Essere giornalista o fare il giornalista

È in uscita un nuovo numero di Desk. Qui, per la nostra rubrica #deskdelladomenica, pubblichiamo, come anticipazione, le conclusioni dell'approfondita riflessione di Lorenzo Ugolini, completa della ricca Bibliografia che per ragioni di spazio non ha trovato spazio sul cartaceo.

Lorenzo Ugolini

In Italia l’essere giornalista non è sancito, come avviene nella maggioranza schiacciante dei sistemi dell’informazione mondiali, dalla capacità, dal successo e dalla credibilità ottenuti dal fare il giornalista, bensì da un esame di Stato e dall’iscrizione a un ordine professionale. In altre parole, l’evoluzione del panorama mediatico, e in particolare la svolta narrativa (che in qualche maniera si giova anche delle altre grandi evoluzioni, in primis quelle legate all’avvento dei social media), acuisce e rende più profonda la spaccatura tra l’essere giornalista e il fare il giornalista, strutturale al sistema italiano. Una spaccatura che, al momento dell’istituzione dell’Ordine – e ancor prima con l’istituzione dell’Albo nel 1924 e il suo ripristino nel secondo dopoguerra – era inevitabilmente mitigata, se non annullata, da un sistema dei media limitato alla carta stampata e alla radio e televisione pubblica, ma che, già con l’avvento delle emittenti private, aveva iniziato a formarsi.

Dal punto di vista professionale, fare il giornalista vuol dire portare a termine i compiti precipui del giornalismo (reperimento, verifica, selezione, gerarchizzazione, interpretazione, contestualizzazione, commento e presentazione), laddove essere giornalista, in Italia, vuol dire essere iscritti all’Ordine dei Giornalisti. Dal punto di vista etico, il discorso appare invertito: essere giornalista vuol dire incarnare i valori etici del giornalismo liberale (ricerca della verità con obiettività, accuracy e fairness nell’interesse esclusivo del pubblico), laddove fare il giornalista vuol dire riuscire a lavorare e guadagnare nel giornalismo italiano. In entrambi i casi, emerge una spaccatura al livello del riconoscimento di ciò che è giornalista e ciò che è giornalismo.

Nel contesto italiano, questa spacca- tura assume un ulteriore connotato paradossale. È l’esistenza stessa dell’Ordine a imporre una rigidità apparentemente impossibile in un contesto fluido e magmatico come quello dell’attuale sistema sociale, e di conseguenza del sistema dei media e dell’informazione chiamato a raccontarlo. Allo stesso tempo, proprio l’Ordine dei Giornalisti è dotato di tutti gli strumenti (deontologici, disciplinari ecc.) per affermare con forza ed efficacia ciò che il giornalismo è e deve essere, e di conseguenza ciò che il giornalista fa ed è chiamato a fare. In altre parole, se l’esistenza stessa dell’Ordine ha causato questa spaccatura, proprio l’Ordine ha tutti i mezzi per sanarla.

Non si tratta unicamente di perseguire quelli che, mutuando le terminologie degli altri ordini professionali, potremmo chiamare “esercizi abusivi della professione”. Si tratta di riaffermare il portato etico che rappresenta l’intento nobile del legislatore che ha introdotto l’Ordine dei Giornalisti. Tuttavia, restare passivi di fronte a questa spaccatura, non può che dare vita a ulteriori paradossi, come reportage accurati che non possono essere considerati come giornalismo, o inchieste pretestuose alle quali risulta impossibile contrapporre una forma di giornalismo credibile e protetta, fino ad arrivare al contrario a considerare come giornalismo formalmente corretto un professionista che decide di sensibilizzare il pubblico sulle tradizioni italiane del Giorno dei Morti contrapposte alla tradizione americana di Halloween, usando una forma di storytelling che prevede la distruzione violenta in uno studio televisivo di decine di zucche, mediante l’uso di un’americanissima mazza da baseball.

Si tratta di una sfida, l’ennesima, che l’evoluzione della società e del panorama dei media pone al sistema del giornalismo italiano. Una sfida che deve essere assolutamente raccolta e, ci permettiamo di aggiungere, il più velocemente possibile e con un elevato livello di efficacia. A maggior ragione in un periodo storico in cui, come molti studiosi stanno evidenziando (per esempio McNair 2017) e come noi stessi stiamo approfondendo in un percorso di ricerca accademica (Ciofalo, Ugolini 2018), sono proprio le zone grigie lasciate “incustodite dal giornalismo a rappresentare il più fertile terreno di coltura per i sempre più gravi e rilevanti disordini dell’informazione, le cosiddette “fake news”.

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Ultima modifica: Sab 14 Dic 2019

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