Digitalizzare le città: le scelte di oggi già realizzano il futuro

Nuovo appuntamento (l'ultimo di questo 2018) con la rubrica #deskdelladomenica. Proponiamo ancora un estratto dall'ultimo numero di Desk, che potete richiedere inviando una email a ucsi@ucsi.it

Paolo Benanti

Coma la digitalizzazione e le tecnologie IT (internet diffusa, sensori connessi, computer visione e IoT) cambieranno la città e le nostre relazioni? Uno sguardo a quanto sta accadendo oggi a Toronto potrebbe illuminare gli scenari di domani.
Alphabet, la società capofila di Google, sta mettendo in atto una serie di collaborazioni con le amministrazioni politiche di grandi città per creare infrastrutture digitali innovative. Buone intenzioni a cui credere o un modo per governare le città senza essere eletti? Cerchiamo di capire quali possibili scenari futuri si prospettano analizzando un caso concreto.

Proviamo a partire dalla storia recente. Non molti anni fa la città di Chicago ha consegnato il controllo dei suoi parchimetri a un gruppo di investitori privati. L’amministrazione pubblica ha definito l’accordo come un’innovativa “win-win situation” – un’espressione idiomatica inglese che indica un accordo da cui entrambe le parti emergono con un vantaggio. La municipalità di Chicago, in cambio di un contratto di affitto di 75 anni, ha ricevuto una somma forfettaria che andava a colmare un ammanco di bilancio che la metteva in difficoltà. La prospettiva storica ci fa riconoscere che quel grosso pagamento anticipato era di gran lunga inferiore ai potenziali guadagni dei parchimetri: i dati seguenti ci mostrano che era almeno di 1 miliardo di dollari più basso.

Alcuni economisti, commentando la questione, sottolineano che la città abbia potuto accettare un accordo così cattivo proprio perché era una città: se il management di una società privata avesse fatto quello che ha fatto Chicago, accettando un accordo volto a risolvere dei problemi finanziari a breve termine senza considerare adeguatamente le implicazioni a lungo termine, come fatto dall’Ufficio dell’Ispettorato Generale di Chicago a quel tempo, sarebbe stato denunciato per aver violato il suo dovere di vigilanza. Tenendo a mente questo notevole precedente passiamo ora ad analizzare cosa ora sta succedendo in una grande città del Canada: Toronto.

A partire dallo scorso autunno, Toronto ha ricevuto molta attenzione da parte dei media per un accordo con Sidewalk Labs, una società spinoff di Google del gruppo Alphabet. Secondo i documenti trapelati, l’accordo consiste nel dare a Sidewalk le licenze per ricostruire e ammodernare un intero quartiere, il Quayside. Questa zona della città attualmente non è sviluppata ed è estesa quasi 5 ettari (12 acri). L’idea di fondo che anima l’accordo è che in cambio degli investimenti edilizi, Sidewalk potrà raccogliere dati su qualsiasi cosa accada nel Quayside, dall’uso dell’acqua alla qualità dell’aria, fino ai movimenti della futura popolazione della zona. La società del gruppo Alphabet utilizzerà tali dati per far regolare l’energia, i trasporti e tutti gli altri servizi. Di fatto il quartiere sarà inondato di sciami di sensori che saranno costantemente attivi: all’interno e all’esterno degli edifici e sulle strade i sensori monitoreranno e moduleranno in risposta le infrastrutture.

La cosa che ha fatto scalpore è anche la dichiarazione rilasciata dall’autorità municipale: la città di Toronto ha rivelato di non essere a conoscenza che ci fosse un accordo con Google... Ora la situazione appare caotica: i dettagli dell’accordo non sono pubblici, il processo di pianificazione viene pagato da Google e Google non continuerà a finanziare tale processo a meno che le autorità governative non promettano che raggiungeranno un accordo definitivo in linea con gli interessi di Google. Questi interessi includono il desiderio della società di Mountain View di espandere i suoi esperimenti a Toronto oltre lo spazio di 5 ettari di Quayside.
Toronto, come Chicago un tempo, sembra, se ci si permette la metafora, avere in mano troppo poche carte per poter giocare questa partita. Eppure la città ha ancora la possibilità di agire come un buon amministratore evitando i rischi a lungo termine che derivano dal coinvolgimento di Google nella pianificazione urbana.

Quando Toronto decise di ricostruire il lungomare orientale quasi 20 anni fa, gran parte della terra nella zona era di proprietà della città, della provincia dell’Ontario e del governo nazionale. Per facilitare il processo di sviluppo, queste entità diedero vita al Waterfront Toronto, una società senza scopo di lucro gestita da un consiglio di amministrazione privato: la Waterfront Toronto ha l’autorità per definire le strategie sui piani di rivitalizzazione, pur rimanendo al decisore politico l’autorità di approvare qualsiasi accordo che avesse a che fare con terre di proprietà del governo. È stata la Waterfront Toronto, che agisce senza il controllo dello staff municipale, a fare lo scorso autunno il contratto “quadro” con Google da cui è nata tutta la pubblicità mediatica che ha imbarazzato il comune.

