I doveri del giornalista nel momento drammatico che viviamo - #ioinformo

E’ domenica (15 marzo, ndr). La prima della Quarantena, dell’Italia chiusa, del Paese incredulo ostaggio della nuova peste. Dalla finestra della camera da letto sbircio fuori. Il sole inonda il giardino. Il prunus è fiorito, il frassino e i melograni hanno buttato le gemme, sull’antico rosaio splende una cascata di clematis bianca. Il verde dell’erba è punteggiato dal blu della pervinca, dalle margherite e dalle violette.

C’è silenzio, molto di più di quanto, di solito, offre la strada trafficata a fianco. Il campanile è là in fondo, incastonato fra i due palazzi in primo piano. Il vecchio albero che ne aveva coperto la visuale l’anno scorso è stato abbattuto e così ora riesco a godermelo: splendido simbolo di storia, identità, fede, passato&futuro.

Da più di mille anni quel campanile affianca e difende la prima antica cattedrale di Ferrara. Ha visto passare soldati di morte, ha assistito a piene tragiche del Po e a epidemie disastrose, a sommosse sanguinose e a carestie tremende. Tra le sue navate si sono avvicendate generazioni di fedeli, piccoli e inermi uomini e donne animati dalla sola fede spesso semplice, quella che oggi forse scarseggia, abituati come siamo alla crescente presunzione di un’umanità onnisciente e onnipotente, orgogliosa (ma non nella misura giusta) del suo domare la natura, piegarla alle sue esigenze che spesso confondono i desideri dalle cose superflue.

L’informazione, penso, ci mette pure del suo, a proposito di onniscienza e onnipotenza, condita da abbondante superbia; oggi, poi, abbonda anche di superficialità: le fonti? Cosa sono le fonti, si domandano i presunti informatori, naviganti impazziti e ignoranti della rete.
Guardo dunque il vecchio campanile e mi tiro su di morale dopo i bollettini dei contagiati e dei morti di questi giorni, impietosi nei numeri, ma soprattutto per i drammi delle tante persone che non di rado nulla possono per contrastare il grande male oscuro.

Ce la faremo? Davvero ce la faremo? Ci sono segnali, ma soprattutto dati, che ci incoraggiano. Usciremo dal tunnel. Saremo migliori? Ah, qui la faccenda si complica ed è già in atto uno scontro di pensiero. Dopo una guerra si cerca di organizzare e costruire insieme, di appoggiarsi l’uno all’altro. Ci si fa coraggio. Si applica la solidarietà. Si progetta nel grande come nel piccolo delle cose. Si respira la fede, anzi la si applica; cristiani e laici insieme. Si fa comunità. Ma questa volta dovremo partire molto dal basso, ho l’impressione.

Sconteremo le tante perdite avute. Dovremo riscostruire i danni economici e finanziari. Ci vorranno anni. Avremo la possibilità – la coglieremo? – di elaborare regole migliori per una società più giusta di quella che fino a ieri ci stava portando verso la catastrofe (economica per molti, sociale, ambientale, morale)?

L’informazione avrà davanti a sé praterie da cavalcare, potendo narrare il bene che c’è lì davanti e anche oltre le colline. Certo, come sempre subirà le imboscate dei soliti negazionisti, dei mentitori, di coloro che dividono, di quelli “che non va mai bene niente”, degli altri (o sono sempre loro?) che “vengo prima io”. Ma potrà inaugurare una vita nuova nella quale sarà un pilastro nella ri-costruzione del mondo, migliore.

La verità, in fondo, è semplice: le stagioni dell’uomo si avvicendano e le prove, per lui, cambiano, si adeguano e si adattano ai tempi. La fiducia in sé stessi, nella ricerca, nella scienza, nell’impegno, nel sacrificio, nella creatività sono indispensabili. Ma queste qualità, da sole, non bastano.

Ultima modifica: Ven 20 Mar 2020