#lamiascintilla/13 - Dall'oratorio all'Africa, la svolta per un giornalismo di missione

Mai avrei immaginato che dal volontariato in un oratorio potesse scaturire la mia professione di giornalista. 

A dire il vero, è stata una giornalista a farmela conoscere invitandomi a raccontare quanto succedeva in quell'oratorio di Roma immerso in un ambiente di disagi umani. Si chiamava Maria Grazia Brancoli. Devo a lei la motivazione di trasformare un servizio di volontariato in un esercizio di prossimità per far emergere il vissuto di comunità sofferenti e anche lontane

Mai avrei immaginato che, da quell'invito, potesse nascere un cammino di 31 anni – almeno, finora – che mi ha portato molto lontano.

 La svolta è stata la passione per la mondialità maturata nella FOCSIV – allora si chiamava solo così – dove ho lavorato come “ufficio stampa”. Sentire i racconti di donne e uomini che, motivati dalla loro fede, partivano come volontari in Africa, in America Latina e in Asia, e poi dedicavano la loro vita a sostenere le comunità locali nello sviluppo, mi ha fatto capire che poteva esserci anche un giornalismo di missione, un giornalismo di compassione e di denuncia, un giornalismo credente, tanto per dirla con una espressione del nostro consulente ecclesiastico padre Francesco Occhetta.

Dal lavoro in quell’ufficio stampa è maturata l’idea del primo viaggio nella tormentata regione dei Grandi Laghi africani. Era il settembre 1995. Prima tappa in Burundi per avvicinare, ascoltare e narrare le sofferenze delle comunità nella guerra civile in corso. 

Seconda tappa in Rwanda per narrare il genocidio un anno dopo. Nelle narici ogni tanto risento l'odore di corpi spezzati e putrefatti che erano ancora ammassati in alcune chiese. E ho ancora davanti agli occhi lo sguardo gelido di un bambino soldato che puntava un kalashnikov contro di me intimandomi di togliere camicia, scarpe, calze e pantaloni. Eravamo in una baracca: due bambini soldato ed io. Ho eseguito i suoi comandi fino a rimanere quasi nudo. Ed eccomi qui a raccontare quell'incrocio di sguardi dall'esito imprevedibile. 

Terza tappa: l'ex Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo), per far conoscere le condizioni dei rifugiati ruandesi ad Uvira e a Bukavu. Proprio in Burundi, durante un giro tra le famiglie che si nascondevano sulle colline intorno alla capitale Bujumbura per sfuggire ai rastrellamenti dei militari, un signore ha chiesto: “Ma il mondo sa di noi?”. Quell’uomo chiedeva di far luce su una guerra poco conosciuta e al tempo stesso chiedeva giustizia. Non so quanto abbia contribuito alla pace del Burundi, ma esserci, fermarmi a parlare senza guardare l’orologio e poi sapere che avrei scritto di quella guerra, ha sostenuto la speranza di quell’uomo e della sua famiglia. Loro si sono sentiti ascoltati e questo è bastato per non farli sentire soli. Esserci!

Da quel primo viaggio nell'Africa Subsahariana sono passati 24 anni e solo nel continente africano sono tornato una trentina di volte, all'inizio come freelance e dal 1998, cioè dalla nascita del progetto televisivo della Chiesa italiana, per Tv2000

Ogni volta che ritorno in Africa, fisicamente e soprattutto psicologicamente diventa sempre più pesante immergermi in contesti dove è difficile sopravvivere alla notte. Finora non sono mai riuscito a rimanere terzo. L'Africa incanta, ti travolge ma allo stesso tempo ti entra dentro come una silenziosa lama affilata. 

Nonostante le sofferenze e le paure, ringrazio sempre Maria, la nostra Madre comune, perché l'Africa mi rimanga dentro come scuola permanente di umanità. E ringrazio l'ambiente di quell'oratorio romano che mi ha iniziato all'Africa e al giornalismo, che oserei definire la professione della conoscenza se esercitata con la compassione del buon Samaritano. Senza di loro - l'Africa e l'oratorio - non sarei quello che sono oggi.

scintilla maurizio

Ultima modifica: Mer 28 Ago 2019