Anche la morte quest'anno è diversa

La mia Pasqua è iniziata il sabato che precede le Palme. La mia Pasqua da giornalista ora, mentre racconto.

La telefonata della collaboratrice domestica giunge di prima mattina: Giorgina sta male, molto male. La sera prima l’avevo vista per videochat e le sue condizioni erano già gravi. Chiuso in casa da un mese ero stato sconsigliato a uscire e soprattutto a raggiungere ambienti con persone. Inutile dire il dolore e il fastidio che ho provato per non poter fare ciò che sentivo per lei, 92 anni, vedova di mio padre, entrambi alle seconde nozze. Era una matrigna che aveva allevato mio fratello (di appena 12 anni) mentre io, più grande, vivevo una diversa autonomia.

E’ morta così, con due brave collaboratrici accanto, albanesi, premurose, mai fuori dalle righe. Da tempo la accudivano nel suo piccolo appartamento in cima al palazzetto che guarda le antiche mura della città e il suo straordinario polmone verde. Dal balcone la vita le scorreva davanti, frenetica: qui le mille auto sulla circonvallazione, là i tantissimi a piedi, di corsa, di buon passo o con i bastoncini di nordic a conquistarsi una fetta di salute in più.

Già, la salute. Il 118 era giunto fuori tempo massimo, solo per constatarne il decesso, non per il covid ma per le molteplici patologie e naturalmente per l’età avanzata. Poi le onoranze funebri e ciò che ne consegue.

L’impossibilità di organizzare un funerale ma soprattutto, per chi crede, di celebrare una messa pubblica rappresenta forse il dolore più grande per i parenti di un defunto. Ma, come si dice, bisogna fare di necessità virtù: telefonai, così, a don Luca, il mio parroco, che la ricordò nella messa della stessa sera. Altrettanto fece la nostra consuocera a mille più chilometri di distanza, anche lei con una messa celebrata (ovviamente) in streaming.

Qualche giorno più tardi, facendomi forza e vincendo la paura decisi che non potevo mancare alla sepoltura tanto più che mio fratello era bloccato a Modena, dove abita, dalle disposizioni di legge. Da sola no, insomma. Con tutti gli accorgimenti del caso raggiunsi il piazzale della camera mortuaria da cui iniziò il trasporto: davanti l’auto con la bara, in una città apparentemente spopolata, il sole estivo, la doppia mascherina che mia moglie ed io indossavamo nell’auto, l’unica, la nostra, al seguito. Il passaggio, una casualità (o forse no?) davanti a casa sua, il silenzioso incedere a fianco delle mura, il ricordo di “Epitaffio”, la splendida lirica di Giorgio Bassani che, pur descrivendosi bambino, immaginava la sua dipartita in questa sua e nostra Ferrara incredibile, bella e struggente, desolata.

Poi l’arrivo in Certosa con il suo incantevole rosso del cotto emblema del territorio e di una lunga gloriosa epoca. La bara – l’avevo scelta con una figura intagliata di Maria – è accolta dal cappellano, che avevo avvertito. Con mio stupore, e commuovendomi, alla fine mi ringrazierà: “Sa, non sono molti quelli che si ricordano di me”. Lo riconosciamo sotto la mascherina, era parroco nella chiesa dei miei suoceri nel paesino alle porte della città. E’ anziano ma incede con autorità davanti al piccolo corteo con gli operai che dovranno collocare Giorgina nell’edicola di famiglia.

Preghiere, benedizione con aspersorio, poche parole. Il rito cristiano è compiuto. Attendiamo il termine dei lavori. Mi consegnano la chiave, salutano. Rimaniamo un attimo a pensare e a pregare. Mente e cuore volano verso l’infinito. E’ un luogo del mistero, la Certosa di Ferrara, fra spiritualità e arte. Induce a riflessioni e a ricordi personali, storici, artistici. Guardo le foto di mia madre morta troppo giovane, di mio padre e penso alle sue fatiche di vetraio; ricordo mio nonno marchigiano e la miniera che ha conosciuto in America, la nonna e la sua numerosa famiglia. Poco più in là riposa il mio vecchio professore di lettere delle medie, napoletano ma cultore di storia ferrarese.

Ci incamminiamo verso l’uscita con il sole a picco. Anche la morte, quest’anno di coronavirus, è diversa. Sempre più forte è la richiesta di Dio.

 

La foto è tratta dal sito della Certosa di Ferrara

Ultima modifica: Lun 20 Apr 2020