Comunicare alla città. Il ruolo degli uffici stampa pubblici

Riprendiamo il filo interrotto prima delle feste. E così oggi, nel nostro consueto #deskdelladomenica, tornamo ad attingere contributi dall'ultimo numero di Desk, "Raccontare la Città". Con una intervista di Maurizio Di Schino approfondiamo un altro aspetto esenziali, quello del 'Comunicare alla Città'. e dunque del ruolo degli uffici stampa pubblici.

Intervista ad Alessandra Costante
di Maurizio Di Schino

Dal novembre 1987 Alessandra Costante scrive per “Il Secolo XIX”, lo storico quotidiano di Genova, fondato nel 1886. Per il giornale si occupa di politica, ma il suo sguardo si allarga alla realtà sindacale della categoria dei giornalisti, in Liguria e anche in Italia. Segretaria dell’Associazione ligure dei giornalisti, nella veste di responsabile del dipartimento della Federazione Nazionale della Stampa Italiana che si occupa degli uffici stampa pubblici, Alessandra Costante ha un’altra angolatura per osservare come vengono raccontate le città e per valutare l’efficacia della comunicazione degli amministratori pubblici nella vita delle comunità.

Raccontare la città. Cosa significa per te?

Significa soprattutto saper ascoltare e vedere. Raccontare ciò che si ascolta e si vede. Io mi occupo prevalentemente di politica e preferisco andare direttamente alla fonte, senza passare attraverso i filtri che i politici, di ogni grandezza, cercano di frapporre. Significa scrivere notizie. Sembrerà una banalità, ma non è cosi. Prendi la cronaca politica, ad esempio. I politici pensano che ogni loro dichiarazione sia una notizia. Bene: non è così. Spesso sono attestazioni di esistenza in vita, la loro, che un buon giornalista deve essere in grado di poter scremare. Il problema è che oggi i giornalisti sono abituati ad un certo modo di fare giornalismo, che non ha più tempo per la verifica e l’approfondimento, soprattutto per quanto riguarda i media “veloci” (on line e anche tv), e di conseguenza la tentazione di dichiarare, fine a se stesso, è forte. Ecco, secondo me, raccontare la città, un territorio, o un fatto di cronaca o un avvenimento politico significa scrivere ciò che si vede, si ascolta, si verifica e si approfondisce.

Gli uffici stampa pubblici hanno ancora la funzione e la possibilità di mettere in relazione la città e gli amministratori pubblici? Sono ancora uffici radicati anche nel territorio?

Per lavorare bene, con il rispetto del proprio ruolo e della propria professione, purtroppo non è sufficiente essere radicati sul territorio. Quello sugli uffici stampa è un discorso complicato. Nel 2000 si è cercato di istituzionalizzare l’ufficio stampa nelle Pubbliche amministrazioni, uffici stampa istituzionali, s’intende. Avrebbero dovuto esserci concorsi, stabilizzazioni, contratti. Invece, la legge, abbastanza complessa e non del tutto positiva per i giornalisti, è stata in larga parte disattesa. Il risultato sono grandi sacche di precariato (a vario titolo) anche negli uffici stampa pubblici, quindi contratti a tempo determinato oppure collaborazioni o ancora partite iva. Il che significa per i colleghi in queste condizioni una forte dipendenza dal politico di turno e la loro difficoltà a coprire bene il ruolo di raccordo tra l’amministrazione e il giornalista. Grazie al cielo non sempre è così.

Quali competenze servono per comunicare alla città?

Perfetta conoscenza dell’ente per cui si lavora, del proprio territorio, ma anche dei media di cui si è punto di riferimento: è il minimo sindacale.

Immagino che non sia facile per una giornalista e un giornalista di un ufficio stampa pubblico fare da raccordo tra amministratori, redazioni e territorio...

Certo che non è facile. Ad un certo punto il collega dell’ufficio stampa diventa allo stesso tempo fonte di notizie e parafulmine (del proprio ente e dei giornalisti con cui si raccorda). La difficoltà è conservare l’autorevolezza del proprio ruolo nei confronti di tutti. Per questo è utile avere un contratto a tempo indeterminato, una posizione forte all’interno dell’ente: per mediare tra pubblica amministrazione e giornalisti bisogna essere forti di un ruolo definito, consapevoli delle proprie prerogative, orgogliosi del proprio lavoro. E tutto questo si ottiene con la certezza del lavoro. Il precariato, ripeto, danneggia la mediazione degli uffici stampa.

La legge 150 del 7 giugno 2000 disciplina “le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”. Perché questa legge?

La legge 150 del 2000 è nata, dopo qualche tentativo, in un momento in cui la politica guardava con attenzione all’informazione e alla comunicazione. La cosa positiva è che ha istituito gli uffici stampa nella Pubblica Amministrazione, separando il ruolo dei comunicatori e soprattutto quello del portavoce, ruolo per il quale non è richiesta la terzietà del giornalista e la sostanziale ricerca della verità che deve essere sempre il punto di riferimento del giornalismo professionale. Ma la legge 150 è stata anche la pietra tombale dell’applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico (Cnlg) nella Pubblica Amministrazione, prevedendo esplicitamente un profilo professionale nell’ambito della contrattazione pubblica. La mancanza di un regolamento attuativo, i rapporti in qualche caso difficili sia con Aran sia con i sindacati confederali, hanno reso difficile l’attuazione della legge fino all’inizio del 2018. Sfruttando le possibilità concesse dal Titolo V della Costituzione, le uniche amministrazioni pubbliche che in questi anni hanno continuato ad applicare il Cnlg sono state le Regioni, e neppure tutte, che si sono dotate di leggi sull’istituzione degli uffici stampa e l’inquadramento dei colleghi con Cnlg. Sulle Regioni ora, però, pendono due questioni. La prima è l’armonizzazione eventuale con la contrattazione pubblica, che da febbraio prevede il profilo dell’addetto stampa, e quindi con la stessa legge 150. La seconda è il ricorso del Governo, che ha impugnato una delle ultime leggi sugli uffici stampa, quella del Lazio, davanti alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione: il Governo, in sostanza, sostiene che le Regioni non abbiano la possibilità di legiferare in materia di personale (e quindi di inquadramento dei giornalisti della Pubblica amministrazione con Cnlg).

Come andrebbe riformata questa legge?

La legge 150/2000 è nata vecchia e in questi anni ha dimostrato in pieno la sua inadeguatezza. Come cambiarla? Intanto dovrebbe occuparsi solo dei giornalisti, indicando esplicitamente che il lavoro dell’addetto stampa non può essere ricompreso semplicemente nel lavoro di un qualsiasi altro dipendente della Pubblica Amministrazione, e questo per vari motivi: la flessibilità degli orari, la responsabilità, l’ombrello di tutele previdenziali e sindacali che deve essere necessariamente uguale a quello dei colleghi degli altri media; il fatto che il giornalista professionale debba essere subordinato solo alla ricerca della verità dei fatti e non ad una catena gerarchica. Sinceramente, però, non penso che la riforma della legge 150 sia una delle priorità di questo governo che, anzi, sembra più interessato alla disintermediazione che a rafforzarla rendendo più indipendenti i giornalisti della Pubblica amministrazione.

Ultima modifica: Sab 12 Gen 2019