Il dialogo e l'incontro, il sorriso e una carezza per superare i 'legami deboli' del web. Una riflessione dopo il messaggio di Papa Francesco

Lo avevamo capito subito quando si affacciò alla Loggia delle Benedizioni quella sera di marzo del 2013: questo è un Papa dell’immediatezza, un Papa che si inchina non solo metaforicamente verso le nostre vite e che se viene, come dice, dalla fine del Mondo ci sta invitando a raggiungerlo lì dove ci sono i confini dei nostri mondi e dove forse non abbiamo mai osato andare.

E con quell’inchino ci richiamava alla forza dei gesti, alla loro carnalità.

Da quel giorno il papa si è rivolto cinque volte ai comunicatori in occasione della ricorrenza della festa di San Francesco di Sales. Ci ha ricordato che dobbiamo comunicare anzitutto speranza, ci ha invitato ad avere un atteggiamento di misericordia, ci ha spiegato che per essere portatori di verità dobbiamo guadagnarci non soltanto l’autorevolezza quanto piuttosto la fiducia di chi ci ascolta o ci legge.

I media si sono spesso divertiti anche a isolare qualche sua espressione caratteristica e quasi caricaturale nella smania di fare titolo e sedurre l’attenzione labile di fruitori distratti.

Ma c’è invece un senso più profondo della nostra professione che risalta anche nel messaggio di quest’anno che insiste sulla necessità di passare dall’idea di community alla realtà di una comunità. Al posto dei “legami deboli” che si instaurano sul web dove troppo spesso “l’identità si fonda sulla contrapposizione”, scrive Francesco, la verità di una comunità è quella di essere “membra di uno stesso corpo”.

Già solo la parola allude a qualcosa di vivo, di carnale, di tangibile. Ma c’è qualcosa di ancor più profondo: in una comunità l’Io vive perché esiste un Tu cui rivolgersi, perché l’uomo è un essere per natura dialogico e ha bisogno di fare esperienza dell’altro nel mondo e non in un ambiente asettico dove le parole rimbalzano come un’eco narcisistica e che rischia di creare “eremiti sociali” estraniati dal mondo.

Oggi, in quella che è la presunta democrazia diretta di un sapere illimitatamente condivisibile e definito da certi pulpiti ‘reale solo se virale’, quello che si diffonde non è l’esperienza del valore delle parole né il loro messaggio simbolico, quanto un linguaggio anonimo e indifferente sedotto dalla tentazione del risentimento e dell’aggressività.

Ecco perché il Papa conclude il suo ragionamento ricordandoci non concetti esausti da scienziati della comunicazione o espressioni oramai desemantizzate dall’abuso dei titolisti, ma parole antiche e sanguigne che hanno il sapore del desiderio, di ciò che c’è di più umano. “Apriamo la strada al dialogo e all’incontro” scrive, ma anche e soprattutto al “sorriso e alla carezza”.

I grandi poeti romantici dicevano che se abbiamo l’umiltà di avere occhi e orecchie per vedere e ascoltare senza mediazioni concettuali cosa ci dice la realtà, allora il mondo ci parlerebbe con la grazia di una lettera d’amore. E l’amore può iniziare solo dalla forza umile di una carezza.

L'autore, Saverio Simonelli, è giornalista di Tv 2000 e Presidente dell'Ucsi Lazio

Ultima modifica: Gio 24 Gen 2019