Radio e tv: verso il superamento del monopolio di Stato

La disciplina giuridica del sistema radiotelevisivo è nutrita da un principio, quello del pluralismo. Come abbiamo potuto vedere dal precedente articolo, una nuova visione di tutela di tale principio, ha comportato la messa in moto da parte di tutta la macchina giurisprudenziale.

La Corte Costituzionale, con le sentenze n.225 e n.226 del 1975, ha rimesso in discussione un sistema che sembrava destinato a perdurare: il monopolio di stato sulla trasmissione radiotelevisiva.

È vero, la Corte confermò il regime di competenze, ma creò un cuneo, per uno spiraglio di manovra. E così è stato. Il Parlamento con la legge n.103/1975, ha concesso, su autorizzazione governativa, di aprire uno spazio all’iniziativa privata. Nell’art.4.1 della legge è stabilito che «nel caso in cui non vi sia la disponibilità dei mezzi pubblici [...] può essere richiesto al Ministro delle poste e delle telecomunicazioni il rilascio di una concessione per l’installazione e l’esercizio delle reti e degli impianti». A distanza di anni potrebbe sembrare una piccola concessione, in realtà si è rivelata un importante incentivo per l’attuazione dell’art.41 della Costituzione che disciplina l’iniziativa economica privata.
In un anno infatti cominciarono a nascere sui territori del Paese molte aziende radiofoniche e televisive, in gran parte senza autorizzazione governativa. È qui che si supera il monopolio di Stato.

La Corte Costituzionale è tornata sul tema con la sentenza n.202/1976, considerando incostituzionale l’allora suddivisione delle competenze a favore dello Stato, per la gestione del sistema radiotelevisivo nei singoli territori.
Per la Corte era necessario garantire l’iniziativa economica privata in quanto lo sviluppo tecnologico avrebbe permesso ambedue le presenze, quella statale e quella delle aziende private, senza incorrere nella creazione di monopoli (di stato) o di oligopoli.
Il passo successivo auspicato dalla Corte doveva essere l’intervento del legislatore a favore di una regolamentazione della libera iniziativa, «perché stabilisca l’organo dell’amministrazione centrale dello Stato competente a provvedere all’assegnazione delle frequenze ed all’effettuazione dei conseguenti controlli, e fissi le condizioni che consentano l’autorizzazione dell’esercizio di tale diritto in modo che questo si armonizzi e non contrasti con il preminente interesse generale» (sentenza n.202/1976).

Nonostante un timido tentativo nel 1978 del Ministro Gullotti, bisognerà attendere fino al 1990 per una risposta organica del legislatore (attraverso la legge Mammì). Comunque questo arco di tempo, se da un lato è segnato dall’immobilismo del Parlamento, dall’altro ha fatto nascere come i funghi molti padroni di aziende private, proprietari di numerose televisioni e radio. Ad arginare e regolarne la crescita furono la Corte Costituzionale e il Governo attraverso la decretazione d’urgenza.

È certo che al centro della nostra analisi vi è pur sempre l’attuazione dell’art.21, e questi fatti storici, come molti altri ancora a venire, ci dimostrano ancora una volta la centralità di questo diritto, non solo per l’attuazione del sistema democratico ma anche per il riconoscimento di altre libertà che concorrono alla sua completa realizzazione. Ritorna dunque attuale la definizione della Corte sulla libertà di espressione come pietra angolare del sistema democratico. Un diritto acquisito ma che si può facilmente perdere in regimi non democratici o quando il potere si pone sopra i principi democratici.

(parte 5 - continua)

Leggi le altre:

parte 4 - L'evoluzione in Italia del sistema radiotelevisivo

parte 3 - L'articolo 21 e i padri costituenti

parte 2 - Dove affonda le sue radici l'articolo 21

èarte 1 - il diritto all'informazione, termometro della democrazia

Ultima modifica: Dom 9 Giu 2019