La città vista con gli occhi dei bambini

Raccontare la Città, + il tema dell'ultimo numero di Desk. Ma se la raccontassero i bambini? Per il nostro #deskdelladomenica ecco il bellissimo spunto che ci offre Benedetta Grendene, giovane giornalista marchigiana e apprezzata collaboratrice anche del nostro sito.

Benedetta Grendene

 Routine cittadina...non proprio “a misura di bambino”
«Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure» scrive Italo Calvino nel suo celebre romanzo, pubblicato nel 1972, dal titolo “Le città invisibili”.

Il macrocosmo della city si contrappone al microcosmo del piccolo paese e nessun bambino può sottrarsi dall’incontro-scontro con una città che non sempre lo accoglie a braccia aperte. Chiusi in automobile, intrappolati da cinture di sicurezza e airbag, sbirciano dal finestrino i grattacieli e i palazzi che si avvicendano come fulmini in rapida successione o restano stupefatti alla vista della squallida e malinconica periferia dove regnano degrado e abbandono, nel vorticoso crescere delle industrie. La sveglia suona molto presto ogni mattina e la routine quotidiana prevede ad ogni età un bel tragitto per raggiungere l’asilo nido, la scuola materna, le elementari o le medie dove un’aula può ospitare anche oltre venticinque alunni. L’importante è che sia una scuola rigorosamente 4.0 e sia dotata di un team di psicologi, psicopedagoghi e animatori digitali capaci di gestire problemi di dislessia, iperattività o mancanza di attenzione perché è facile, dopo un’ora di macchina imbottigliati nel traffico, addormentarsi sul banco! Quando il tempo si fa clemente in sella ad una bicicletta, protetti dall’immancabile caschetto, i bambini pedalano spensierati al parco mentre le loro mamme, i loro nonni o le baby sitter non li perdono mai di vista e se hanno sete non si sentono liberi di bere dalle fontanelle, ma devono premurarsi di sorseggiare un pò di acqua minerale dalla borraccia che hanno portato da casa. Guai a condividere una stessa bibita in quattro: vietato bere dalla medesima bottiglia come si faceva una volta! Se i bambini escono a giocare con gli amichetti l’obbligo è tassativo: rientrare prima del tramonto perché i pericoli sono molti e la sera il mondo diventa ancora più crudele. Se capita di tardare qualche minuto, una telefonata a casa con l’iphone ultimo modello, regalo della prima comunione, in fondo non costa nulla! Quando cala la sera il parco non è più sicuro, le vie della città sono minacciose e i palazzi diventano come dei giganti che con la loro incredibile forza sarebbero capaci di schiacciare chiunque..

Mens sana in corpore sano: dopo la scuola un pò di svago fa bene ed è bello star fuori a giocare, però quanta nostalgia del papà e in molti casi anche della mamma, quando tornando a casa si ritrovano a pranzare non con tutta la famiglia unita ma, se sono fortunati, con i loro nonni oppure con la tata o addirittura da soli, magari con il fratellino o la sorellina più grandi. Se scoppia una fame improvvisa..tutti al fast food: ormai McDonald's è per molti una seconda casa, dove organizzare addirittura feste di compleanno perché non tutte le mamme hanno tempo (e voglia) di cucinare profumati biscotti o torte al forno, oppure di preparare gustose fette di pane con la marmellata. Merendine, snack o dolciumi confezionati: il junk food non manca mai nelle dispense e quando ci si reca al supermarket per fare la spesa nei fine settimana i bimbi sono i primi a fare la scorta di “cibo spazzatura”. Nei pomeriggi invernali Playstation, Nintendo, Xbox, videogiochi vari, televisione, chat, computer, internet: il passatempo preferito sono loro, degni “sostituti virtuali” dei cari vecchi amici reali in carne ed ossa. I giochi a squadre nel cortile con bastoni e palline da tennis, il nascondino, le partite di calcetto sui prati, il “gioco della campana” o “un, due, tre stella”, le corse spensierate in aperta campagna sono solo un lontano ricordo: il grigiore della città ingloba anche la fantasia e spegne il desiderio dell’immaginazione. All’origine di un sano divertimento c’è la fantasia; ci si può divertire con poco e ci si può annoiare con molto, come testimonia l’icastico quadretto dipinto dal poeta austriaco Rainer Maria Rilke nel componimento “Infanzia”, tratto dalla raccolta “I pianeti della fortuna”. «[...] Così quando ciascuno a un tratto esulti giocando al cerchio o a palla nel giardino, o sfiori le persone degli adulti rincorrendo un compagno a nascondino: o quando verso sera a casa vada a passi misurati sulla strada». La ricerca di senso nei bambini sembra dileguarsi nell’incanto dei tramonti, quando il sole va a dormire perdendosi dietro le cupole delle chiese o nello scintillio d’oro dei monumenti sul far della sera. «D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda» scrive ancora Calvino ne “Le città invisibili”. Come sopravvivere per non restare imprigionati, ma crescere, diventare grandi...e trovare risposta alla domanda di felicità che tutti i bambini custodiscono nel cuore?

