#AltraEstate/9 - Il diario del viaggio in Terra Santa, insieme ad altri giornalisti.

La mia prima parte di estate é cominciata proprio a inizio stagione con un viaggio in Terra Santa con un gruppo di cui hanno fatto parte anche alcuni colleghi dell'Ucsi. Un viaggio promosso dalla stessa associazione insieme all’Ordine dei giornalisti. Ne é scaturito questo diario-riflessione.

Le trattative sulla pace? Non sembrano più in agenda, e comunque non sono in alcun tavolo, attualmente. Parliamo della pace in Medio Oriente. Una conclusione condita da una certa amarezza a cui si arriva dopo una serie di incontri, in questo viaggio-Ucsi, con giornalisti palestinesi, con autorità locali, con la comunità ebraica di Gerusalemme e per finire con monsignor Pier Battista Pizzaballa, già custode di Terrasanta.

Palestinesi rassegnati, israeliani impegnati a ‘fare il pieno’ (di territori, di risorse, come quella idrica, sulla quale si giocherà il futuro degli equilibri anche in questa area del globo). Il primo incontro è con Antonio Salman, da un anno sindaco di Betlemme: “difficile uscirne, afferma, quando chi si era impegnato a fare mediazioni si affianca chiaramente a una delle parti, che non è la nostra, avallando la progressiva occupazione dei territori”.

Incontriamo anche il giornalista israeliano Nir Hasson, che ovviamente punta il dito sul terrorismo: “Nessuno può accettare questo linguaggio, che semina morti e feriti”. Gli ribatte prontamente, a distanza, Jack khoury del giornale arabo Haaretz Newspaperj: “chiediamo almeno le garanzie riservate alle minoranze, perché è chiaro che il processo di pace è congelato non si sa fino a quando”.

Non mancano tuttavia i segnali positivi, come il ‘nuovo ecumenismo’ che si gioca sul restauro della basilica della natività a Betlemme, finanziata da tutte le confessioni e gestito da una ditta italiana, che da cinque anni lavora 24h. Erano duecento anni che nessuno metteva le mani sulla struttura, e sta emergendo un patrimonio inestimabile, soprattutto dai ricchi mosaici, dalle colonne annerite dal tempo, dai pavimenti stratificati.

Oppure la ‘lezione di Gerico’, dove un giovane Frate libanese, padre Mario, ha rivoltato come un guanto un paese destinato all’estinzione, con la forza del dialogo fra cattolici e musulmani. Gerico è un piccolo centro circondato dal deserto di Giuda, luogo di conversione di Zaccheo: da alcuni mesi è un attivo laboratorio di ecumenismo. Lo è da quando è arrivato questo giovane francescano libanese, padre Mario Hadchity, che – dicono i suoi parrocchiani – ha ridisegnato il paese, seguendo la linea del dialogo. Chiusura e aridità hanno lasciato il posto a vitalità e voglia di fare. Gerico solitamente sfugge ai tradizionali itinerari dei pellegrinaggi (Betlemme-Nazareth-Gerusalemme): "un peccato, osserva padre Mario, perché si imparerebbero tante cose. Si toccherebbe con mano ad esempio, la concretezza del dialogo fra cattolici e musulmani. Non c'era, lo abbiamo creato. Ho cominciato mettendomi in ascolto: mi sono messo in ‘quinta fila’ poi piano piano avanzavo. Ho deciso di fare una cosa mai fatta prima: ho salutato per primo l’Iman. Il gesto ha destato sorpresa, ma è stato capito, al punto che lo stesso Iman, rompendo ogni protocollo, ha voluto ricambiare, venendo a salutarmi in parrocchia. Un giorno dovevamo spostarci insieme, gli ho proposto di salire sulla mia auto, ha accettato. Gli ho proposto un itinerario defilato, lui ha risposto: 'No, andiamo per la piazza, tutti devono vedere...' Oggi l'Iman viene due o tre volte al mese in parrocchia, abbiamo creato occasioni di incontro e crescita per i giovani, che son tornati a popolare Gerico anche da paesi vicini. Abbiamo creato una grande scuola, cristiana, per tutti. E in ogni aula c’è il crocifisso che viene non solo tollerato, soprattutto rispettato. Abbiamo fatto un grande lavoro e oggi la morente Gerico è una città viva”.

