Il ruolo dei giornalisti (anche i più giovani) nell'era dei social

A Firenze, organizzato dall’Ufficio per le Comunicazioni Sociali, si è svolto il 29 maggio un confronto tra due giovani e Paolo Ruffini, prefetto del dicastero vaticano della comunicazione. Riportiamo in maniera pressoché integrale gli interventi dei due giovani. Uno è Andrea Cuminatto, giornalista e consigliere nazionale dell’Ucsi, l’altra è Martina Ricci, giovane studentessa universitaria che racconta l’esperienza ‘comunicativa’ fatta con il gruppo della ‘pastorale giovanile’ dell’arcidiocesi di Firenze. Il confronto è stato condotto da Andrea Fagioli (Toscana Oggi).

 Andrea Cuminatto

Fino a non troppi anni fa i nonni dicevano ai giovani, generazione della televisione, che per colpa della TV non capivano più niente, che ne erano troppo condizionati. Oggi la generazione della TV avanza le stesse accuse alla generazione nata e cresciuta con gli smartphone.

Da un lato verrebbe da dire che è un processo ciclico, che si ripete con ogni innovazione tecnologica. Cambiano i mezzi, ma il risultato è lo stesso. Rispetto alla TV, alla radio, ai giornali, e anche alla forma originaria di internet però, i social network presentano una grossa differenza: non sono più mono-direzionali, ma bi- o pluri-direzionali. È per questo che i social network non sono più strumenti, ma ambienti.

Questo però porta ad alcune criticità. Innanzitutto il rischio di confondere i contatti con le relazioni. Si può dire che le relazioni sono l’essenza della vita. Più spegniamo le relazioni, meno viviamo. È la relazione con l’altro che ci permette di anche di distinguere le emozioni che proviamo.

Un paio di mesi fa ascoltavo la conferenza di tre psicologhe che parlavano della relazione fra i bambini e il mondo digitale. È venuto fuori che sempre più ragazzi non sanno più distinguere le emozioni fra loro e dare ad esse un nome preciso. Questo dovrebbe farci riflettere sulle conseguenze di un uso errato dei Social.
Il secondo problema è quello comunicativo, che si lega al mondo dell’informazione nel quale mi trovo anche a lavorare.
Partiamo dal presupposto che una parte sempre più rilevante della vita di tutti noi si svolge dentro ai social network: le relazioni personali, l’intrattenimento, in molti casi il lavoro. Molti lavori oggi si svolgono sempre più grazie a questi strumenti, in questi ambienti. In particolare sono quelli legati alla comunicazione e all’informazione. Nel caso specifico dell’informazione, la questione chiave è che chiunque, oggi, può improvvisarsi giornalista.

Il fatto che chiunque possa dire la sua sul web può apparire sintomo di democrazia, ma porta con sé dei rischi concreti, perché la gran parte di noi ha ricevuto in mano uno strumento senza il manuale di istruzioni. Nessuno ci ha preparati ad utilizzare i Social e quindi è facile cascare nei tranelli.
Come giornalista mi preme sottolineare due aspetti.

1. La necessità della utela dei diritti di chi è coinvolto nei fatti e del lettore. Nei media classici l’informazione è unidirezionale, non si può rispondere ad una notizia, ci si può solo fidare. Ma sappiamo che dietro a quella notizia c’è un professionista che prima di scriverla si è documentato, ha selezionato fonti affidabili, e soprattutto segue un codice deontologico. Ovviamente, come in ogni ambito, c’è anche nel giornalismo chi lavora male, ma di regola è tutelato il diritto del lettore di essere informato con notizie veritiere, e sono tutelati i diritti fondamentali di chi è coinvolto nei fatti di cronaca, specialmente quando si tratta di minori o di persone fragili.
In rete chiunque può scrivere una notizia, basta un telefonino per creare una notizia e per diffonderla. Ma siamo sempre certi riguardo alle regole etiche e morali che segue questa persona? Magari chi scrive sta facendo i propri interessi, che siano politici, economici, ideologici...
E a questo si lega il secondo punto.

