Le migrazioni, la nostra 'pietra d'inciampo'

Nel giorno in cui papa Francesco per la seconda volta va a Napoli, per il convegno su «La teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo» (20 e 21 giugno), proponiamo sul nostro sito questo bel contributo di Valerio Petrarca, già conosciuto attraverso la lettura di Desk. Qui invece un mio richiamo al convegno di Napoli (Donatella Trotta)

Valerio Petrarca

1. Retoriche delle migrazioni

Due schieramenti contrapposti caratterizzano nei paesi ricchi il discorso sui migranti: uno favorevole e l’altro contrario alle migrazioni. È come se ci mettessimo a discutere se siamo favorevoli o contrari al vento o alla pioggia, mentre il vento spira e la pioggia cade.

Se lo facessimo, tradiremmo quel principio di realtà che bisognerebbe necessariamente condividere per cercare di conoscere i fatti e trarne beneficio. Le cose infatti accadono indipendentemente dai nostri desideri. Il modo con cui si è soliti parlare dei migranti è dunque un problema da affrontare prima di entrare nel merito della questione. Ci dà informazioni sui meccanismi delle nostre coscienze, che possono impedire o favorire il discernimento e il dialogo, preliminari indispensabili per mettere in comune le nostre intenzioni di verità.

Molti sono convinti che il mondo contemporaneo sia caratterizzato da «un esodo biblico», ma il censimento mondiale più recente e attendibile, commissionato dall’ONU, ci dice che in percentuale non ci sono novità rilevanti: per il 96,6%, la popolazione mondiale vive e muore dov’è nata. I media ci inducono a credere che le popolazioni dell’Africa subsahariana, soprattutto quelle più povere, si riversano nei territori dei paesi ricchi. I numeri però dicono il contrario: con il 2% di emigrati, l’Africa subsahariana è una delle aree del mondo da cui meno si espatria. Si può dare per certo che quanto più poveri si è meno si parte: emigrare costa e le statistiche più accreditate confermano quest’ovvietà. Se però non ragioniamo in termini di percentuale ma in termini assoluti, queste stesse statistiche, che come abbiamo visto gettano acqua sul fuoco degli allarmismi, potrebbero sollecitare la nostra preoccupazione. Le percentuali delle persone che emigrano connesse infatti con l’aumento della popolazione e con i tassi di fecondità potrebbero presentare uno scenario, riguardante non il presente ma il futuro, capace di alimentare, nel partito contrario all’emigrazione, la paura e il ruolo non secondario dell’Africa subsahariana nelle migrazioni mondiali.

Se i risultati delle ricerche possono essere orientati e interpretati così diversamente, significa che siamo chiamati a fare emergere alla coscienza i principi che ci guidano nella selezione e nella considerazione dei fatti, senza nasconderci dietro il paravento della scienza o dell’oggettività dei numeri. Solo in tal senso potremo resistere alla tentazione, quasi irresistibile, di concepire i rapporti di forza come rapporti di senso e chiudere così le porte all’intenzione di verità, il più debole e delicato dei desideri umani.

Nell’ordine del discorso politico in cui s’iscrivono le parole, spesso gridate, riguardanti i migranti, non c’è spazio per loro. Nel senso che li si usa liberamente, proprio grazie alla debolezza della loro disgregata condizione politica e giuridica, per argomentare lacerazioni interne ai così detti paesi ospitanti, lacerazioni che riguardano i migranti solo molto indirettamente. Non c’è tempo per illustrare analiticamente il problema che pongo all’attenzione. È sufficiente richiamare ciò che è da tutti osservabile: la divaricazione esasperata tra le retoriche dei partiti politici fissati sul problema delle migrazioni e la sostanziale continuità e incertezza delle misure prese dalle diverse compagini politiche che si sono succedute in questi ultimi decenni nel governo dei paesi più ricchi del mondo. Non sembri paradossale ciò che dico qui e ora: l’accanimento per noi tutti così disonorevole esercitato contro alcuni migranti è proprio la prova più evidente della sostanziale incapacità di governare il fenomeno.

Rendere la vita impossibile ad alcuni migranti serve solo a illudere mediaticamente gli elettori di aver mantenuto le promesse elettorali, fondate sul sentimento della paura. Altro che disincanto o demagificazione del mondo: in molte democrazie occidentali, la retorica politica si è allontanata dai fatti e avvicinata ai desideri. E poiché i desideri sono una cosa e il mondo un’altra cosa, la comunicazione che li confonde non può che essere ingannevole e ingannatrice.

