Il 'caso Ilaria Capua' e i rischi (e gli errori) del giornalismo che si occupa di cronaca giudiziaria

Oggi, in #deskdelladomenica, propniamo un'ampia sintesi dell'interessante ricerca realizzata da Lorenzo Ugolini sul caso della scienziata Ilaria Capua, con molte considerazioni sul delicato tema dell'informazione giudiziaria. La versione integrale dell'articolo, che mette in evidenza le tante incongruenze anche giornalistiche di una vicenda paradossale, è pubblicata sul numero della rivista Desk dedicato al 'racconto giornalistico della giustizia' (per info, arretrati e abbonamenti scrivete a ucsi@ucsi.it

Lorenzo Ugolini (2018)

La cronaca giudiziaria rappresenta senz’altro un genere giornalistico tra i più storici e paradigmatici; allo stesso tempo, storici e paradigmatici sono anche i problemi di natura etica e deontologica che essa pone, soprattutto laddove la dimensione giudiziaria assume caratteri di notiziabilità che travalicano l’evento trattato e che mostrano di attrarre il pubblico in maniera significativa.

Non a caso il titolo di un’opera di Marco Bellocchio, Sbatti il mostro in prima pagina, è entrata nel linguaggio comune proprio per indicare la tendenza, discutibile e pericolosa, da parte del giornalismo di voler colpire e scioccare il lettore per attrarlo (e, implicitamente, aumentare le vendite dei newsmedia), anteponendo questo aspetto a tutto il resto, finanche alla verità.

Questo approccio, che Michael Schudson definisce “market” per distinguerlo da quello “advocacy” (incentrato sulla difesa di una posizione, politica e non solo) e da quello “trustee” (volto a proteggere l’interesse del fruitore), pone problemi di natura etica al livello basilare del ruolo sociale del giornalista, chiamato in linea teorica a fornire ciò di cui il pubblico ha bisogno, laddove il modello market spinge a offrire al pubblico ciò di cui ha voglia.

Nel caso specifico della cronaca giudiziaria, inoltre, l’applicazione di un modello market solleva tre fondamentali problematiche, strettamente legate a tre elementi esterni al sistema dell’informazione.

- In primis, è necessario ricordare che se un fatto di cronaca, un’inchiesta, un processo possono senz’altro rappresentare una notizia in quanto tali, essi possono non corrispondere all’effettiva colpevolezza di uno o più imputati. Tuttavia, una critica ricorrente al giornalismo è quella di dare un peso equivalente a ruoli e termini profondamente diversi, come “indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni” (cfr Testo Unico dei Doveri del giornalista), proprio in ottica di ottenere un riscontro market per la propria testata;

- Questo ci riconduce direttamente alla seconda problematica: la lettura in chiave politica delle inchieste giudiziarie, che non può non rappresentare uno dei principali appeal di questo genere di notizie sul pubblico;

- Infine, il terzo punto si ricollega alle lungaggini del sistema giudiziario italiano. Infatti, uno dei punti nodali nella copertura giornalistica di un’indagine è che essa è strutturalmente in corso, e quindi il giornalismo non è chiamato a restituire un evento, per così dire, “finito”, ma a descriverne e analizzarne lo sviluppo. Tuttavia, nel momento in cui tra l’annuncio di un’indagine e la conclusione di un eventuale processo passano diversi anni, appare del tutto evidente che, in un contesto market, la notizia dell’apertura di un’indagine possa avere un peso paragonabile a quella di una fase successiva di un processo.

Il caso Ilaria Capua

Negli ultimi anni uno dei casi più eclatanti in questo senso è senz’altro quello che ha coinvolto la scienziata e parlamentare Ilaria Capua. La nostra ricerca si propone di analizzare e comprendere come i giornali italiani abbiano affrontato il “caso Ilaria Capua” alla luce dei tre punti che abbiamo evidenziato: l’uso del lessico nella descrizione dello svolgimento dell’indagine; l’analisi del suo eventuale risvolto politico; infine, la gestione della sua copertura negli oltre due anni in cui si è dipanata questa vicenda.

