Dare significato, suscitare stupore, non smarrire la voce. Tre direzioni per il giornalismo di oggi - #Ripensiamoci / 3

Alla base di Monte Sole e dunque della catena di eccidi nazifascisti che prende il nome da Marzabotto ho trovato un insospettato simbolo di bellezza: qualche giorno fa, in occasione di una visita fatta apposta per portarci la nipotina dodicenne. Un altro simbolo di una bellezza all'apparenza fuori luogo l'ho trovato su, in alto, accanto al cimitero di Casaglia: là dove la cattiveria trovò un apice (ancora visibile sul resto del muro originale: le mitragliate ad altezza di bambino) e dove giace, sepolto ma ancora fonte di vigilanza, don Giuseppe Dossetti.

A pochi metri dal cimitero abitano due comunità di monaci e monache fondate proprio da Dossetti, costituente che tradusse in articoli le speranze della Resistenza, politico che abbandonò il potere, monaco che abbandonò il silenzio per metterci in guardia contro i pericoli della "notte".

Entriamo nel monastero dei fratelli. C'è un monaco impegnato in una icona. Ama questo lavoro. E non tarda a spiegarci qualcuno dei tanti segreti di una arte antica dal fascino sempre attuale. Ogni colore ha un significato. Ogni posizione dei corpi (lui sta dipingendo una lavanda dei piedi) ne ha un altro. Dietro a ogni tratto, che ad un profano sembrerebbe nulla, c'è un senso. Staresti ore ad ascoltarlo, quel piccolo monaco dai tanti pennelli.

Ma suona la campana. Per loro è avvertimento di sosta: sosta di preghiera. Per noi, in modo assai più prosaico, il suono ricorda l'ora del pranzo. Con gli occhi pieni di rovine e la mente occupata dalle storie di quel popolo ucciso, scendiamo in basso: nel borgo, con la chiesa di quel parroco ucciso e decapitato poco sopra, non manca una trattoria. Semplice. Si mangia bene. All'aperto.

Fra i tavoli un personaggio che non ti aspetteresti. Alla base di un luogo che grida l'importanza di non dimenticare quanto l'uomo possa essere brutale, si aggira - splendido e consapevole di esserlo - un emblema di bellezza e armonia: un pavone.

Monte Sole non riesci a immaginarlo a colori. Non potevano esserci colori quando uomini in divisa, accecati dal fanatismo, insensibili alle preghiere di poveri parroci, trucidavano esseri innocenti: anziani, bambini, donne. Eppure i colori di quella icona e la bellezza di quelle piume, provocano una sorta di strana reazione: un invito a rimettersi in piedi, la speranza che sia possibile reagire, la certezza che l'oscenità non vincerà la bellezza. Quella della natura, quella di un'opera d'arte, quella di ogni creatura.

Un po' come la ninna nanna finale sussurrata dalla piccola, nel film "L'uomo che verrà" di Giorgio Diritti (impossibile non aver voglia di vederlo, dopo una visita a Monte Sole). Martina, che ha 8 anni e ha perso la voce dopo la morte del fratello più piccolo, tornerà a parlare soltanto alla fine. Solo dopo aver assistito alla tragedia, dopo aver visto tanta brutalità. Ritroverà la voce per rassicurare, prendendosene cura in assenza dei genitori uccisi, un altro fratellino appena nato.

Pensieri che si accavallano, in questa strana estate che vede molti girare con la mascherina mentre altri sfidano una pandemia che tutti speriamo si arrenda, rendendosi conto di averci già cosi tanto offesi.

L'icona che il monaco sta realizzando accanto al cimitero di Casaglia; il pavone che sullo sfondo della chiesa di don Giovanni Fornasini tenta una ruota con penne che meravigliano; la bambina che ritrova la voce dopo la tragedia e si prende cura del più fragile.

Sarà che invecchio male, sarà che tendo a trovare significati anche dove significati non ci sono, ma questi mi sembrano tre simboli utili anche per un giornalismo di qualità che possa aiutare la ripresa dopo questo virus: dare significato, nel racconto di ciò che accade, anche ai dettagli in apparenza minori; suscitare stupore con i nostri talenti ma farlo senza pavoneggiarsi; abituarsi a non smarrire la voce. E utilizzarla a volte come sussurro, a volte come grido.

Ultima modifica: Lun 17 Ago 2020