Il mestiere delle parole - #ilmiopresepe/6

Il Verbo si fece carne. E venne ad abitare in mezzo a noi. Quest’anno non ho fatto il presepe. Come peraltro mi capita spesso, da qualche tempo. Se lo avessi fatto avrei probabilmente inserito qua e là, degli intrusi. Come quando ero bambino. Magari il modellino di un'ambulanza, un soldatino o la statuetta di un medico in camice. A ricordare, se ce ne fosse bisogno, che questo è stato un Natale molto particolare. Il Natale di un anno che ci ricorderemo per la sofferenza, la mancanza di libertà, la solitudine e la crisi economica deflagrante. Ma anche per la solidarietà, le relazioni a distanza e le opportunità di crescita individuale.

In questo periodo di riflessione che sono state le feste natalizie in zona rossa non riesco a levarmi dalla testa l’omelia dell’Arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi per il Te Deum dei giornalisti che si è tenuto pochi giorni fa, alla conclusione di questo terribile 2020 (leggi qui). Rimbombano i due versi di Giovanni. Questa Parola che, nonostante tutto e tutti, si è fatta carne. Il Verbo arrivato tra noi sotto forma di umile e fragile neonato, capace, diventato uomo, di vincere le sofferenze più atroci, persino la morte. Quella nascita in una grotta e quella morte in croce scuotono da millenni le coscienze, anche quelle più gelide e indifferenti. Spingono inevitabilmente a una profonda riflessione su tutti i campi della nostra esistenza.

Così quella parola diventata carne può essere anche lo spunto per riflettere su una professione, quella del giornalista, che in un periodo assurdo come quello che stiamo vivendo, è obbligata a trovare nuovi stimoli e nuove motivazioni per mantenere un minimo di autorevolezza. Raccontare senza faziosità un tempo complesso non è semplice. Forse è più facile lasciarsi trascinare nel vortice delle polemiche e delle contrapposizioni ideologiche. Dei luoghi comuni. Delle inutili schermaglie da social network. Più difficile è cercare di capire, approfondire. Sentire questo tempo e le sue contraddizioni dentro la propria carne. E solo a quel punto scrivere. Parlare. Cercare le parole giuste. Parole di coesione e non di contrapposizione. Unire cuore e ragione senza lasciarsi prendere dall’emotività. Ed essere umili. Come quel bambino, nato in una mangiatoia e morto su una croce. Il Verbo che si è fatto carne.

 

zorco presepe 2

Ultima modifica: Mar 5 Gen 2021