Ai fini della nostra ricerca abbiamo analizzato gli articoli che facevano riferimento a Ilaria Capua nelle versioni cartacee di 12 quotidiani italiani: Avvenire, Corriere della Sera, il Fatto Quotidiano, Il Foglio, il Giornale, Il Mattino, Il Messaggero, La Nazione, il Resto del Carlino, la Repubblica, il Sole 24 Ore e La Stampa; a questi abbiamo aggiunto anche gli articoli che hanno fatto da “casus belli”, ovvero l’inchiesta de L’Espresso che ha aperto il “caso Ilaria Capua” e i successivi che ne hanno trattato sulla stessa testata. Il periodo analizzato parte dalla pubblicazione dell’inchiesta de L’Espresso e si conclude nelle settimane successive alle dimissioni dal Parlamento di Ilaria Capua, annunciate a maggio 2016 e avvenute formalmente il 28 settembre 2016.

L’inchiesta

Il 4 aprile del 2014, L’Espresso pubblica un lungo articolo di Lirio Abbate, che conquista anche la copertina del settimanale, che recita “Trafficanti di virus”. L’articolo descrive, per usare le parole dello stesso autore, «un’inchiesta top secret della procura di Roma sul traffico internazionale di virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli e dirigenti di industrie farmaceutiche», e dove il nome di Ilaria Capua emerge come uno dei fondamentali protagonisti della vicenda.

Dal punto di vista delle scelte lessicali del giornalista, è opportuno sottolineare che Lirio Abbate è molto chiaro nell’attribuire determinate conclusioni agli inquirenti; allo stesso tempo, nella descrizione dei diversi passaggi dell’inchiesta che si situano al di fuori dei virgolettati dei Carabinieri o dei magistrati (e in particolare nei capoversi dedicati al ruolo di Ilaria Capua e dei suoi colleghi), l’uso del condizionale è ben marcato; infine, viene riportata in due passaggi una breve smentita di Ilaria Capua.

Ciò che appare altrettanto significativo, tuttavia, è che l’intera costruzione dell’articolo appare finalizzata a enfatizzare la dimensione roboante dell’inchiesta e la gravità e l’antisocialità delle accuse. Per fare questo un ruolo essenziale appare essere attribuito alla citazione delle intercettazioni telefoniche che, riportando un virgolettato dei Carabinieri del Nas, «“testimonia[no] in maniera esplicita la condotta corruttiva di Capua”».

Le intercettazioni scelte mettono in luce un linguaggio spesso spiccio, una notevole attenzione alla dimensione economica anche personale (ivi compresi i compensi per delle consulenze). Ed è interessante notare come i due passaggi in cui vengono riportate le smentite della Capua siano accostati nell’articolo a resoconti di intercettazioni abbastanza controversi.

L’approccio scelto da L’Espresso in questa inchiesta è senz’altro riconducibile al modello market, proprio perché le scelte lessicali e strutturali, assolutamente corrette nel contenuto, puntano su una forma volta a enfatizzare molto le accuse e le criticità della situazione, e a non dare la stessa enfasi alle reazioni degli accusati.

I quotidiani

La reazione dei quotidiani esaminati nella nostra ricerca all’articolo pubblicato da L’Espresso appare piuttosto sorprendente. Dal punto di vista prettamente oggettivo, si tratta senza dubbio di un tema forte, che interessa la salute pubblica, che delinea un caso di corruzione che coinvolge un esponente politico, anche se “atipico”.

Ciononostante, quasi non vi è traccia dell’inchiesta nei giornali analizzati nella settimana successiva. A titolo di esempio, sottolineiamo unicamente due casi: la Repubblica, quotidiano “di famiglia” rispetto a L’Espresso, si limita a citare l’inchiesta una settimana dopo, in un articolo dedicato a un’altra indagine riguardante una casa farmaceutica; Il Foglio non tratta “indipendentemente” il caso, ma ripubblica per intero l’articolo di Lirio Abbate. Si tratta di una scelta particolarmente interessante alla luce delle posizioni che il quotidiano sosterrà nel prosieguo dell’inchiesta.

