#Ripensiamoci, anche nel rapporto tra le generazioni. Il giornalismo ne uscirà migliore / 6

Ripensiamoci. Ripensiamo la scuola e l’università, la politica, l’economia, l’informazione. Ripensiamo la nostra relazione con la natura e con l’ambiente. Ripensiamo le dimensioni nazionale e sovranazionale... Ripensiamo il rapporto tra religioni e fedi, come tra uomini e donne di diverse religioni e fedi... Ri-pensiamo le nostre organizzazioni associative, sindacali, professionali...

È la vita in tutte le sue dimensioni che va in qualche modo ripensata. Questo mi suggerisce l’esperienza della pandemia. Probabilmente non esiste la possibilità di un progetto a tavolino, prima pensato e poi realizzato, ma c’è un possibile cammino da fare dove ciascuno, secondo il suo ruolo e le sue possibilità, ha un possibile contributo da offrire, facendo mentre si pensa e pensando mentre si fa, a partire dalla vita quotidiana.

È prematuro dire come sarà il lavoro giornalistico del futuro, ma che molto dipenda dall’oggi è nei fatti. Con lo smart working, imposto nel lockdown, c’è stata un’accelerazione nel trasferire parte della vita e delle relazioni – anche professionali – dall’ambiente reale a quello virtuale. Che già abitavamo, ma che ora risulta potenziato, e che ci è stato prezioso per non isolarci al tempo del distanziamento sociale. L’impressione è che il confine tra reale e virtuale sia, se non scomparso, di molto assottigliato. Il digitale è realtà, anche se su diversi aspetti vale la pena riflettere, a partire dagli effetti della separazione fisica dai contesti di lavoro. Al di là del prodotto, la presenza fisica in una redazione vuol dire anche incontrare persone, confrontarsi con i colleghi su una notizia o sul taglio da dare a un pezzo, per chi fa televisione ragionare più agevolmente con il montatore sulle immagini da utilizzare... Puoi parlare al telefono o anche renderti presente in collegamento web, ma confesso che una delle cose che ho sofferto è stata non guardare le persone negli occhi. Le cose mai viste che abbiamo vissuto ci chiederanno una revisione profonda sul nostro modo di essere, di vivere, di relazionarci, di lavorare, e anche di pensare la professione di giornalisti–comunicatori, guardando al futuro e alla gerarchia dei valori in una società in cui la libertà d’informazione è stata, e vorremmo continuasse ad essere, un pilastro di democrazia.

La crisi potrebbe portare a rivedere non solo molte abitudini di vita e di lavoro (avendo dimostrato ad esempio che non sempre è necessario uscire e viaggiare, ma molte cose si possono fare da casa) ma anche a ri-definire cosa è importante e cosa non lo è, e come chiedono di essere declinate le cose per noi importanti. Nel bene come nel male l’informazione ha avuto un ruolo chiave nella gestione della crisi, e continuerà ad averlo, anche se fa riflettere il dato sul controllo della diffusione dei contagi, che proprio in modelli di società meno liberi sembra sia stato più facile.

Un valore sociale importante l’hanno garantito i giornalisti sul campo: quelli che sono entrati negli ospedali e nelle case di cura per anziani, che hanno garantito cronache e collegamenti dalle zone rosse, che hanno continuato a fare domande, a denunciare, a segnalare buone pratiche, a dare voce ai territori, a ricordare che dietro ai numeri ci sono volti e storie che non appartengono solo al privato familiare ma all’intera collettività, e non meritano l’oblio. Non ne siamo ancora usciti, e lo sappiamo, come sappiamo che nessuno - nessun Paese - si salva da solo, poiché il virus non conosce confini, né razze, né popoli, né lingue. Cerca l’uomo, che dovendo combattere contro un comune nemico invisibile potrebbe finalmente riscoprirsi parte di un’unica famiglia umana e dare origine a un’alleanza globale e planetaria, che non lasci indietro nessuno e avvii nuovi processi di umanizzazione.

È un sogno, lo so, ma non siamo solo esseri pensanti, siamo anche esseri sognanti. Il cuore del mio personale ri-pensare la professione risiede in un desiderio: quello di favorire per i più giovani spazi reali di presenza, di espressione, di lavoro (utopia? Ma non si va da nessuna parte senza lavoro!).

Un compito importante di ogni generazione di mezzo, come quella cui appartengo, è il dovere di fare da cerniera, consegnando i valori ereditati a chi viene dopo, a partire dalla democrazia e dalle libertà faticosamente conquistate ma mai scontate. Valori che non vanno consegnati come pacchi, ma trasmessi nel loro spirito per poter essere incarnati in forma nuova da chi li accoglie. Oggi però questo compito è particolarmente arduo, anche perché quello dei nonni sembra un altro mondo rispetto a quello dei nipoti, che hanno diritto a spazi che si fa fatica a intravedere. Questo avverto da tanti punti di vista, compresa l’evoluzione del giornalismo. Un “nodo”, dunque, per la professione del futuro, mi sembra risieda nella possibilità di adeguata formazione, di lavoro, di tutele, di giusto contratto, che si potranno garantire a chi ci segue solo se l’intera categoria accetterà, in qualche modo, di ri-pensarsi.

Ultima modifica: Ven 21 Ago 2020