Il coraggio di fare ciò che è davvero giusto

#unastoriache (4) - Si chiamava Antonio Giuriolo. Era un comandante partigiano. In un gruppo di Giustizia e Libertà. Nome di battaglia "capitano Toni". Era stato ufficiale degli alpini. Abituato dunque a "comandare" ma, anche da allievo di Aldo Capitini, il suo metodo (oggi si direbbe da "democrazia partecipata") puntava sull'arte del convincimento.

Uomo di cultura, con un rigore morale che ne consentì una definizione ("apostolo della libertà") retorica solo in apparenza, era originario di Vicenza. Ai suoi allievi veneti aveva insegnato etica, politica, filosofia. Insegnato a ragionare. Insegnato ad assumersi le proprie responsabilità. E lo aveva fatto sotto un regime, quello fascista, che certe libertà non le ammetteva.

Trovò la morte, ad appena 32 anni, lungo la linea Gotica. Nel dicembre 1944. Sul fronte che passava dai monti fra Modena e Bologna. Poco sopra un luogo di una grande strage, Monte Sole di Marzabotto. Nel mezzo a luoghi di stragi cosiddette "minori". Pure lui, oggi è dimenticato. Il suo corpo, lasciato lì e sepolto dalla neve, fu ritrovato solo nel marzo 1945. I tedeschi vi avevano collegato alcune mine. Per fare ancora più male. Su di lui Luigi Meneghello nel 1964 scrisse un romanzo ("I piccoli maestri") che nel 1997 Daniele Lucchetti tradusse in un film. Su lui ha scritto Norberto Bobbio.

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Mi sono imbattuto nella sua storia (compresa una lapide che ricorda la visita del presidente Ciampi al cippo sul luogo della morte) grazie a un bel libro di un collega giornalista ("Camminare l'antifascismo. La memoria come ribellione all'ordine delle cose". Edizioni Gruppo Abele) che racconta una annuale camminata della memoria lungo crinali e vallate montane fra Monte Sole (Bo) e Sant'Anna di Stazzema (Lu).

L'ho letto d'un fiato, questo libro. E in questo agosto 2022, quando tutti ci stiamo preparando a elezioni politiche molto complesse, colpito e commosso da questa storia, sono voluto salire lì. In un microscopico borgo - Corona - che Google Map non mostra da quanto è piccolo. Fra Gaggio Montano e Lizzano Belvedere.

Bisogna essere bravi a trovare i due cippi. Nascosti. Da uno sgorga una fontana e dietro c'è ancora la rovina di una casa. Chissà: forse un ultimo resto delle bombe di allora. Nulla da fuori indica la memoria di questo "apostolo". E pochi sanno un aspetto che a me ha colpito più di tutto.

"Toni" era a Firenze nel settembre 1944, data di liberazione di questa città. "Toni" poteva restarsene lì. Tranquillo. Per lui, allora conosciuto e stimato, partigiano e intellettuale, poteva aprirsi, in città e scendendo a Roma, chissà quale "carriera".

Ma "Toni" no. Volle tornare sul fronte. Dove si combatteva. E dove trovò la morte, mentre tentava di recuperare un compagno ferito.

Con una certa mentalità odierna, non più abituata a rigore e ideali, davanti a uno che sceglie di lasciare il comodo per cercare lo scomodo, temo si sia portati a due reazioni. La prima ("chi gliel'ha fatto fare"). La seconda, ancora più esplicita ("è stato proprio un fesso").

Davanti ai due cippi - e spero di non aver dato un ... dispiacere all'azionista Antonio Giuriolo - mi sono trovato a pregare. Ma anche a riflettere. Pensando a ciò che dopo avrei detto alla mia nipotina adolescente. A riflettere sul valore di quella scelta: fare ciò che è difficile, e pericoloso, solo perchè lo senti come giusto.

Lui che all'indomani dell'8 settembre 1943, commentando quella che pareva la fine del fascismo, ammoniva che tutto ciò - il fascismo - null'altro era stato che "il risultato del nostro indifferentismo politico, della nostra immaturità civile, del nostro secolare servilismo".

Ecco, dal "Capitano Toni" ucciso dai nazisti poco sotto la strada che porta in borgo che oggi non c'è, una lezione valida - per ciascuno di noi - anche in questa strana estate 2022.

Indifferenza, immaturità, servilismo. Accidenti se attuale ...

Ultima modifica: Gio 11 Ago 2022