Infine, in nessuno dei pochi articoli è posto un accento particolare alla dimensione politica della questione: il fatto che Ilaria Capua sia parlamentare è al massimo citato, ma in alcun modo l’inchiesta viene ricondotta a possibili potenziali difficoltà per il suo partito.

Questo atteggiamento, che potremmo definire come minimo “distaccato” da parte dei quotidiani italiani nei confronti di questa inchiesta, prosegue anche nei mesi successivi. Di Ilaria Capua si continua a parlare, ma l’inchiesta non sembra aver modificato in maniera sensibile la sua notiziabilità: si parla sempre di lei come di un orgoglio della scienza italiana, e le accuse restano decisamente in secondo piano per oltre due anni.

La svolta

È necessario attendere addirittura il maggio del 2016 perché l’inchiesta diventi oggetto di un approfondimento giornalistico. A fornire questa inedita analisi è il Corriere della Sera, in prima pagina, con una delle sue firme più autorevoli, Paolo Mieli. Nei giorni in cui Ilaria Capua annuncia le sue dimissioni da parlamentare e il suo imminente trasferimento in Florida per dirigere il dipartimento “One Health Center of Excellence for Research and Training”, l’articolo di Mieli rilancia – o forse sarebbe meglio dire: lancia – il dibattito sul caso e sulle sue implicazioni. Un dibattito che infine si amplia significativamente alcune settimane dopo, quando il 5 luglio la virologa romana viene prosciolta.

Il 7 luglio il Corriere della Sera lancia un editoriale in prima pagina sul tema, con Paolo Mieli che per primo parla della necessità di scuse verso la scienziata: «qualcuno ha fatto ammenda, qualcun altro no. E i no sono infinitamente di più. Nei confronti degli scienziati [...] si è in genere restii a riconoscere torti (nostri) e ragioni (loro). Anche quando sono entrambi evidenti. Ilaria Capua ebbe la vita devastata dal combinato mediatico giudiziario. I colleghi deputati la abbandonarono al suo destino, i giornali anche».

E questo atto d’accusa verso i giornali viene in qualche modo “confermato” dalle altre testate, che grazie anche al dibattito politico che si solleva, in qualche modo si “accorgono” del caso. Gli esempi più interessanti riguardano i tre quotidiani il cui silenzio riguardo a questa inchiesta rappresentava, a nostro avviso, la maggiore sorpresa: Il Giornale, Il Fatto Quotidiano e Il Foglio. Questo perché si tratta di testate la cui linea tiene abitualmente in grande considerazione gli scandali legati al sistema giudiziario, sia in “positivo” (cavalcando gli scoop giudiziari), sia in negativo (con campagne di stampo garantista).

Il Giornale l’8 luglio dedica alla vicenda due articoli, nei quali l’accento è posto in primis sull’uso delle intercettazioni e poi su eventuali comportamenti scorretti da parte dei PM. L’atteggiamento de Il Fatto Quotidiano è al contrario radicalmente opposto: l’editoriale del direttore Marco Travaglio propone una precisa difesa della magistratura inquirente, e sottolinea oltretutto che, per un capo d’accusa, il proscioglimento di Ilaria Capua non è avvenuto perché il fatto non sussiste, ma per prescrizione, ed è sottolineato (non senza l’atteggiamento satirico tipico di Travaglio) che nessuno abbia voluto rinunciarvi.

Per Il Foglio, l’approccio per certi versi non potrebbe essere più opposto. Dopo un breve annuncio del proscioglimento, fin dal giorno successivo il quotidiano diretto da Claudio Cerasa lancia una forte battaglia garantista, ergendo Ilaria Capua a simbolo di una società italiana vittima di una magistratura inefficiente, nonché, e per certi versi soprattutto, di un giornalismo connivente. Non solo: Il Foglio punta il dito in maniera molto forte sulle forze politiche che avevano dato contro a Ilaria Capua, e poi rivelatesi, secondo il quotidiano, contrarie alla scienza (intesa in senso lato) e soprattutto troppo inclini al giustizialismo.

