'Sono soli e persi, non chiamateli bulli'. Le parole di Federico Bianchi di Castelbianco

A margine del convegno abbiamo intervistato lo psicologo e psicoterapeuta dell’età evolutiva Federico Bianchi di Castelbianco per comprendere i reali meccanismi che scatenano la violenza negli adolescenti.

Come si diventa bulli?
“Innanzitutto voglio dire che chiamarli bulli a mio avviso è un errore gigante. Il bullismo c’era vent’anni fa quando il ragazzo più grande rubava la merenda al compagno di scuola più piccolo o più debole. Quelli a cui assistiamo oggi sono comportamenti aggressivi, violenti che andrebbero puniti, coinvolgendo gli attori in attività socialmente utili ma molti genitori si oppongono perché non riconoscono il problema e sminuiscono le azioni violente dei figli. I giovani di oggi si sentono purtroppo persi, non hanno delle guide, dei punti di riferimento solidi. Parliamo per esempio tanto di cyberbullismo ma non ci chiediamo mai perché la maggior parte di questi atti avviene in rete. Il motivo è proprio la solitudine che porta i ragazzi a stare molto tempo su Internet, anche durante le ore di scuola senza che nessuno se ne accorga”.

Come possiamo riconoscere i ragazzi violenti?
“È molto semplice riconoscerli quando compiono gesti aggressivi, anche se prima non ci sono stati segnali rivelatori. Viviamo in una realtà dove purtroppo spesso alberga la paura. Attraverso delle ricerche che abbiamo condotto in ambito accademico, è emerso che il 16% dei nostri giovani si sente minacciato quando sta per strada ma ancora di più quando si trova a scuola, che da ben il 30% degli intervistati viene visto come un luogo non sicuro, a rischio. È un dato veramente preoccupante visto il tempo che i giovani passano a scuola”.

Quanto possono incidere i contesti familiari nell’innescare questi comportamenti aggressivi?
“Molte famiglie hanno problemi relazionali, di solitudine, di violenza. Prima si parlava di bullismo solo alle superiori, poi anche alle medie, alle elementari, alla materna e adesso perfino al nido. Per esigenze lavorative i genitori lasciano i figli da soli molto presto, addirittura quando hanno appena sei mesi. I piccoli così si sentono abbandonati e questo scatena in loro un forte senso di rabbia che si portano dietro con il passare degli anni. Diversi studi hanno invece evidenziato che l’età giusta per portarli al nido è un anno e mezzo, non prima”.

Gli ultimi casi di cronaca ci dicono che i comportamenti violenti avvengono spesso in gruppo. Come spiega l’effetto branco?
“In gruppo i ragazzi si sentono forti, vivi. Per loro è un riconoscimento sociale. Poi se il gruppo si dà all’alcol, alla droga, alla violenza, poco importa. Tutti seguono il branco perché ne fanno parte, perché solo così esistono e si sentono importanti”.

Lei mi ha confermato che la scuola è un luogo in cui si consumano molti episodi di bullismo. Come può questa agenzia educativa contribuire a prevenire e ad arginare il fenomeno?
"Sarebbe fondamentale aprire le scuole anche il pomeriggio affinché i ragazzi abbiano dove potersi ritrovare, un luogo protetto e dove possano svolgere attività costruttive in gruppo, come teatro, musica, disegno. Sarebbe poi utile far capire ai ragazzi il problema, informarli in modo corretto senza prediche. Oltre ad analizzare, raccontare e fotografare i singoli episodi, bisogna spiegare loro il perché accadano, cosa c’è dietro e soprattutto da dove partono questi fenomeni”.

Ultima modifica: Mar 30 Ott 2018

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