Lo sguardo alto del giornalista e la sua grande responsabilità - #ioinformo

(#ioinformo / leggi qui) Dice l'Arcivescovo di Loreto, Fabio Dal Cin, che "quando il mare si ritirerà, sarà interessante vedere cosa è rimasto sul fondo...". Cosa ci avrà lasciato questa avventura? Come saremo, anche noi giornalisti?

Parto da un episodio: proprio all'inizio di questa "cosa", quando le vittime marchigiane si contavano ancora sulle dita delle due mani, abbiamo intervistato in diretta negli studi del Tgr Marche una psicologa dell'emergenza, che sbirciando i titoli (quel giorno c'erano stati due decessi e il totale, in 'tabella' da 4 passava a sei) ci dice: "Vi suggerirei di non dire ‘salgono da 4 a sei’ ma di dire ‘Sono sei’, perchè il solo verbo ‘salire’ accresce l'ansia dello spettatore. Questo episodio mi ha molto colpito. Noi facciamo cronaca, e nella cronaca è inevitabile dire ‘salgono’. Ho provato a dire ‘Sono’, ma non è certamente la stessa cosa.

Questo episodio ripropone un eterno dilemma che mi accompagna da quando lavoro.
I giornalisti si limitano a fare cronaca, o si accollano anche la responsabilità di come viene offerta la notizia? Da sempre la quasi totalità dei colleghi liquida il tema osservando che se dobbiamo assumerci anche questa responsabilità, non si campa più, non escono nè giornali, nè tg.
E poi siamo giornalisti, non psicologi. Vero, ma non si può neanche liquidare così un problema che non è di poco conto.

Aggiungo altri temi. Evito di entrare nel vortice delle fake sui social (e anche sui giornali) perchè mi porterebbe lontano.
Ci atteniamo alle fonti. Ebbene, le fonti sono state e continuano a essere un bollettino di guerra quotidiano. Ci siamo trovati, quotidianamente, e un po' schizofrenicamente, a dare cifre cifre belliche accompagnate da un blando tentativo di non tradurle in angoscia, accompagnandole con servizi che cogliessero i mille tentativi di trasmettere calma, speranza, #andratuttobene.

Ecco, chi ha vissuto quotidianamente questo contrasto, nonostante l'esperienza e l'equilibrio, un po' di stress derivante da crisi di coscienza professionale l'ha avuto.

Un altro esempio, le 'patologie pregresse', espediente letterario per abbassare l'ansia, che è stato interpretato come lasciapassare ai giovani, che senza ‘patologie pregresse’ potevano fare quello che volevano. Abbiamo correttamente citato, giorno dopo giorno, le fonti, tentando di umanizzare cifre e concetti, per mantenere in equilibrio un sistema sociale, ma sono state decine le segnalazioni di insofferenza verso quella che appariva, nonostante gli sforzi una 'necessaria aridità'.

Ecco, queste le sensazioni dal fronte. Prima i dati, tentando di fare capire cosa c'è dietro i numeri, la terribile prova per medici e infermieri, l'angoscia di famiglie che non hanno potuto abbracciare i propri cari morenti, nè accompagnarli nella fase decisiva della vita; dall'altra i tentativi di esorcizzare questo momento, i flashmob, i concerti, gli aperiweb e quant'altro. Non è facile essere "presidi di coscienza sociale e democratica", come ci suggerisce padre Francesco Occhetta (leggi qui), e restituirci prossimità al vivere politico e civile.

Lo sforzo, nell'emergenza, è quello di riuscire ad avere uno sguardo alto sulle cose e rispettoso dell'uomo, nella sua forza e nella sua fragilità.

Mentre il 90% della popolazione non sapeva come ammazzare il tempo, nelle redazioni e al 'fronte' si lavora senza avere il tempo di 'alzare' come un drone, lo sguardo che possa aiutare a leggere con lucidità il momento che stiamo vivendo. Lucidità, consapevolezza e responsabilità. Parole chiave. A queste per noi si aggiunge la preghiera. Tanta preghiera....

Ultima modifica: Mar 17 Mar 2020