Funghetti...tra il cemento
La signature songIl ragazzo della via Gluck” incisa su 45 giri nel 1966 con cui il grande pubblico identifica il successo di un grande cantautore come Adriano Celentano, racconta la storia di un giovane «nato per caso in Via Gluck, in una casa, fuori città» tra «gente tranquilla, che lavorava». Costretto tra le lacrime a trasferirsi in città dove troverà «le cose che non ha avuto qui» come «lavarsi in casa senza andar giù nel cortile», si ritrova ad essere un funghetto tra il cemento, come molti bambini che lasciano il loro paesino del Sud per seguire i genitori in cerca di lavoro al Nord più industrializzato. «Ma come fai a non capire...È una fortuna, per voi che restate a piedi nudi a giocare nei prati, mentre là in centro io respiro il cemento». È grande il desiderio un giorno di tornare nel paese natio: «Mio caro amico, disse. Qui sono nato. In questa strada ora lascio il mio cuore. Ma verrà un giorno che ritornerò ancora qui e sentirò l'amico treno che fischia così "wa wa"». E quando dopo otto lunghi anni torna nella sua casa mai dimenticata..e che «ora coi soldi lui può comperarla..Torna e non trova gli amici che aveva. Solo case su case, catrame e cemento. Là dove c'era l'erba ora c'è..Una città». E quella domanda, senza risposta, torna prepotente: «Non so, non so perché, perché continuano a costruire, le case e non lasciano l'erba, non lasciano l'erba..Eh no..Se andiamo avanti così, chissà..Come si farà?».

Ma siamo andati avanti proprio così: sono passati cinquant’anni eppure il testo di questa canzone oggi è ancora così attuale e profondo nel descrivere la realtà delle nostre metropoli riflesse negli occhi dei bambini.

Nelle venti novelle tragicomiche di “Marcovaldo ovvero le stagioni in cittàItalo Calvino presenta il contesto urbano, consumistico e moderno con una punta di nostalgia per il mondo della natura e un pizzico di ironia nell’illusione di scorgere un bucolico paradiso terrestre nel freddo panorama industriale. Il protagonista dei suoi racconti è un adulto, un padre di famiglia manovale di professione, che ci insegna a guardare la realtà proprio con gli occhi ingenui di un bambino. Lo osserviamo mentre nelle caldi notti estive trascorre “la villeggiatura in panchina” mosso dal bisogno disperato di pace e di fresco oppure in inverno con i suoi figli mentre va alla ricerca di legna per resistere al freddo, spingendosi fino all’autostrada dove i suoi bambini, che non hanno mai visto una foresta, confondono i cartelli pubblicitari con un vero bosco. Tornano alla mente le parole del poeta e giornalista greco Costantino Kavafis scolpite nei versi di “La città”: «Non troverai altro luogo non troverai altro mare. La città ti verrà dietro. Andrai vagando per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere. Imbiancherai in queste stesse case. Sempre farai capo a questa città. Altrove, non sperare, non c'è nave non c'è strada per te. Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto tu l'hai sciupata su tutta la terra». Allora il pensiero vola veloce a tutti quei fanciulli costretti ad “emigrare”, sradicati dalle loro radici. Ma come fa l’anima a non sussultare incrociando gli occhi smarriti e spaventati di tanti bambini, di tanti giovani “migranti forzati” che stipati in angusti barconi in mare aperto si ritrovano catapultati nelle nostre città, come funghetti schiacciati da un cemento...di gelo e indifferenza?

Alla ricerca di un’epifania...tra «i tetti di tartaro e ruggine»
«Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili» afferma Calvino durante una conferenza tenuta il 29 Marzo 1983 alla Columbia University di New York: la grande ricchezza, la grande risorsa che i bambini hanno è proprio la capacità di sognare e scorgere il bello, perfino tra «i tetti di tartaro e ruggine»; ma «dirigibili d’argento, i palazzi di vetrocemento fra storti lumi luccicano» (Franco Fortini, “Immagini di Milano”, da “Poesia ed errore”). Non dimentichiamo mai che proprio dai bambini abbiamo molto da imparare, come scriveva Antoine De Saint-Exupery ne “Il Piccolo Principe”: «Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano». Insomma l’icona della speranza è sempre lì ad attenderci con un’epifania inaspettata, come ci ricorda il filosofo russo Pavel Aleksandrovič Florenskij: «Il mondo spirituale, invisibile, non è in un qualche luogo lontano, ma ci circonda; e noi siamo come sul fondo dell’oceano, siamo sommersi nell’oceano di luce, eppure per la scarsa abitudine, per l’immaturità dell’occhio, spirituale, non notiamo questo regno di luce, nemmeno ne sospettiamo la presenza». I nostri bambini sono letteralmente fagocitati da città tanto indaffarate e caotiche, senza più il tempo di guardare in alto, per respirare un pò di cielo, ricercare le vie dello spirito, la strada della fede e...riconoscere i “miracoli”. Occorre educarli a riprendere confidenza con la loro città e ad amarla, nonostante tutto: a piedi, in bicicletta o con il pullman in gita scolastica vale la pena vivere questa esperienza, magari ascoltando proprio le voci dei poeti e degli scrittori, per raggiungere l’enfasi lirica di Umberto Saba che ritrae Milano in questi meravigliosi versi: «Fra le tue pietre e le tue nebbie faccio villeggiatura. Mi riposo in Piazza del Duomo. Invece di stelle ogni sera si accendono parole. Nulla riposa della vita come la vita» (da “Parole”, 1933-34).

Ultima modifica: Sab 24 Nov 2018