Cinque parole per ascoltare meglio la comunità da raccontare. La prima? Resilienza

Il giorno prima del Giorno della Memoria sono passato dal corso di formazione per giornalisti organizzato a Firenze da Ucsi Toscana a un incontro con don Luigi Ciotti per l’inaugurazione, nel mio paese, di un presidio “Libera”.

Devo a don Ciotti una frase (“La speranza è fragile se non è condivisa: facciamoci portatori, lottatori, di speranza”) che bene si concilia con la voglia, nonostante tutto, di fare qualcosa, magari piccola ma sincera, in favore di una associazione sessantenne densa di fragilità (“Non dobbiamo temere di essere fragili – proseguiva don Ciotti – perché il saperlo ci rende forti”) ma pure di contenuti (“per costruire speranza occorre conoscenza”). E di opportunità.

Chiamato a coordinare un tavolo finale con colleghi ogni giorno, a differenza mia, impegnati nel giornalismo di cronaca, mi ero divertito a chiedere loro una parola che potesse caratterizzare la voglia di “ascoltare” meglio le comunità da raccontare. Una parola per aiutarci a superare “disturbi, distorsioni, incomprensioni” da cui talvolta (spesso? mai?) ci facciamo condizionare nel lavoro giornalistico.

E le cinque parole, alla fine di un giochetto certo non originale, sono arrivate: intensità, competenza, resilienza, prossimità, umiltà.

Con queste, lavorando sui contrari, è facile giocare su come talvolta (spesso? mai?) tutti noi, giornalisti 2019, si sia “lontani” e “superbi”, “incapaci” e “fragili”. E tutto ciò rimanda assai bene a quel doveroso senso concreto della realtà umana che tiene ancorati, tutti noi, alla straordinaria definizione che Ambrogio usava per la Chiesa e che può essere usata per qualunque attività umana: “casta meretrix”.

In una scelta personale e concreta nel suo realismo, il podio fra le cinque parole lo affiderei a “resilienza”: la capacità di non farsi abbattere da traumi e sconfitte, di restare comunque attenti alle opportunità positive che la realtà sempre ci offre.

In base alla propria esperienza, all’età, alla voglia di non arrendersi, ciascuno di noi può riempire quella parola (e le altre quattro, e le tantissime altre possibili) di contenuti concreti. Perché “la speranza per il domani” - sempre parola del prete torinese - poggia sulla capacità di resistere oggi”.

Atteggiamento in effetti molto diverso, la “resistenza” dalla “resilienza”: ma ci siamo, spero, comunque intesi.

Ultima modifica: Lun 28 Gen 2019

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