Il coraggio di Sara e la responsabilità del racconto della nostra pasqua

#storiedipasqua 1 - Sara è una ragazza di Codogno. Il papà, colpito da un ictus, è semiparalizzato. La mamma è malata di tumore. La vita ha portato Sara a Fano, dove ha trovato impiego in un’azienda importante. Non ha neanche terminato il trasloco, la casa è piena di scatolini ancora da liberare. La pandemia l’ha bloccata, impedendole di fare quello che prima le era concesso: la pendolare Fano-Codogno per assistere i genitori, assicurare loro il conforto che solo una figlia può offrire.

Prima che il Covid19 facesse irruzione con tutta la sua prepotenza in quasi ogni angolo del mondo, quando ancora la zona rossa divideva Codogno e le zone vicine da tutto il resto del mondo, la storia di Sara era diventata paradigmatica. Non per la storia in sè, perché purtroppo abbiamo toccato con mano quante storie terribili abbiamo dovuto inserire nei giornali e radiotelegiornali, ma per la sua fortissima determinazione nel rompere quella cortina di silenzio e minimizzazione che per troppo tempo ha regnato sulla questione.

Sara mi ha raccontato immagini cui si stentava a credere. Che già in quei giorni la gente veniva lasciata morire in casa, perché in ospedale non c’era posto; che ai pazienti ricoverati veniva tolto il cellulare, probabilmente per impedire la diffusione del virus in corsia. Di fatto i parenti non avevano la possibilità di alcun conforto familiare, che nella solitudine del trauma è una delle cose peggiori che possa succedere. Oggi capiamo il perché e verifichiamo come siano gli stessi sanitari a tirare fuori dalle soffitte i vecchi cellulari per metterli a disposizione dei pazienti.

Allora – parlo di appena venti giorni fa – non abbiamo capito. Forse non avevamo tutti gli strumenti per capire. Non siamo stati solo noi a capire in ritardo. Basta vedere illustri statisti che ieri facevano i gradassi e oggi piangono migliaia di morti di cui probabilmente hanno qualche responsabilità. Oggi la realtà appare in tutta la sua evidenza.

E siamo a Pasqua. Nessuno poteva immaginare che avremmo vissuto una Pasqua come questa. L’immagine di papa Francesco nella piazza deserta è già nei libri di storia. E’ un’opportunità straordinaria quella di vivere la Pasqua in un momento storico che è davvero di passaggio cosmico.

Oggi abbiamo, come giornalisti, la responsabilità di raccontare questo ‘passaggio’: è anche un privilegio, oltre che una responsabilità. In questo momento siamo sopraffatti dai dati, dai numeri, di morti, contagi, dimissioni, ricoveri.

Abbiamo parlato di sguardo alto, di recuperare la capacità di leggere quanto sta avvenendo con un occhio globale. Assistiamo a fenomeni nuovi, panorami nitidi, senza smog, come non si erano mai visti; un risveglio della natura decisamente insolito. Accanto, i camion che portano via le salme dei nostri cari.

Ci sono evidenti segnali di esasperazione, o sobillazione sociale da parte di interessi illeciti che in questa situazione non trovano ossigeno. Esistono generazioni che hanno sfruttato questo momento per leggere meglio dentro se stessi e uscire con una rinnovata progettualità, personale e sociale.

Questa è una crisi enorme, ma come tutte le crisi offre opportunità impressionanti. Io leggo questa Pasqua come possibilità e stimolo per dare respiro e spessore ai nostri racconti.

Raccontare una Resurrezione speciale, dove a ogni uomo e a ogni donna è richiesta una nuova opzione fondamentale: testimoniare il radicale cambiamento, quella conversione di cuore che poi comanda comportamenti molto concreti. Il sorriso – questo sì contagioso – di Sara mi ha fatto pensare che anche nel buio totale c’è una speranza che non muore mai.

Ultima modifica: Mar 14 Apr 2020