L'Europa di tutti che Antonio sognava e provava a raccontare alla radio

Andrea Cuminatto è un giovane giornalista toscano, ed è un coetaneo di Antonio Megalizzi, ucciso nell'attentato di Strasburgo. Come lui ha viaggiato molto e ha visitato anche i luoghi dell'Europa unita: Bruxelles, Strasburgo... Noi abbiamo chiesto ad Andrea di commentare questa vicenda (ar).

Andrea Cuminatto

Ho portato anche io, appuntato alla camicia, quel cartellino giallo con la bandiera dell’Europa e la dicitura “Presse ecrite”.

È nel vederlo sul petto di Antonio Megalizzi, nelle foto che corredano gli articoli sulla sua morte, che ho pensato: “Potevo essere io”. Ho letto le parole del suo collega più stretto, che con lui organizzava le interviste agli eurodeputati, ma soprattutto viveva l’esperienza di un’Europa strana, piena di differenze e di problemi, ma nonostante tutto ancora unita.

Ed è nella loro passione per il nostro continente, per la nostra unione, che mi sono ritrovato. In quell’Europa che ho girato in lungo e in largo, dalle aule del parlamento ai più sperduti borghi abbandonati dei paesi dell’est, quell’Europa nella quale ho trovato differenze fra la gente che non sono riscontrabili in altre parti del mondo.

Un professore all’università mi disse che il motivo per cui gli stati della UE non potranno mai essere uniti come quelli degli Usa è che in America parlano tutti la stessa lingua. Concordo solo in parte con questo pensiero: se nel nostro caotico, controverso, vecchio continente siamo arrivati con fatica a parlare più di pace che di guerra è proprio grazie alle differenze che ci caratterizzano. Quelle differenze che ci hanno fatto uccidere a vicenda troppe volte in passato e che oggi possono, devono essere una ricchezza da valorizzare.

L’uguaglianza, ben diversa dall’equità, è il triste appiattimento della società. Perché la bellezza nell’altro la si trova nei dettagli che lo rendono diverso da noi. Sono i problemi a renderci uguali. L’ho imparato proprio seduto sulle poltroncine del Parlamento europeo, da un giornalista maltese che sedendomi accanto mi raccontava i problemi della sua piccola isola e la vicenda, vissuta in prima persona, della collega Dafne Caruana Galizia, uccisa perché tentava di svolgere al meglio il suo lavoro, lottando per il bene con la sua arma: il giornalismo.

In Antonio ritrovo la passione per un giornalismo concreto, che non vuole ancora morire, nonostante la società intera sembra volerlo sotterrare in una fossa profonda, con palate di terra sempre più grandi ogni giorno che passa. Mi scende una lacrima leggendo i commenti di tanti giovani colleghi, che hanno vissuto e continuano a vivere le stesse difficoltà economiche, le stesse incertezze lavorative, ma nonostante tutto non mollano, sanno reinventarsi, sanno trovare ogni giorno il tempo e il modo per scrivere, per raccontare la verità.

Faccio invece difficoltà a sopportare il fatto che a dedicare parole ad Antonio siano certe grandi firme che a Strasburgo o a Bruxelles ci sono andate volando in prima classe e non con nottate di autobus, che in Europa hanno passeggiato nelle vie parigine o sulle spiagge spagnole, ma le mani con un progetto di volontariato in Romania non se le sono sporcate. Eppure l’Europa siamo tutti: ricchi e colti, ma soprattutto poveri e ignoranti. Impossibile soprattutto tollerare la voce di alcuni volti della nostra politica, che si permettono oggi di compiangere il giovane collega, ma quando dovevano essere seduti nel Parlamento europeo la loro sedia era troppo spesso vuota. Altrimenti, magari, lo avrebbero anche conosciuto di persona. Quei politici che in bocca hanno ogni giorno parole di odio, ma si permettono di parlare di pace. Non è questa, ne sono certo, la politica europea che Antonio amava raccontare.

Ultima modifica: Gio 20 Dic 2018

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