Il futuro della città

Per #deskdelladomenica di oggi presentiamo sul nostro sito l’intervista di Marco Fornasiero a Carlo Ratti, architetto e ingegnere, che ha fondato lo studio CR (Torino e New York) e dirige il Senseable City Lab al MIT di Boston. Buona lettura! Qui tutto l’abstract del nuovo numero della rivista che si può anche richiedere a ucsi@ucsi.it 

Marco Fornasiero

Abbiamo intervistato Carlo Ratti a partire dal suo libro “The City of Tomorrow: Sensors, Networks, Hackers, and the Future of Urban Life”, sul tema delle smart cities, in particolare sull’impatto che le nuove tecnologie hanno e potranno avere nella vita dei cittadini.

Come si evince fin dalle prime pagine del suo libro l’approccio che Lei ritiene opportuno adottare per pensare al futuro delle città è quello del Futurecraft: un modello di ricerca e sviluppo che pone in stretta correlazione le idee dei progettisti con il riscontro immediato dei cittadini, i principali fruitori. Come ritiene concretamente che il dibattito pubblico possa orientare lo sviluppo urbano?

Sì, l’idea di Futurecraft prevede un processo collaborativo di definizione del domani. Un domani non da “predire”, ma da “costruire” insieme. Possiamo pensare al Futurecraft come all’arte di costruire il futuro: ipotizzare scenari prossimi (azione in genere formulata sulla base dell’interrogativo «Che cosa succederebbe se?»), esaminarne le conseguenze e condividerne gli esiti, per consentire uno scambio di idee e aprire un dibattito pubblico. In altri termini, proponiamo di staccarci dalla realtà del presente per immaginarci progettisti di un futuro immaginario ma possibile, con l’intento di contribuire a realizzarlo - o precluderlo - proprio attraverso discussioni e confronti aperti.

Nel suo libro fa riferimento al progetto Trash track del MIT Senseable City Lab di Boston, di cui è Direttore, come esempio dell’applicazione del modello Futurecraft. Ritiene che possa essere realizzabile un progetto del genere in Italia?

Certamente. Non penso che sia tanto difficile realizzare il progetto: la parte complicata è generare nelle persone dinamiche di cambiamento di comportamento. Con Trash Track infatti – che prevedeva di dotare una serie di rifiuti con “etichette digitali” per il tracciamento della posizione GPS - la cosa più sorprendente è stata che i risultati ottenuti, oltre a essere utili per una migliore gestione dei rifiuti, hanno promosso anche un cambiamento nel comportamento dei partecipanti. Un piccolo aneddoto fra tanti: una persona ci ha informato di aver sempre bevuto in bottiglie di plastica, di cui si dimenticava l’esistenza una volta buttate. Tuttavia, dopo il progetto e venendo a scoprire che le bottiglie vuote finivano in un campo non lontano da casa sua, ha deciso di smettere di bere in bottiglie di plastica. Un piccolo aneddoto, appunto, ma significativo di come il mondo dei dati, di per sé può avere impatto.

Lo sviluppo tecnologico e scientifico, grazie soprattutto all’avvento di internet, ha inciso direttamente nella vita dei cittadini e delle città. Come riporta nel suo libro, dal 2008 più della metà della popolazione mondiale vive in centri urbani. Questi dati non fanno che sconfessare le teorie secondo le quali l’avvento di internet avrebbe favorito un mondo virtuale. A tal proposito, come pensa si possa far fronte al problema del consumo di nuovo suolo agricolo, visto che anche i dati dell’OMS dimostrano come nel 2050 il 75% degli esseri umani vivrà in centri urbani?

Direi che la soluzione è molto legata al concetto di economia circolare. In vista del 2050, i paesi dovranno iniziare a lavorare per far sì che il trend del consumo di suolo raggiunga l’obiettivo del consumo netto di suolo zero (no net land take), un concetto che la Commissione Europea aveva già iniziato ad avanzare nel 2011. Consumo netto di suolo zero che non significa bloccare l’infrastruttura urbana, vietando di occupare nuovo territorio: al contrario, si auspica l’occupazione di spazi liberi purché questa avvenga a saldo zero, re-impiegando ad usi agricoli aree in precedenza urbanizzate e impermeabilizzate. È questo un aspetto centrale che introduce anche nella pianificazione urbanistica e territoriale il principio del riciclo e dell’economia circolare.

Vorrei aggiungere un commento: una città densa non deve necessariamente essere una città verticale. Chi direbbe che Barcellona sia una delle città più dense al mondo? A vederla, sembra essere piuttosto orizzontale. Tuttavia la sua struttura a corte – e non a torri come Manhattan o Sao Paulo – permette un uso estremamente efficiente del suolo. Si tratta di qualcosa di ben noto in urbanistica, che risale ai lavori pionieristici di Leslie Martin e Lionel March all’Università di Cambridge alla fine degli anni Settanta.

Tornando all’Italia, credo che il modello senseable city possa essere un’occasione molto importante per il nostro Paese. In condizioni in cui la popolazione non cresce e gli standard abitativi non cambiano (anzi, per effetto della crisi la superficie pro-capite delle abitazioni potrebbe ridursi), non si può più pensare a espandere le aree urbane come nel secolo scorso: oltre a consumare inutilmente territorio vergine (“greenfield”, come si dice in inglese) ciò si tradurrebbe inevitabilmente nello svuotamento delle aree già edificate, esponendole al rischio del degrado.

Non ritiene che l’urbanistica, assieme alla politica, dovrebbe cercare di far fronte anche alla condizione delle periferie e dei piccoli centri urbani che maggiormente soffrono il problema dello spopolamento?

Assolutamente. Lavorare sulle periferie vuol dire partire dal rafforzamento delle comunità. Come diceva Shakespeare: “What is the city but the people”. L’urbanistica deve occuparsi della vita di ogni giorno di tutte le comunità e a tutte le scale, con un approccio inclusivo.

È molto bella l’immagine che Lei propone delle città del futuro, delle smart cities, chiamandole “senseable cities”, nelle quali l’uomo è situato al centro. Immagina già gli elementi di miglioramento che queste porteranno alla vita delle persone?

In generale, credo che sia importante puntare a una migliore qualità della vita. La città “sensibile” non è altro che il risultato del progressivo ingresso delle tecnologie digitali e del cosiddetto Internet delle Cose nelle nostre vite e nello spazio delle nostre città, iniziato negli ultimi vent’anni e destinato a intensificarsi nel futuro prossimo. Tutto questo ci permette di trovare soluzioni nuove per vecchi problemi - dalla mobilità al consumo energetico, dall’inquinamento allo smaltimento dei rifiuti, dalla pianificazione urbana alla partecipazione dei cittadini.

Come conseguenza l’immagine dell’architettura stessa potrebbe cambiare. Se, come si dice spesso, l’architettura è una sorta di terza pelle – dopo quella biologica e gli abiti che indossiamo – per molto tempo si è trattato in realtà di un rivestimento rigido, quasi un corsetto. Ci piace lavorare per far sì che un domani, grazie alle tecnologie digitali nello spazio, l’ambiente costruito possa adattarsi meglio alle nostre abitudini, dando vita a un’architettura dinamica, modellata sulla vita che si svolge al suo interno, e non viceversa. Permettendoci di vivere meglio nelle nostre città.

Ultima modifica: Sab 19 Gen 2019