Le retoriche politiche imperanti nei paesi ricchi del mondo sono il documento non tanto della difficoltà di «distinguere i segni dei tempi», ma del loro diniego. Chi studia le migrazioni sui libri e sul terreno si stupisce molto che tante persone abbiano le idee così chiare. Si tratta infatti di un fenomeno complesso e contraddittorio, dove s’intrecciano tutte le componenti con cui si possono distinguere le società (età, sesso, famiglia, economia, politica, tecnica, comunicazione, lingua, cultura, religione, territorio). Proprio in ragione di questa complessità è utile soffermarsi sul grande quadro dei fatti e delle idee entro cui articolare le analisi delle singole e speciali tradizioni di studio.

2. Come pietra d’inciampo

I migranti si presentano a noi come pietra d’inciampo; fanno emergere, loro malgrado, le grandi contraddizioni della nostra vita e della nostra storia. In tal senso sono un’occasione preziosa agli occhi degli uomini di buona volontà per un grande esame di coscienza, da intendersi come anamnesi storica e antropologica. Tento di richiamarne il grande quadro, approfittando di questa occasione per me irripetibile, anche a rischio di inevitabili schematismi imposti dal poco tempo a disposizione.

I nomi dei personaggi che dominano la storia, di cui i migranti sono il risultato più recente, pure iniziano con la M: Missionari, Mercanti, Militari e Medici. Questi personaggi, salpati senza invito dalle coste atlantiche europee, a partire soprattutto dal XV secolo, hanno fatto il mondo così come oggi noi l’ereditiamo. È decisivo ai fini del mio discorso discernere tra micro e macro dimensione, tra le relazioni individuali e quelle collettive di carattere politico-territoriale. Voglio dire, per esempio, che sarebbe sbagliato e ingeneroso non distinguere tra missionario e missionario, tra chi era disposto a dare la vita per annunciare il Vangelo e difendere gli oppressi e chi si limitava a battezzare restando indifferente di fronte alla tratta negriera e alle altre azioni di violenza estrema degli europei nelle terre dei Nuovi Mondi. E un errore ancora più grave sarebbe non distinguere, sempre nella micro-dimensione, tra Missionario, Mercante, Militare e Medico. Questi personaggi potevano appartenere a schieramenti ideali e politici tra loro contrapposti. Stavano però nella stessa nave e poi nello stesso aereo e insieme hanno messo in comunicazione Vecchio e Nuovo Mondo per farne uno solo, il nostro. La micro-dimensione fa emergere soprattutto le differenze, gli attriti e i conflitti entro e tra le figure protagoniste di questa storia.

La macro-dimensione fa emergere invece le convergenze, volontarie e involontarie, consapevoli e inconsapevoli. Fin solo a qualche decennio fa, il Mercante, il Militare, il Medico e il Missionario potevano disputare quasi su tutto, ma non avevano dubbi d’essere, ognuno a suo modo, protagonisti di un’azione civilizzatrice, iscritta in una storia dotata di un telos. Potevano per esempio contrapporsi sulla questione se il Regno da compiersi già qui e già ora fosse nella prospettiva della seconda parusia o se il mondo fosse già il tutto come destino interamente ed esclusivamente umano. Concordavano però intimamente nel ritenere lecita e addirittura doverosa la loro azione «missionaria», al punto che non valeva quasi la pena di discuterne, azione che li vedeva impegnati in paesi stranieri, dove non erano stati invitati, in nome della civiltà cristiana o di quella scientifica e tecnica o di tutte e due messe insieme. Ciò che li opponeva radicalmente e consapevolmente sul piano della micro-dimensione li associava sul piano della macro-dimensione, potenziando gli effetti della loro diversa ma contemporanea azione. I più nobili spiriti d’Occidente, fino al Novecento inoltrato, hanno giustificato ciò che oggi chiameremmo senza esitazione genocidi, considerandoli mali necessari per il cammino civilizzatore della storia, una storia che aveva cuore e cervello in Europa. Non si tratta oggi per noi di stimarci più lucidi di quei nobili spiriti del nostro passato. Si tratta invece di chiederci: se quei nobili spiriti guardavano ma non vedevano cose così chiare e cadevano in contraddizione con se stessi a proposito dell’idea di umanità, cosa noi oggi guardiamo e non vediamo?

3. Merce e persona

Non entro nel merito della disputa intorno ai primati dell’Occidente, se siano quelli della quantità del sangue versato o quelli civilizzatori della tecnica, della medicina e del diritto della persona. Anche perché spesso, perfino nella discussione erudita, si salta nello stesso discorso dalla micro alla macro dimensione e si ha buon gioco nel dimostrare le ragioni del partito preso.

