Quei silenzi che oggi imparo a conoscere e abitare - #allafinestra

Nel silenzio di queste giornate c’è tanto rumore da captare. Dal balcone di casa la prospettiva è, allo stesso tempo, limitata e abbondante. Ci sono piccole cronache, quelle che nessun giornale pubblicherà mai, che si pregiano dell’unicità del tuo punto di vista. La stessa piccola scena – vista dal balcone del condomino che sta dall’altra parte del giardino – non godrà dello stesso racconto. La luce sul volto di uno dei più piccoli inquilini – che lo fotografa in una rarissima uscita di casa, giusto per prendere una brevissima boccata d’aria – non sarà la stessa da ogni angolazione del piccolo prato, svelando a ciascuno un lato diverso di quella personcina in virtù. Il volo sereno di un gabbiano, convertito alla città, racconterà spazi e virate diverse a seconda del punto dal quale si ha la fortuna di poterlo osservare.

Il silenzio del mattino, per esempio, è ben diverso dal silenzio della sera. Il primo ha una sua effervescenza che lo rende leggero, leggiadro e, tutto sommato, pieno di novità: il sole è sorto da poco, c’è chi ancora sonnecchia e la giornata è un po’ tutta da inventare. Il secondo, invece, è pesante: pregno di tutta la vita che lo ha attraversato nelle interminabili ore lente della giornata. Ma più pesante ancora per la solitudine di chi, chiuso in casa da solo o solo (e magari in pericolo) anche in mezzo ad una piccola comunità domestica, dovrà attendere l’arrivo di una nuova giornata uguale alla precedente. Con mille domande e angosce a congelargli il cuore.

Sono entrambi silenzi che sto imparando a conoscere e ad abitare. Ciascuno con le sue opportunità da vivere e con i suoi nuovi muri da scavalcare. Già... i muri. Quelle barriere che più di prima segnano il limite tra dentro e fuori, tra lavoro e non lavoro, tra sani e ammalati, tra contagiati e non... muri che si palesano all’improvviso. E poi i confini. Quelli sui quali ormai da diversi anni dalle mie parti eravamo abituati a passeggiare. A pochi chilometri da qui si sono nuovamente chiusi – con barriere fisiche innalzate in pochi minuti – e si sono ripresentati nel modo più violento: dicendoci che ci sono ancora. Basta un nemico invisibile a farli tornare. Sono lì: a parlarci di un “noi” e un “loro” che avevamo apparentemente abbandonato. Nel silenzio del confine si capta tutta la nostra frustrazione... per non poter andare, per non poter raccontare, per dover rinunciare.

Ma nel silenzio, in tutti i silenzi che ci sono dati da ascoltare, ho ritrovato gesti dimenticati ed improvvisamente preziosi, non più scontati: le persone che si parlano dai balconi e si chiedono “come state?”; la premura verso chi è solo; lo spirito di servizio di chi offre aiuto per una spesa; quella vicina che viene a chiederti “come si fa se non c’è la Messa?”... e così via.
Nel silenzio lavorativoche per un precario si fa ancora più intenso – ci si può anche spendere come fact checker (chi l’avrebbe mai detto!) in un gruppo Whatsapp della classe di uno dei figli. Per contribuire, senza manie di protagonismo, a promuovere un’informazione più sana, meno caotica, sempre verificata.
E, nel frattempo, gioire per un seme che germoglia, per un fiore che sboccia e ringraziare di essere ancora vivi e custoditi, pure in mezzo alla tempesta.

Ultima modifica: Gio 19 Mar 2020