2. Fake-news. Si sente tanto parlare di bufale, e siamo tutti convinti di saperle riconoscere al primo sguardo. Eppure, i dati dicono che l'82% degli italiani non è in grado sempre di riconoscere una notizia bufala sul web.
Allora forse non siamo così bravi come crediamo a riconoscerle. Probabilmente tutti almeno una volta abbiamo contribuito alla diffusione di una fake-news, magari essendone tuttora inconsapevoli.
Ed è errato pensare che siano i ragazzini le vittime più grandi di questo sistema, che siano loro gli unici a non sapere distinguere le notizie false. Noi adulti, abituati ad un sistema dove le informazioni che ci arrivavano dai media erano già filtrate, non siamo capaci di fare la scrematura e la verifica che un giornalista fa per mestiere, e diamo per scontato che una notizia verosimile sia anche veritiera. E quindi mettiamo ‘mi piace’, commentiamo e condividiamo. Chi crea notizie false per secondi fini le fa appositamente verosimili. Questo porta vari effetti, varie conseguenze.

Il primo effetto è la disinformazione.

Il secondo effetto è la perdita di fiducia nel mondo dell’informazione.

Il terzo effetto è l’esaltazione delle ideologie, dei fanatismi, che sfruttano questo sistema per i propri interessi.

Il quarto effetto è lo scontro dovuto all’ignoranza. Sul web facciamo battaglie che faccia a faccia non avremmo combattuto. Bruno Mastroianni, un giornalista esperto di comunicazione digitale, ha definito quello che chiama “effetto triceratopo”, partendo da un fatto successo realmente alcuni anni fa.
È stata condivisa su FB una foto di Steven Spielberg sul set di Jurassic Park, seduto appoggiato al triceratopo morto, con scritto “Scellerata foto di un cacciatore sportivo, mentre sorridente è in posa davanti al triceratopo che ha appena massacrato. Condividi affinché il mondo conosca questo uomo spregevole e lo svergogni”. Decine di migliaia di condivisioni. Molte persone hanno compreso l’ironia, ma altri hanno iniziato a inveire e condannare. A un certo punto fra i commenti un tizio per placare gli animi ha scritto “Ma quello è Steven Spielberg, il regista di Jurassic Park” e gli viene risposto “Non importa chi sia. Non avrebbe dovuto sparare all’animale”.

L’effetto triceratopo è questo: immedesimarsi, in questo caso nel triceratopo, e schierarsi. Quando scorriamo i social network, istintivamente pensiamo su ogni cosa “è con me o contro di me?”. In questo caso chi commentava, contrario alla caccia sportiva, doveva prima fermarsi a riflettere sul fatto che l’animale si era estinto milioni di anni prima che il cacciatore potesse ferirlo.
Questo esempio fa sorridere, ma quanto ogni giorno, su tante notizie che leggiamo online, ci schieriamo a spada tratta senza in realtà sapere nulla, o comunque poco, di quel tema?

Oggi come giornalista e come cattolico ritengo fondamentale scoprire l’uso positivo dei social network.
Un esempio concreto è la diffusione delle buone notizie, che come UCSI facciamo nel nostro sito, ma che ognuno di noi fa nel suo piccolo, nel proprio lavoro quotidiano. E in questo ambito i Social hanno un ruolo fondamentale, grazie alla capacità di diffusione che offrono. Quindi direi che un primo modo per combattere le notizie false e negative, è quello di usarli per diffondere il più possibile verità e positività.

Innanzitutto l’uso fondamentale dei social network, come associazione, è quello del rapporto fra i soci, fra noi giornalisti che viviamo lo stesso carisma, la stessa missione, che è “comunicare la verità” e farlo bene. I social sono utili per rafforzare la coesione e l’identità. E in questo modo si “crea comunità” all’interno, fra noi.

Come secondo passaggio, utilizzando i social network, possiamo divulgare i contenuti, le informazioni, in maniera più approfondita, e soprattutto senza cercare lo scoop, senza urlare i titoli che attraggono l’attenzione, ma concentrandoci sulla bontà del contenuto. Questo è un modo per “creare comunità” con il mondo esterno. Quindi far riacquistare alla gente la fiducia nel mondo dell’informazione.

Anche a livello più ampio, come chiesa, è possibile lavorare su questo punto, come Papa Francesco già sta facendo: utilizzare i social per far passare il vangelo e al contempo per rafforzare l’identità della comunità cristiana. La sfida è riuscirci senza cadere nel fanatismo, ma soprattutto senza arrivare ad usare i simboli religiosi per i propri fini. Altrimenti, anche per quanto detto prima sulla diffusione delle notizie online, si rischia di creare una comunità cristiana virtu.

cuminatto ricci ruffini firenze

Ultima modifica: Dom 2 Giu 2019