Le storie che profumano di resurrezione

(#StoriediPasqua 3) - Ricordo nitidamente il momento. Era un sabato mattina. Immersa nelle pulizie di casa, prendevo fiato – si fa per dire - dopo una settimana di lavoro.

Tra un figlio e l’altro da accudire, ecco il telefono che squilla. Era Anna (nome di fantasia). Ci conoscevamo da alcuni anni per aver condiviso un tratto di cammino insieme ed era da un po’ che non la sentivo. Proprio la settimana prima, sul giornale per cui scrivevo, uscì un mio servizio sulla Giornata contro la violenza sulle donne. Anna l’aveva letto. E senza tergiversare troppo mi disse una cosa: «Ho visto che avete parlato di violenza sulle donne. Ma perché non raccontate le storie di queste donne che hanno subito violenza? Io sono una di quelle e vorrei raccontarti cosa mi è successo. Saresti disponibile a scrivere?».

Un cortocircuito nella mia testa. Resto impietrita. Non immaginavo cosa avesse vissuto ed ero stupita dal coraggio con il quale aveva preso il telefono e mi aveva chiamata. Di solito noi giornalisti le storie dobbiamo andarcele a cercare: non è facile trovarle, non è sempre facile trovare qualcuno disposto a raccontarle, non è sempre facile riuscire a raccontarle con rispetto e delicatezza. Quella volta fu Anna a venire da me e a mettere la sua storia nelle mie mani e qualche giorno dopo andai a casa sua.

Tutto iniziò da un album di fotografie e da un nome. Quello di un cugino. Poi furono più di due ore di racconto, doloroso, ma liberatorio di una ferita profonda, dell’impossibilità di difendersi, della forza con cui, a ritmo di lacrime, dopo anni di sofferenze era riuscita a costruirsi una vita e una famiglia, del coraggio, davvero ammirevole, di aver preso un giorno il telefono per chiamare il suo “aguzzino” e dirle che lo aveva perdonato, con lui che non sapeva cosa rispondere. Piangemmo a lungo insieme, quella mattina. Ma percepii con chiarezza che Anna, dopo quel racconto, non era più vittima. Era ufficialmente sopravvissuta e viva.

Due settimane dopo l’articolo uscì. Anna mi chiamò. Mi disse, con commozione, che si era rivista e ritrovata in quell’articolo, senza aggiungere o togliere una virgola. Tutto ciò fu un momento di trasformazione per lei. Ma lo fu ancora di più per me. Mi fu chiaro che accogliere le storie e raccontarle può avere senso solo se possiamo offrire, con il nostro lavoro, uno spazio in cui ciascuno può rileggersi così com’è, finalmente libero da un fardello pesante e senza sentirsi giudicato. Uno spazio, insomma, che possa profumare di rinascita. E, perché no, di risurrezione.

Qui #StoriediPasqua 2 - Michela Di Trani

Qui #StoriediPasqua 1 - Maurizio Di Schino

Ultima modifica: Sab 27 Apr 2019