Dopo aver completamente ignorato il caso nel corso degli anni, Il Foglio nel giro di poche settimane diventa il quotidiano che maggiormente se n’è occupato, con un taglio ben preciso: una lettura politica dell’evento che porta a una campagna molto evidente contro alcuni partiti ed esponenti politici (in particolare il MoVimento 5 Stelle) e i giornali a essi considerati più vicini (in particolare L’Espresso e Il Fatto Quotidiano). Una lettura politica che, successivamente, coinvolgerà anche gli altri quotidiani che fino ad allora erano rimasti più distaccati.

Conclusioni

Nel corso di questa ricerca abbiamo messo in luce come, da un lato, il caso Ilaria Capua sia stato trattato dalla testata che lo ha portato all’attenzione del pubblico, L’Espresso, con un chiaro approccio market: si trattava di uno scoop notevole per il settimanale, e come tale è stato presentato, con un accento decisamente marcato sulle componenti più controverse dell’inchiesta che, poi, si è rivelata inconsistente.

Tale approccio, oltretutto, è decisamente rivendicato sia dal settimanale che dal quotidiano che maggiormente si è schierato in sua difesa (nonché in difesa degli inquirenti), ovvero Il Fatto Quotidiano. Un approccio talmente difeso che alcuni passaggi dell’inchiesta vengono riproposti, potremmo dire “come se niente fosse”, replicando l’effetto di novità dell’inchiesta a discapito di quella che, in quel momento, era “la” notizia, ovvero il proscioglimento.

In parallelo, tuttavia, gli altri quotidiani propongono un silenzio sulla vicenda che appare davvero paradossale. Così come l’inchiesta rappresentava senza dubbio uno scoop, i fatti hanno poi dimostrato che essa fosse anche un’ottima opportunità per una contro-inchiesta giornalistica che ne mettesse in luce i passaggi che si sono poi rivelati sottovalutati o ignorati dagli inquirenti.

Un’occasione senz’altro ghiotta, che viene colta unicamente dal Corriere della Sera, con l’autorevolezza di una sua firma di punta, dopo oltre due anni dall’esplosione del caso, e grazie al “pretesto” delle dimissioni di Ilaria Capua dal Parlamento. Solo a quel punto i giornali si “risvegliano”, potendo dare una lettura politica dell’inchiesta e, soprattutto, del proscioglimento: questi diventano un buon viatico per sostenere una posizione politica, tendenzialmente quella che oppone le forze moderate a quelle populiste, ma anche più specificatamente le forze di governo dell’epoca al MoVimento 5 Stelle.

Questo aspetto ci riconduce in conclusione ai modelli di Schudson di cui abbiamo parlato all’inizio di questo lavoro. Se infatti non vi è dubbio che l’inchiesta su Ilaria Capua sia stata presentata come inserita in un approccio market, la lettura politica del suo proscioglimento appare maggiormente aderente a un modello advocacy: quello che prevede il giornalista come difensore o propugnatore (traducendo alla lettera: avvocato) di una determinata causa politica.

Così facendo, ci ritroviamo i due passaggi più importanti di questa vicenda affrontati da un lato con un modello market, dall’altro con un modello advocacy, mentre a scarseggiare è il modello che, in linea teorica, è proprio quello maggiormente aderente a un sistema giornalistico liberale proprio di una democrazia avanzata: il modello trustee, quello in cui, per riprendere le parole di Schudson, «i giornalisti forniscono ai cittadini le notizie che ritengono essi debbano avere per partecipare in maniera informata e consapevole alla democrazia».

Il principale risultato della nostra ricerca, a nostro avviso, è proprio quello di riscontrare l’assenza della forma di giornalismo che maggiormente dovrebbe essere ricercata e frequente in una democrazia che si vuole compiuta. In un modello giornalistico funzionante, di fronte a un caso così spinoso ma così giornalisticamente promettente, nessun giornalista si sarebbe tirato indietro. Questo è, al contrario, ciò che è avvenuto.

Ultima modifica: Ven 12 Lug 2019