Un’altra esperienza significativa, la visita in anteprima della nuova sezione del ‘Terrae sanctae Museum’, dedicato alla Gerusalemme del tempo di Gesù, con una guida d’eccezione, il conosciutissimo studioso Eugenio Alliata. Siamo riusciti a vedere a pochi giorni dall’apertura i nuovi ambienti ancora sotto ‘embargo’, toccando con mano una nuova ricchezza a disposizione, da fine giugno, dei pellegrini e visitatori.

E ancora, grazie a padre Sergio, l’emozione del Cenacolo completamente a nostra disposizione, pur con alzataccia all’alba, prevenendo il grande flusso di turisti asiatici o sudamericani che costituiscono la percentuale ormai maggioritaria del turismo in parte religioso in Terra Santa.
‘E’ uno scenario, conferma monsignor Pier Battista Pizzaballa, in continua evoluzione: l’immagine dei pellegrinaggi come li abbiamo conosciuti non esiste più. C’è un nuovo turismo internazionale, in cui la dimensione spirituale va un po' ricostruita”.

Gerusalemme è cambiata, in questi anni. I quartieri nuovi che ruotano alla centralissima via Jaffa sono tipici delle grandi capitali europee. Sembra quasi stonare la chiesa cappuccina che domina la parte centrale dell’altra moderna strada, Mamilla. Si sussurra che le autorità israeliane abbiamo offerto qualcosa come un milione di dollari per fare sparire l’edificio e la statua della Madonna che ne domina la facciata, ma il patriarcato e i frati non hanno neanche ascoltato. Sono rimasti l’1% della popolazione complessiva: pochi, dicono quaggiù, ma non in vendita.

Non è neanche il momento dei grandi gesti: la chiesa non ha il compito di riattivare il dialogo, ma di fornire aiuto ai poveri, alle comunità in difficoltà. Nel deserto di Giuda spicca la testimonianza delle suore che aiutano i villaggi beduini. Anche quelli li vorrebbero far sparire, e allora le suore si sono inventate la tecnica di camper e roulotte: dotare le baracche di ruote, con le quali i evidenti possono evitare di pagare le tasse richieste, che significherebbero annientare le piccole comunità. Il tema della pace è diventato un ginepraio in cui nessuno più vuole entrare. Parte di responsabilità – viene da capire – deriva anche dalla debolezza della autorità palestinese, che non ha più la statura necessaria per sostenere il confronto come in passato. Chi poteva averne le caratteristiche è stato ridimensionato.

Il muro intanto cresce, separa popoli, famiglie, amicizie. Alimenta paure, odio, totale incertezza sul futuro. Il Muro è diventato simbolo di due narrazioni distinte e autonome della stessa realtà, come se un’altra lettura non fosse possibile. Le prospettive delle parti appaiono diametralmente opposte, senza punti d’incontro ma soprattutto senza il desiderio di trovarli. Nei decenni passati il tema della pace, di un accordo di convivenza, faceva comunque parte della campagna elettorale.
Nelle ultime neanche se ne parla, e così il silenzio è la rassegnazione appaiono quasi peggio del conflitto.

In questo quadro emblematica la testimonianza dei giornalisti palestinesi che dicono: per sopravvivere ci autocensuriamo. Sappiamo che molte cose non possiamo dirle e evitiamo di dirle. Non è né bello né gratificante, ma è l’unico modo per non sparire, per non chiudere.
In Palestina nessuno parla senza il consenso regime, in Israele i media sono tutti allineati.
Non c’è niente che esca da un copione sostanzialmente già scritto. Ma non è proprio tutto fermo, nel silenzio cresce l’accerchiamento, crescono le misure coercitive: così è ad un passo dall’approvazione un’altra norma capestro, la legge che prevedere la carcerazione per chi viene sorpreso a filmare attività militari. Sembrerebbe una banalità, ma non lo è più in una terra dove tutto ha il sapore dell’attività militare.

