#altropresepe - il 'sereno fidarsi' di Maria e le nostre assurde paure di oggi

Possiamo ‘costruire’ il presepe, addobbarlo, ingrandirlo. Possiamo ammirarlo, perché è (o ci sembra) un’opera d’arte. E certamente possiamo contemplarlo. Ma si può ‘vivere’ davvero il presepe?
Insomma possiamo immedesimarci in questo o quel personaggio, pensare di essere nei suoi panni, duemila anni dopo? E’ una specie di ‘gioco di ruolo’ del presepe, quello che vi proponiamo da oggi sul nostro sito con l’hashtag #altropresepe. Perché ogni figura di questa natività ci interpella, anche nel nostro ruolo (prezioso, per tutti) di giornalisti (ar)

Paola Springhetti

Era fine novembre, quando una giovane mamma è andata nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa, dove era ricoverata la sua bambina di appena due settimane.

Dovrebbe essere normale che una mamma vada a trovare la figlia che sta male. Se non fosse che la bambina aveva avuto il torto di nascere nella parte sbagliata del mondo (un capannone in Libia) e che per portarla in salvo in Italia la mamma aveva dovuto affidarsi ad un barcone attraverso il Mediterraneo.

Così quella fragile donna diciannovenne è stata aggredita dalle altre mamme: qualcuno ha detto che portava malattie – e come no? Era migrante! – e che avrebbe contagiato gli altri bambini. L’aggressione è stata tale, che si è reso necessario chiamare i carabinieri.
L’ansia fa male, e spesso è condita di aspetti egoistici. In questo caso, sotto le sembianze del desiderio di proteggere i figli erano nascosti il rifiuto, il rancore, l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro. L’idea che, se vuoi stare bene con tuo figlio e con i tuoi, devi alzare muri.

Per contrasto ho pensato a Maria, così come ce la propone la rappresentazione tradizionale del presepe. China sul figlio, per contemplarlo e proteggerlo, ma anche disposta a mostrarlo a tutti, a lasciare che gli altri si avvicinino. Persone sconosciute: pastori con le pecore, umili pescatori, artigiani. Tutta gente sconosciuta, che non si è lavata le mani con il disinfettante prima di accogliere l’invito dell’angelo: è andata da Gesù così come era, portano in dono la propria fatica, la propria storia, la propria speranza. Maria non ha avuto paura di loro, come non ha avuto paura dei Magi. Forse sapeva che a far soffrire suo figlio non sarebbero stati i poveri, ma i potenti, quelli che lo avrebbero condannato alla tortura e alla morte.

Dentro questo sereno fidarsi di Maria c’è un insegnamento anche per ognuno di noi come persone (da chi ci difendiamo? Dalla diciannovenne mamma accolta in un hot spot o da chi ha voluto il decreto sicurezza?) e come giornalisti (chi ascoltiamo e a chi diamo la parola? A Erode e Pilato – fonti istituzionali – o ai pastori – fonti secondarie?)

Foto di Sara Bessi

Ultima modifica: Dom 23 Dic 2018