#AltraEstate/10 - Lo storytelling, il silenzio e la spontaneità dei bambini

Quando sei abituato a lavorare con le parole, durante le ferie estive senti l’esigenza, ove possibile, di staccare la spina e spegnere il pc. Tutt’al più hai voglia di scrivere qualche appunto sparso a penna su un taccuino o un foglio raccattato in casa.

Io solitamente esco presto in bicicletta la mattina quando la città è deserta. Generalmente, vivendo in una città di mare, finisco al porto e mi perdo a guardare le navi che attraccano sul molo di ponente. Mi piace osservare i turisti che scendono dal traghetto per trascorrere le vacanze in Sardegna. Famigliole con papà e mamme intenti ad accudire i bambini, coppiette di innamorati al primo viaggio insieme, single in cerca di avventure. Ognuno chiede alla vacanza quello di cui ha bisogno, ognuno cerca la sua libertà e ognuno fa i conti con il suo mondo interiore. Seduto sulla mia mountain bike, mentre incrocio persone di tutti i tipi, immagino allora il fluire delle loro vite, il flusso incessante dei loro pensieri, il dipanarsi dei loro sogni. Mondi diversi e incomprensibili all’osservatore esterno.

In una delle mie sessioni di zapping televisivo serale, qualche giorno fa, mi sono imbattuto in un interessante monologo di Alessandro Baricco sullo storytelling, termine con cui oggi viene definita l’arte di affabulare e raccontare le cose. Non necessariamente quelle vere, peraltro. Anche le balle.

Ebbene dopo una lunga digressione storica, lo scrittore è arrivato a una conclusione incontrovertibile: l’unico modo che abbiamo per capire davvero i comportamenti delle persone è quello di essere in possesso della mappa del loro mondo interiore. Senza quella mappa non siamo in grado di decifrare le azioni altrui, nemmeno quelle delle persone a noi più vicine, quelle che pensiamo di conoscere perfettamente. Ovviamente quella mappa non la abbiamo quasi mai e non possiamo pretendere di applicare agli altri la nostra mappa interiore, la nostra personale visione del mondo. Cosa che invece oggi facciamo sistematicamente, in un mondo dominato dai social network in cui ognuno cerca di imporre agli altri, spesso con violenza, il suo punto di vista.

È bello, allora, osservare semplicemente le persone, immaginare il loro mondo senza formulare alcun giudizio. In silenzio. Perché a volte d’estate le parole si ritraggono, si ribellano al chiacchiericcio da ombrellone. Diventano più pesanti e, come sappiamo noi giornalisti, si possono trasformare in macigni.

Eppure in questa estate silenziosa, una parola mi è rimasta impressa nell’anima. È stato il “thank you” di un bimbetto inglese di cinque anni. È successo un mesetto fa. Poco prima, mentre percorrevo la salita di viale fra Ignazio, la mamma mi aveva chiesto informazioni su dove si trovasse l’orto botanico di Cagliari. Siccome mi era sulla strada mi ero proposto di accompagnare per qualche decina di metri quella famigliola. Un gesto assolutamente minimo. Arrivati a destinazione, avevo indicato ai due giovani genitori l’ingresso dell’orto botanico e loro mi avevano fatto un cenno di ringraziamento con un sorriso. Mentre continuavo a salire mi ha colpito sentire da dietro il “thank you” di quel ragazzino. Un “grazie” squillante e sorridente, inaspettato. Arrivato da un bimbetto di cinque anni per un gesto assolutamente minimo che non mi aveva provocato alcun disturbo.

Quel “grazie”, non so per quale motivo, mi è rimasto impresso indelebilmente. Forse perché siamo ormai abituati solo a pretendere, a lamentarci per quello che non abbiamo, a giudicare gli altri e ad essere indulgenti con noi stessi. A piegare tutto e tutti al nostro interesse e al nostro egoismo. Siamo attenti ad imporre il nostro storytelling, la nostra personale visione del mondo, come se fosse l’unico valido. Ma siamo sempre meno attenti ai fragili mondi altrui e sempre meno propensi a pronunciare un “grazie” per le piccole cose semplici che riceviamo ogni giorno. E come al solito sono sempre i bambini, con la loro spontaneità e la loro innocenza, a ricordarci che possiamo anche essere migliori.

Nella foto uno scorcio della città di Cagliari, dove vive l'autore dell'articolo (dal sito ufficiale del Comune)

Ultima modifica: Gio 30 Ago 2018