Raccontare la Città

Chi racconta la città, e come lo si può fare al meglio? Con quali strumenti, con quali linguaggi, con quale consapevolezza, con quali fini?

La riflessione sul racconto giornalistico delle grandi tematiche sociali del nostro tempo prosegue - dopo i tre numeri di Desk dedicati al Lavoro, alle Migrazioni, e alla Giustizia - con questo sulla Città, che presentiamo presso La Cittadella di Assisi il 16 novembre 2018 alle 16.30. Per noi la città non è solo uno spazio urbano, ma anche il luogo delle relazioni, della cittadinanza, dell’inclusione o dell’esclusione, delle opportunità o delle ingiustizie, della solidarietà o dell’egoismo, della paura o della fiducia.

In Città di paure, città di speranze, un denso volumetto appena tradotto in italiano, il sociologo Zygmunt Bauman affermava che «le città sono state luoghi di cambiamento rapido e incessante per tutto il corso della Storia», ma se «città e mutamento sociale sono quasi sinonimi», l’elemento che caratterizza il nostro tempo è «il ritmo crescente del cambiamento, favorito dalla crescita esponenziale dello scambio di informazioni». La novità assoluta è oggi data dal «ritmo travolgente della “rivoluzione informatica”».

Un altro elemento che caratterizza le città della modernità liquida è una sorta di tensione permanente che il sociologo rappresenta con un’immagine: «Le città contemporanee sono i campi di battaglia su cui i poteri globali e i significati e le identità ostinatamente locali si affrontano, lottano e cercano (...) una convivenza che si spera sia una pace duratura, ma che solitamente si dimostra solo un armistizio». Nell’affrontare dunque il nostro tema è utile essere consapevoli della «nuova interdipendenza globale», fonte possibile di nuove opportunità o di nuove vulnerabilità, e che investe tutte le città del mondo senza alcuna esclusione, anche quelle situate nei luoghi più remoti o periferici.

Approfondendo il nesso Comunicazione e città, Vittorio Sammarco invita a riflettere sul fatto che «la parola communitas (la cui etimologia trova sostegno nella stessa radice di comunicazione), vuol dire cum-munus, svolgere un compito insieme, fare appunto comunità-città, proponendosi uno (o più) obiettivi da raggiungere collettivamente. Dialogando, confrontandosi, abbandonando o smussando divergenze e divisioni, faticando nell’ascoltarsi e capirsi, magari toccandosi e guardandosi negli occhi per raggiungere il miglior risultato possibile. In sostanza comunicando». Prospettiva interessante anche per noi, che in modo esplicito o implicito ci troviamo in questo numero a riprendere anche i temi dei numeri passati - ma tuttora attuali - della nostra rivista, essendo la città cornice e snodo di tanti aspetti della vita.

Le città come cosmopoli

Nelle città, luoghi di libertà e di opportunità, «l’essere umano è chiamato a camminare sempre più incontro all’altro, a convivere con il diverso, ad accettarlo e ad essere accettato da lui». Quanto affermavano i vescovi latinoamericani nel documento di Aparecida è vero non solo in America latina. La città contemporanea evolve, un po’ dovunque, nella direzione di «una cosmopoli», scrive il sociologo Alfredo Mela: «Una città-mondo in un doppio significato del termine», poiché «in senso estensivo: il mondo sviluppato si urbanizza [...]; in senso intensivo: la città riflette il mondo». Insomma, il mondo «assomiglia a una grande città; ma le grandi città sempre più assomigliano al mondo intero».

In un denso discorso al Comune di Milano del 28 giugno 2002, intitolato Paure e speranze di una città, il cardinale Martini affermava che la città è «sempre meno un territorio con caratteristiche peculiari e sempre più un mini-Stato dove si agitano tutti i problemi dell’umano». Non è facile, dal punto di osservazione del giornalista, raccontare adeguatamente quel mini-Stato o quella cosmopoli che è la città. Spesso la cronaca, pur essenziale, non basta. Possono venire in aiuto non solo competenze, conoscenze, sensibilità, ma anche memoria e prospettiva, e l’approccio interdisciplinare è probabilmente il più adeguato. Così ci aiutano nel nostro approfondimento non solo giornalisti e comunicatori, ma anche storici, studiosi, ricercatori, urbanisti.

Martini invitava a riflettere sulla forza e sulla debolezza delle nostre città, «luogo di un’identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo, dal diverso», e in cui i legami di solidarietà non sono solo «uno sfizio di anime belle né la creazione di oasi incomunicanti», ma «l’unico modo per vincere la paura di una impari difesa isolata».

Paura e solidarietà come alternative

La paura e la solidarietà sono in effetti alternative, e non solo in quanto stati d’animo, ma anche per gli effetti e le azioni che muovono. La prima induce a innalzare muri di chiusure e difese, la seconda a gettare ponti verso aperture e incontri. La rappresentazione e l’interpretazione della realtà offerta dai media non è mai specchio fedele e acritico, ma sempre effetto di un punto di vista, e di quello che lo sguardo, facendo filtro, è capace di cogliere. Con occhio positivo abbiamo cercato buone pratiche ed esperienze positive non sempre messe in evidenza, consapevoli che se si guarda con speranza, lo sguardo, come scriveva il cardinale Bergoglio nel 2013, «non è quello avido del “vediamo che è successo oggi” dei notiziari» ma «coinvolge e agisce come fermento». Se «l’anticittà cresce con lo sguardo» e «la più grande esclusione consiste nel non riuscire neanche a “vedere” l’escluso – quello che dorme per strada non viene visto come persona, ma come parte della sporcizia e dell’abbandono del paesaggio urbano, della cultura dello scarto, del rifiuto – la città umana cresce con lo sguardo che “vede” l’altro come concittadino».

Il giornalismo che ci piace, che auspichiamo, e che nel nostro piccolo vorremmo contribuire a realizzare, è quello capace di affinare lo sguardo e di raccontare la città umana, sapendo che la qualità del racconto è di per sé un aiuto a farla crescere.

In quest’ottica nel numero di Desk Raccontare la città, ci occupiamo di antropologia ed economia, di periferie viste non necessariamente come luoghi di degrado ma come possibili laboratori di creatività, come avviene per esempio a Scampia, grazie al centro Hurtado o a Corviale, con Radio Impegno, di informazione dai territori e città a misura di bambini, della trasformazione dei nostri tessuti urbani e dei nuovi linguaggi ad essi legati. Un’attenzione particolare abbiamo voluto darla alle zone ferite del nostro paese, come Genova, segnata dal crollo del ponte Morandi, o come Amatrice, nel cuore del centro Italia colpito dal terremoto più di due anni fa, sapendo che proprio lì bisogna ritrovare la fiducia e la speranza per una rinascita non solo possibile ma doverosa e che, soprattutto, ci riguarda tutti.

Invito UCSI 16 novembre dshort

Ultima modifica: Sab 24 Nov 2018