È ovvio che il crocifisso, il cannone e le merci con cui gli Europei si sono affacciati nei Nuovi Mondi di per sé non andavano e non vanno d’accordo tra loro, ma il nostro mondo è in una certa e buona parte il risultato di questa sintesi. La grande civiltà del diritto che ci rende uguali di fronte alla legge, la stessa idea di sacralità e inviolabilità della persona sviluppatasi in Europa nella cultura umanistica e illuministica fino alle dichiarazioni democratiche più recenti, di ambizione universale, hanno trovato le loro condizioni di pensabilità e di praticabilità nella coeva ineguaglianza tra le società e i territori in vario modo controllati dagli Europei, ai danni dei nativi che li abitavano prima del loro arrivo. Insomma grano e zizzania sono cresciuti insieme e in un certo senso, nel nostro caso, hanno fatto sistema. Chi ci può aiutare a discernerli? Possiamo noi eredi privilegiati e fortunati di questa storia interrogarci con intenzione di verità? Non saremmo inevitabilmente tentati di usare ogni dato storico ed etnografico per argomentare le nostre dispute di oggi, tutte interne alla micro-dimensione?

L’esame di coscienza, individuale o collettivo, prevede che ci sia un estraneo a cui palare e di cui intendere la voce. Non possiamo sollevarci da terra tirandoci per i capelli. Ulisse, il grande dissimulatore, il maestro d’inganni, si espone alla verità una sola volta nell’Odissea, quando sente raccontare da un altro la sua propria storia, la presa di Troia; e finalmente si commuove, nascondendosi il volto con il mantello. Solo gli altri ci possono aiutare in questo esame di coscienza, senza per questo credere che ci portino la verità, ma ci conviene ascoltarli con attenzione. Gli altri sono tutti quelli che anche individualmente non si sono allineati all’ordine del discorso prevalente. Le micro-dimensioni ci presentano alcune individualità, rimaste spesso isolate e perdenti nel loro stesso mondo di appartenenza, da una parte e dall’altra. Questi singoli uomini del passato erano portatori di mondi potenziali, di mondi cioè che avrebbero potuto essere e non sono stati. Dall’epoca dei grandi viaggi fino alla fine del colonialismo europeo, una visione ragionevolmente relativistica delle civiltà, di cui alcuni europei e non europei pure erano portatori, avrebbe potuto favorire la conoscenza e la sopravvivenza fisica e ideale di mondi che sono stati pressoché cancellati dalla storia. Durante quest’epoca, però, l’ordine del discorso prevalente, che dettava i criteri della macro-dimensione nell’assetto del mondo, era di tipo universalistico ed europeo-centrico; era insomma un pensiero forte e come tale dettava l’azione. Quando poi il mondo è diventato ciò che è (effettivamente mondializzato), si è man mano fatto largo in Occidente un atteggiamento relativistico, tardivamente rispettoso, difensore ed esaltatore di ogni differenza. Indipendentemente dalla buona coscienza dei singoli, questo nuovo atteggiamento è insieme una conquista culturale e un sostegno, spesso inconsapevole, al disimpegno dell’Europa, che tende a ritrarsi pilatescamente dalla storia, piena di tragedie, che essa stessa in gran parte ha generato e di cui non sopporta l’eredità.

Tra le molte immagini e storie di vita dei migranti che mettono alla prova, perché quotidiane, la nostra capacità di commuoverci e indignarci, senza cedere all’abitudine, ce ne sono alcune piene di informazioni per l’anamnesi storica e antropologica qui evocata. Accenno a una sola scena. Alcuni migranti si mimetizzano tra le merci, trasportate dai tir in transito, per passare i confini tra paesi europei, mai così ben presidiati in tempo di pace. È un gesto di sopravvivenza carico di sapienza probabilmente involontaria, che ci aiuta ad aprire gli occhi su un fatto epocale, che forse non valutiamo in tutte le sue conseguenze logiche: l’idea di sacralità e inviolabilità tende a spostarsi dalle persone alle merci. La nostra legge d’altra parte concede a tutti gli uomini il diritto di partire ma a pochi anche quello di approdare, mentre concede alle merci la libertà di partire e approdare. Se così fosse, se in questo dramma storico, da me schematicamente ricordato nei personaggi il cui nome inizia con la M, le ragioni del Mercante dettassero senza freni i criteri prevalenti d’interpretazione del reale, ciò significherebbe che chi dice di difendere la vecchia Europa dagli estranei difenderebbe in realtà un mondo già scomparso, che esisterebbe paradossalmente solo nella mente degli estranei migranti. Cosicché il mondo, che questi ultimi vedono illusoriamente come loro futuro, in realtà sarebbe già passato, per lasciare il posto ad altri umanesimi, non necessariamente più umani di quello che fino a oggi è stato il nostro.

Ultima modifica: Ven 21 Giu 2019