reale e esprime la necessità di tornare a rivolgere lo sguardo alle cose concrete, modeste e quotidiane. Le sole capaci di starci a cuore e di stabilizzare la vita umana. Scrive: «Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud». Il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvoloso e spettrale.
Tutti risucchiati da questi media narcisistici, che si fondano sulla proliferazione dell’iper-rappresentazione che conduce verso una fragilizzazione e all'incapacità di costruire legami. Come se non bastasse, da tempo stanno vincendo tutti gli ismi: i cattivismi, gli individualismi, gli egoismi.

Ho avuto il privilegio di conoscere nell’Università di Messina, dove insegno, il sociologo e filosofo Edgar Morin. In una recente intervista su “La Lettura” del “Corriere della Sera”, ha sottolineato come «l’individualismo, per esempio, pur invocando giustamente la responsabilità che ognuno deve assumersi in quanto individuo, può esprimere anche un pericoloso egoismo. Stiamo assistendo al degrado della solidarietà come pieno riconoscimento dell’umanità dell’altro. Oggi ci sono troppe persone che soffrono la tragedia della solitudine. C’è una politica di solidarietà da sviluppare. C’è urgente bisogno di un enorme cantiere”. Ed il paradosso pronunciato dal sociologo Zygmunt Bauman che la società più dotata di tecnologie è piena di solitudine ed è quella stessa società che aveva etichettato come liquida e colma di vuoti.

PERICOLI SEMPRE NUOVI PER LE NUOVE GENERAZIONI

La pandemia ci ha fatto scoprire come tutto si può trasformare improvvisamente e molti di noi hanno avvertito un forte senso di solitudine. Questa emergenza ha evidenziato che sono in atto nella società diversi pericoli per le nuove generazioni, legati ad un uso non consapevole delle nuove tecnologie. Fenomeni sempre più violenti ed estremi. Basti pensare al cyberbullismo, al bullismo, al sexting, al body shaming, che hanno come protagonisti proprio i giovani.

I ragazzi vivono una doppia dimensione del corpo come centro di potere, «un portatore visibile di identità di sé», e strumento per esibirsi nell’universo social e questo li espone a rischi incredibili. I dati che riguardano gli abusi sui minori sono davvero allarmanti. Uno dei reati di cui si sta discutendo è il sextortion, un ricatto a sfondo sessuale per sottrarre con l'inganno denaro. Nel 2021 è stato rilevato, da un report della Direzione centrale della polizia criminale, un +94 per cento rispetto al 2020.

L'agenzia ANSA ha pubblicato nuovi elementi preoccupanti che si sono registrati nel 2022. Le percentuali sono state elaborate sull'andamento dei reati riconducibili alla violenza nei confronti dei minori, realizzato dal Servizio analisi criminale coordinato dalla Direzione centrale della polizia criminale. Sembra proprio che siano cresciuti i reati sessuali commessi nelle scuole.
Infatti, si legge: «Il maggiore aumento nel 2022 riguarda l'abuso dei mezzi di correzione, la violenza sessuale e la violenza sessuale aggravata, perché commessa presso istituti di istruzione: per quest'ultimo l'incremento è del 54% (con un aumento del 58% delle vittime). In generale, per quanto riguarda i reati contro i minori, tra le vittime prevale quasi sempre il genere femminile. La fascia anagrafica con il più alto numero di vittime è quella sotto i 14 anni e tra gli autori dei reati prevalgono gli uomini di età compresa tra i 35 ed i 64 anni (62 per cento)».
La pedopornografia è un dramma del nostro tempo e anche Papa Francesco è intervenuto in diverse occasioni per spiegare la gravità del problema. Gli adulti hanno il dovere di ascoltare i bisogni dei più piccoli e di comprendere ogni loro silenzio.
Il ruolo della famiglia è cambiato nell’era della comunicazione digitale. Le relazioni familiari nell'era della generazione multitasking mostrano come non si sia più tempo per guardarsi negli occhi.
Molto spesso, genitori con profili Facebook e figli utilizzatori di Instagram e Tik Tok. È la piena affermazione della “famiglia post famiglia”, dove i membri passano più tempo con la tecnologia che fra loro, e la pandemia ha solo acuito un percorso già iniziato, in modo quasi inesorabile, da alcuni anni.

Purtroppo, la conseguenza è che diventa sempre più alto il livello di incomunicabilità tra figli e genitori. Tantissimi i racconti di genitorialità fragile senza supporti, dove i genitori tentano la comunicazione con i figli divisi tra soggiorno e camera da letto collegati attraverso le chat dei social network. L’isolamento di genitori che non riescono a dialogare e che poco conoscono dei propri figli.