Segnalo la riflessione finale di monsignor Pizzaballa: “questa chiesa – ha affermato, ha tre dimensioni, la comunità locale, la comunità universale, composta da migliaia di religiosi, e la comunità composta dai pellegrini. Sono le tre colonne su cui si regge oggi la chiesa".

La comunità locale si incontra con i pellegrini. I pellegrinaggi, conferma Pizzaballa, sono cambiati molto. Fino a qualche tempo fa erano prevalentemente occidentali, oggi lo sono solo per il 50%, gli altri sono orientali e latinoamericani. Dopo gli Stati Uniti il secondo paese è l’Indonesia, musulmano, poi arrivano Cina e India.
Cambiano i popoli, cambiamo caratteri e stili. Anche le richieste sono diverse. Gli occidentali sono più ‘freddi’, gli asiatici esprimono un bisogno più devozionale, tradizionale. In due anni comunque c’è stato un aumento vertiginoso dei numeri, ed è un buon segno. Israele ha agevolato gli ingressi e liberalizzato cieli e rotte. Da Asia e America Latina i voli sono oggi molto più semplici. Esistono voli low cost anche a 100 euro... Le agenzie poi vendono pacchetti completi, dall’Asia verso Roma via Tel Aviv.

Al pellegrino che arriva per la prima volta rimane lo sconcerto iniziale al Santo Sepolcro, dove il crocevia multietnico espone a volte a scene non propriamente edificanti: “al momento, afferma Pizzaballa, dobbiamo convivere con l’idea che il Santo Sepolcro sia una specie di condominio in cui convivono abitanti, storie e modelli culturali diversi. Non è Gesù a dividere, ma la storia, la cultura, anche la lotta per il potere. Nella vita di ogni giorno queste contrapposizioni esistono laddove, come con il muro, sono state fatte scoppiare: matrimoni divisi, amicizie inquinate. Nella sostanza, tuttavia, non ci sono famiglie interamente cattoliche o ortodosse e le famiglie vanno a messa senza problemi dall’una e altra parte. In questa terra la Pasqua vera è quella ortodossa, con il fuoco santo e tutti frequentano questa celebrazione, come Natale vero è quello cattolico e le confessioni sono prevalentemente in rito latino”.

Potrà avere un futuro questa terra? La sensazione comune, al rientro da questo viaggio, è che si sia una grande stanchezza nel parlare della questione mediorientale, abbinata a una grande frustrazione nel verificare che nulla si muove.

La grande assente è la politica che abbia una visione e costruisca prospettive
Dio è dove vengono compiuti i piccoli gesti, i piccoli passi. Certo Il ‘modello Oslo’ è tramontato, ma non è finita la vita vera.
Nello stesso Sepolcro è nato un segno di speranza, con il gesto di Francesco con il Patriarca ortodosso che hanno scelto di pregare insieme. Anche a Betlemme il progetto ecumenico è nato nonostante le commissioni delle varie confessioni, chiamate a esprimere un parere. Poi è arrivata la firma e il progetto funziona a meraviglia. C’è, in definitiva, un sogno nel cassetto? Se si parla di sogni, di quelli annunciati a mezza bocca, forse c’è: l’idea al momento fantastica di uno stato federale, che metta insieme Palestina, Israele e Giordania. Certamente non tutti e tre questi stati hanno in questo momento il medesimo interesse a lavorare in questa direzione, ma se la comunità internazionale riuscisse a tornare a farsi sentire, forse su questa strada ci si potrebbe ritrovare, tutti, per una nuova stagione di pace e progresso.

Foto: AgenSIR

Ultima modifica: Lun 27 Ago 2018