La musica che (non) gira intorno

Ci siamo oramai abituati al fatto che un dibattito sui social si riveli subito un inevitabile generatore di polemiche, invettive, varie astiosità, per lo più inconcludenti e inutili per la comprensione lucida del problema che le ha generate; ma quello sull’esito del recente festival di Sanremo può farci almeno riflettere sul senso e sui doveri di chi oggi fa l’ibrido mestiere di giornalista culturale e che in questa occasione non può limitarsi ad accettare la sbandierata dicotomia tra quello che sarebbe il gusto elitario di una minoranza irrimediabilmente snob e il genuino e autentico sentire popolare garantito dall’incontrovertibile forza del numero.

Continuando ad affrontare così la questione finiremmo per accodarci al corteo dei Manichei 2.0, purtroppo prevalente sui social. Il problema invece è un altro e va spostato su un piano differente: il nodo è la credibilità decisamente vacillante di chi per mestiere divulga cultura, alta, bassa o media che sia e la sua eventuale capacità di ribattere a una minima critica o a una valanga di insulti dimostrando non solo un’indimostrabile imparzialità ma soprattutto una competenza comprovata.

E invece troppe volte sentiamo autoproclamati critici musicali ‘pop’ rivolgersi al pubblico gonfiandosi il petto e schiarendosi la voce snocciolando categorie interpretative inconsistenti quali il carisma, l’energia, il ‘mood’ di questo o quell’artista. C’è anche chi nel privato dichiara che troppo studio della musica avrebbe come conseguenza la perdita del giusto ‘feeling’.

Ora, noi si vive in un Paese dove lo studente dichiarato “maturo” esce da un liceo avendo forse un vago ricordo di cosa significhi un polittico di Simone Martini o una tela di Caravaggio e questo almeno è già qualcosa, ma dove nessun legislatore si è mai sognato di pensare quale assurdità sia che per quello stesso studente l’Incompiuta rimarrà probabilmente un approccio sessuale infruttuoso, che il nome Brahms lasci trapelare in lui a mala pena il ricordo di una ninna nanna che ascoltava da bambino e che il pedale sia solo quello della bicicletta.

La musica però non è solo una tecnica - è questa l’imperdonabile eredità dell’ormai quasi centenaria Riforma Gentile - che sarebbe ozioso spiegare e la cui fruizione va quindi lasciata all’arbitrarietà del gusto, spacciato per libero e invece facilmente manipolabile; ma un patrimonio di bellezza fondamentale sia per la crescita di un popolo che per il benessere mentale del singolo cittadino.

La musica ha il privilegio di essere immateriale ma concretissima, affascinante e logica ma soprattutto è un’arte che può essere appresa, decodificata e gustata a qualsiasi livello.

E’ vero, per godere di una poesia bastano forse stupore ed empatia spontanee, ma non è anche più importante e formativo sapere perché Leopardi definisce “ermo” il suo “colle” e rendersi conto di quanto sia stato geniale scegliere proprio l’aggettivo “sovrumani” per quei silenzi? Ma alla base di questa esperienza estetica ci deve essere perlomeno una minima coscienza della grammatica, la stessa che usiamo per farci capire ordinando un caffè o discutendo del posticipo serale di Serie A. E allora perché per la musica basterebbe solo un indistinto e vago sentore, una malia fragile e nebulosa e quindi sostanzialmente improduttiva?

Per la musica invece avviene come per un panorama: più si sale, più si allarga l’orizzonte e più cose si vedono, ma ci si può anche accontentare dell’albero che si ha di fronte. L’importante è avere uno sguardo consapevole di ciò che si ha davanti.

Anche in sede di esame di Stato un giornalista che intende guadagnarsi di che vivere nel mondo delle sette (che poi sono dodici) note – dove c’è sia Schoenberg che la Trap - dovrebbe essere tenuto a conoscere e spiegare oltre alla composizione della Corte Costituzionale anche e soprattutto cos’è una cadenza evitata e come risolve un accordo di settima di dominante. Altrimenti farà la stessa figura di un aspirante cronista sportivo che non conosca la regola del fuorigioco o l’importanza delle sovrapposizioni degli esterni nel quattrotretre.

Solo la competenza, lo studio e l’approfondimento continuo sono garanzie di qualità e solo il saper porgerne i frutti agli utenti con amore, dedizione e rigore senza dimenticare un’indispensabile dose di autoironia può riguadagnare al giornalista la fiducia di chi lo legge o lo ascolta, ricostruendo un “feeling”, in questo caso sì, utile e concreto.

* L'autore, Saverio Simonelli, è vice caporedattore di Tv2000 e presidente di Ucsi Lazio

Ultima modifica: Gio 14 Feb 2019