#lamiascintilla/3 - Le parole di quel vocabolario sono diventate lo strumento della professione

3 maggio 2019. Nella giornata mondiale della libertà di informazione, che coincide con il sessantesimo anniversario dalla fondazione dell'Ucsi, mi trovo nella mia città d'origine per una conferenza sull'informazione come bene comune e per l'assegnazione – contestuale - dei premi della Fondazione padre Baldassarre Califano a due giovani partecipanti alla scuola di politica organizzata dal gruppo Vangelo Cultura e Territorio, presso il teatro della Parrocchia di S. Antonio da Padova.

La memoria allora va all'infanzia, quando tutte le domeniche pomeriggio quel teatro si trasformava in cinema; poi all'adolescenza, quando ci preparavamo un anno intero per la rappresentazione teatrale messa in scena per Natale o per il 29 giugno, grande festa parrocchiale per i santi Pietro e Paolo e per il parroco che celebrava l'onomastico.
Fui premiata anche io da quella fondazione. Avevo diciotto anni, e avevano bandito un concorso per i giovani della città che potevano concorrere con un elaborato che presentasse un'idea o un piccolo progetto sociale.

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Ero arrivata seconda, con un po' di dispiacere perché il primo premio era un assegno, mentre al secondo e al terzo classificato andava un libro a scelta. A distanza di tanti anni mi si è rovesciata la prospettiva e mi è sembrata tanto felice quella circostanza. Scelsi un vocabolario d'italiano, che mi sarebbe servito per l'Università, visto che sarei stata uno studente fuori sede, lontano da casa e dal vocabolario di famiglia.
Ero abituata a studiare col vocabolario accanto dai tempi del liceo, quando mi piaceva ricercare il significato esatto delle parole, con le sfumature proprie della nostra ricca lingua.

Con dolcezza il ricordo mi è andato al Devoto-Oli che posseggo ancora, con la copertina verde venuta alla luce dopo che la foderina di carta si era rovinata. All'interno avevo incollato il biglietto di assegnazione della fondazione padre Baldassarre Califano, di cui un giorno mi avrebbero chiesto conto i figli, nelle cui mani sarebbe finito il prezioso volume. Tanto fortunato mi è oggi sembrato il mancato primo posto, che si tradusse in una scelta. E io scelsi le parole, il prezioso volume che le custodiva. Ignoravo, allora, che proprio le parole sarebbero state lo strumento della mia futura professione.

La scrittura asciutta dei testi televisivi avrebbe richiesto un linguaggio ancora più preciso, essenziale, e quindi esatto, semplice ma non banale. E poi le parole a braccio, durante tante dirette, quando la lingua deve scorrere fluida e senza incertezze.

La gratitudine, profonda, va oggi a persone generose che hanno suscitato, alimentato, accompagnato tanti sogni e desideri giovanili. E che sono ancora lì, le stesse di tanti fa, instancabili. Don Catello Malafronte, Maria Siano, il giudice Antonino Elefante, e in mezzo io e Regina, che abbiamo passato i 50 anni di età ma senza accorgercene. E guardandoci negli occhi ci rivediamo ancora quindicenni. Forse perché lo spirito di allora non lo abbiamo perso, rimanendo, nel fondo, le stesse persone. Una giornalista e un magistrato... Stessa passione per la verità e per la giustizia, una per strada l'altra in tribunale. Un'inquietudine mai sopita.

Ultima modifica: Gio 15 Ago 2019