Questo comporta un'estremizzazione degli atteggiamenti e mette in evidenza una considerevole fragilità delle nuove generazioni. All'interno di queste dinamiche si evidenziano devianze, in primis proprio la semplicità e velocità di utilizzo offerte dalla tecnologia, che tendono ad annullare il tempo della riflessione, strumento essenziale in percorso di crescita e costruzione identitaria. L'assenza di punti di riferimento porta i giovani ad esporsi a innumerevoli rischi legati alle nuove tecnologie e a pericolose dipendenze.

Il 28 marzo 2023, il portale dell'Istituto Superiore di Sanità ha reso noti i risultati della prima indagine portata avanti dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità (LEGGI QUI). A quanto pare: «Oltre un milione e 150mila adolescenti in Italia sono a rischio di dipendenza da cibo, quasi 500mila potrebbero avere una dipendenza da videogiochi mentre quasi 100mila presentano caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da Social Media, ed è diffuso anche il fenomeno dell’isolamento sociale (conosciuto come Hikikomori nella sua manifestazione clinica estrema), che riguarda l’1,8% degli studenti medi e l’1,6% di quelli delle superiori. Inoltre, proprio coloro che presentano rischio maggiore sono quelli che maggiormente dichiarano di avere difficoltà a parlare con i propri genitori di cose che li preoccupano».
I dati ottenuti da questa inchiesta confermano ancora una volta le percentuali delle mie ricerche scientifiche, raccolte a partire dai primi mesi della pandemia. Mi sono occupato tante volte di analizzare fenomeni come il Vamping o gli Hikikomori, dando rilievo a quanto possano compromettere le vite dei preadolescenti e degli adolescenti.
Insomma, il problema delle dipendenze va trattato con attenzione, ed è necessario trovare delle soluzioni. Il mondo reale e il mondo virtuale viaggiano su rette parallele ed è evidente che la fotografia è quella di una generazione disorientata.

La realtà che oggi osserviamo ci mostra che comportamenti prima considerati marginali, ora sono capillarmente diffusi.
A fronte di queste evidenze, il mondo degli adulti appare distante, mentre le paure degli adolescenti crescono, avvolti dalla tecnologia, la utilizzano perché questa è l’era della società digitale, dei nativi digitali, che ci presenta un prezzo forse troppo alto da pagare.

L’URGENZA DI INTERVENIRE

Allora, dobbiamo creare un'alleanza che coinvolga la parrocchia, la scuola, l'università e le associazioni per educare ai sentimenti e non al consumismo. Stiamo vivendo una vera emergenza educativa e culturale che deve essere affrontata e superata.
In questa epoca così difficile, abbiamo il dovere di colmare i vuoti, di informare i giovani e di trasmettere loro nuovi modelli culturali. La necessità che abbiamo è quella di trovare nuovi strumenti per educare e proteggere i bambini dai pericoli che minacciano la loro tranquillità e la loro gioia di vivere. Non possiamo aspettare altri casi di cronaca, ma serve intervenire subito e serve non avere paura di denunciare qualsiasi tipo di violenza. Non dimentichiamoci che il sorriso di un bambino è la cosa più bella del mondo e i grandi ne sono responsabili.

Proprio per questo motivo, i giovani devono essere aiutati perché, nonostante siano nati in epoca digitale, non hanno gli strumenti d'interpretazione per affrontare da soli questi nuovi ambienti.
I ragazzi devono tornare ad essere al centro dei processi formativi perché, cosi come ha scritto Maria Montessori, abbiamo l'obbligo di offrire ai bambini e ai giovani un raggio di luce e questa luce deve essere colma di consapevolezze, di certezze e di prudenza in mondo che li tutela sempre meno.

Leggi anche: Unione Cattolica Stampa Italiana - Pandemia, uno spartiacque per curare l'infodemia (e non solo) Di Donatella Trotta

Il 'chi è chi' del giornalismo: attori e registi di un’informazione re-intermediata

Il sistema dell’informazione, non solo italiano, si trova ad affrontare oggi le conseguenze di un processo ormai più che ventennale, che ha investito tutti gli attori coinvolti nell’intermediazione giornalistica – dai giornalisti ai media, dai produttori di eventi (politici, aziende, sportivi, artisti, etc.) al pubblico – e che, apparentemente, ha generato una situazione paradossale e nebulosa, in seno alla quale è davvero difficile individuare, e a maggior ragione intraprendere, una via d’uscita.