E che grande pubblicità è stata! I disegni e gli schizzi pubblicati finora da Sidewalk sono visivamente accattivanti, con edifici modulari, completamente verdi, una vivace alternanza tra piccole imprese e zone residenziali. Una zona disseminata di piccoli parchi vivaci. A capo di Sidewalk Labs c’è l’ex vice sindaco di New York, Dan Doctoroff, che ha subito rilasciato una dichiarazione alla stampa. Secondo le sue parole l’idea di Google è quella di migliorare la qualità della vita nelle città in generale, e per far questo si è partiti dal progetto pilota di Quayside. Le infrastrutture tecnologiche di Google, dense di sensori, telecamere e antenne, potrebbero, secondo Doctoroff, arrivare anche a migliorare la democrazia.
La realtà sembra però essere meno utopica: Google avrebbe concordato - in un documento quadro che resta ancora segreto nei dettagli - di spendere 10 milioni di dollari su un processo di pianificazione il cui scopo è quello di produrre accordi che possono essere implementati solo se la città e le altre autorità governative seguono un piano a chiaro vantaggio di Google (e Google ha chiaramente bisogno dei suoi esperimenti su Quayside per operare su una scala più ampia in modo che possano essere economicamente vantaggiosi per l’azienda).

Tutta la copertura mediatica ha dato a Google una tremenda leva politica mentre la città si sforza di capire cosa sia meglio fare con i tempi e con i ritmi lenti della politica. Nell’ultima settimana di gennaio il consiglio comunale di Toronto ha ricevuto un rapporto da cui si evince che la città non sapeva cosa stava facendo il Waterfront Toronto. In risposta, il consiglio comunale ha chiesto a Waterfront Toronto di includere due assessori comunali nel processo di pianificazione.

Tralasciando tutte le questioni sulla privacy, sulla libertà e sul processo di datificazione, ci sembra che il problema chiave sia il fatto che i funzionari della città potrebbero non avere consapevolezza della visione limitata di cui sono soggetti: avranno accesso a pochissime informazioni su ciò che Google impara dai loro cittadini. Dopotutto, Google già conosce una quantità enorme di ciò che le persone stanno facendo quando utilizzano i prodotti Google e non condividerà ciò che già conosce sui cittadini di Toronto. Per inciso bisogna anche dire che la città potrebbe non volere queste informazioni per non dover gestire il rischio che i dati possano essere resi pubblici in risposta a una richiesta di tipo pubblico.
Ad oggi non è chiaro se Toronto possa ottenere utili spunti dalla sua partnership con Google. Nel frattempo, Google diventerà capace di acquisire knowledge e capacità di intelligence sulla vita urbana, tra cui l’uso dell'energia, l’efficacia del trasporto, le strategie di mitigazione del clima e i modelli di erogazione dei servizi sociali. Questo know-how potrà essere rivenduto alle città di tutto il mondo. Compresa, paradossalmente, Toronto stessa.
Ci sembra a questo punto di poter evidenziare una domanda che i policy makers e i decisori politici dovrebbero porsi. Qualsiasi città che contempli installazioni "IoT" (di internet delle cose, cioè di sensoristica collegata a servizi avanzati e in real time), da parte dei giganti dell’IT da effettuarsi “gratuitamente”, si deve chiedere se questo sia un atto di buona amministrazione, se contribuisca alla reputazione della città e se sia uno strumento affidabile a lungo termine.

Quando le società private fanno affari, i loro amministratori sono soggetti a un insieme di obblighi fiduciari: un dovere di diligenza, un dovere di lealtà e un dovere di trasparenza. Anche le città sono, per certi versi, delle corporation. Specie i grandi centri urbani. Oggi, le grandi città, specie in Europa e negli Stati Uniti, hanno dimensioni e complessità di grandi aziende, controllando anche delle società di erogazione di servizi con bilanci importanti. Dovrebbero quindi organizzarsi anche in maniera analoga alle aziende con strumenti simili, che ne definiscano le finalità e i doveri. Quando una città agisce nel mercato privato vendendo, anche indirettamente, dati tratti dai suoi cittadini, è improbabile che sia immune da cause legali. È più probabile che le città siano protette dal contenzioso quando chiaramente “governano”. E quindi anche i loro doveri di cura, lealtà e trasparenza dovrebbero applicarsi a tutto questo settore.
Ci sono sicuramente in ogni città impiegati pubblici profondamente preoccupati per le massicce offerte di IoT alle loro città da parte di aziende come Google. È probabile che il peso di questi accordi, nel corso degli anni a venire, possa compensare i benefici a breve termine che la città ottiene. Ci potrebbe essere un giorno in cui, come è accaduto a Chicago con i parchimetri, i cittadini diventino consapevoli e furiosi per quanto è stato fatto dall’amministrazione. Tuttavia, a quel punto gli amministratori responsabili di queste scelte non saranno più in carica e l’unica cosa che resterà sarà il danno fatto. Ciò renderà ancora più difficile per le città affrontare i problemi di alloggi a prezzi accessibili, senzatetto, cambiamenti climatici e altre questioni urbane che già ora affrontano ogni giorno.

Per evitare questi scenari distopici, le città devono mettersi al lavoro e creare commissioni di esperti prima di stringere questo tipo di accordi contrattuali: essere chiari e coerenti rispetto alle priorità della città e ai valori, piuttosto che essere guidati dalle priorità di aziende come Google; discutere i benefici a lungo termine del procedimento, in pubblico; e, come minimo, vincolare ciò che le aziende potranno fare in futuro con ciò che apprendono dai loro cittadini.

La città come la conosciamo a breve non esisterà più. La digitalizzazione, anche se forse sarà meno visibile delle trasformazioni passate (non lascia mura o strade e non ha bisogno di abbattere palazzi), trasformerà radicalmente il modo con cui abitiamo e amministriamo lo spazio cittadino. Quale sarà la faccia di questo futuro prossimo si decide a partire da ora, nelle scelte che stiamo facendo o che, più o meno consapevolmente, stiamo delegando ad altri.

Ultima modifica: Dom 16 Dic 2018